— E allora cosa… cosa ne è rimasto di lui? Ha perduto tutto ciò che amava, perfino il suo stesso nome. Quando Awn di An, ancora vivo, venne privato del governo della terra, si uccise. Non sopportava di…
— Morgon è già stato una volta una creatura senza nome, quando lo presi in casa mia per curarlo. E trovò di nuovo il suo nome nelle stelle che ha sulla fronte. No, io non credo che sia morto.
— Perché?
— Perché non è questa la risposta che stava cercando.
Lei lo fissò, sorpresa. — Non penserete che potesse avere scelta?
— Sul suo destino? No. Ma lui è il Portatore di Stelle. Il suo destino era quello di sopravvivere, ne sono convinto.
— Lo dite come se fosse una condanna — sussurrò. Lui le lasciò le mani, si alzò e andò alla finestra, lasciando vagare un attimo lo sguardo verso la città in rovina e senza nome.
— Forse. Ma è un errore sottovalutare quel biondo contadino di Hed. — Si girò di scatto. — Ve la sentite di montare a cavallo e venire con me a Pian Bocca di Re, per vedere l’antica città?
— Adesso? Credevo che aveste una guerra da combattere.
Un sorriso inaspettato illuminò il suo volto magro. — L’avevo, finché non ho visto la vostra nave. Lasciatemi respirare fino all’alba di domani, quando vi scorterò fuori da Caerweddin. Quella piana non è un posto sicuro. La moglie di Hereu fu assassinata laggiù. Adesso nessuno salvo me osa andarci, e anch’io devo usare prudenza. Ma voi potreste trovare là qualcosa… una pietra, un manufatto mezzo rotto, che forse parlerebbe alla vostra mente.
Raederle lo seguì alle scuderie, poi salì a cavallo ed Astrin la condusse fuori dalla periferia di Caerweddin, su per le scarpate rocciose che portavano a una vasta pianura un po’ soprelevata rispetto al mare. Il vento dell’est la spazzava senza quasi trovare ostacoli, soffiando fra le pesanti pietre disseminate ovunque e le macerie che il terriccio stava ricoprendo da secoli. Una volta smontata Raederle appoggiò una mano d’impulso su una di quelle pietre; la sentì stranamente liscia sotto i polpastrelli, irretita da sottili venature verde smeraldo.
— È così bella… — Si volse ad Astrin. — È da qui che vengono le pietre della vostra dimora.
— Sì. Qualunque disegno fosse inciso sulla loro superficie quand’erano unite, è andato irrimediabilmente in pezzi. Le pietre erano pesantissime e difficili da rimuovere, ma il Re che volle utilizzarle, Galil Ymris, era un uomo tenace. — D’improvviso si chinò a frugare fra le erbacce e la terra nello spazio fra due alte pietre, e quando si rialzò aveva qualcosa in mano. Ripulì l’oggetto dal terriccio, e il sole ne trasse un debole riflesso bluastro. Raederle lo osservò.
— Che cos’è?
— Non lo so. Un frammento di vetro, o una pietra… talvolta è difficile identificare anche la sola natura fisica degli oggetti che si trovano qui. — Glielo poggiò sul palmo di una mano e le fece chiudere le dita intorno ad esso. — Tenetevelo voi.
Lo esaminò, incuriosita da quei riflessi azzurro scuro. — Voi amate queste grandi rovine di pietra, malgrado tutti i loro pericoli.
— Sì. Questo mi ha procurato la fama d’essere un po’ squinternato, a Ymris. Preferirei restarmene qui a frugare fra queste cose dimenticate, un po’ studioso e un po’ eremita, che portare alla guerra quelle sette navi. Ma la guerra sulla nostra costa meridionale è una vecchia ulcera che ogni tanto fa suppurazione e non guarisce mai. Così Hereu ha bisogno di avermi accanto, anche se sa che in questo luogo io annuso l’esistenza di una risposta vitale. E voi? Cosa annusate qui?
Lei distolse lo sguardo dalla pietra che aveva in mano e osservò la distesa di macerie. Sulla pianura non c’erano altro che quei resti, le erbacce dai riflessi argentei e un isolato boschetto di querce, contorte e disseccate dal vento di mare. Il cielo limpidissimo era una cupola che sembrava messa lì a proteggere un’immensità fatta di niente. Si chiese quale forza sarebbe occorsa per riunire di nuovo quelle pietre disperse, estrarle dal terreno, rimetterle l’una sull’altra e ricostruire qualcosa che doveva essere stato enorme, dotato di un suo scopo, e tale da esser visto fin da grande distanza come un simbolo di potere, bellezza e libertà. Ma le pietre ormai giacevano lì, attanagliate alla terra e immerse nel loro sonno millenario. Lei sussurrò: — Silenzio! — e il vento tacque.
In quel momento la fanciulla ebbe l’impressione che il mondo intero si fosse fermato. I fili d’erba erano immobili sotto la luce del sole; le ombre delle rovine sembravano essersi incollate al suolo. Perfino il rumore dei frangenti contro le ripide scogliere s’era acquietato. Il suo stesso respiro era un grumo d’aria bloccato nella sua gola. Poi Astrin la afferrò per un braccio, e udì improvviso il fruscio metallico della sua spada che usciva dal fodero. L’uomo la strinse con forza contro di sé, e la fanciulla avvertì anche attraverso il pettorale di cuoio le violente pulsazioni del cuore di lui.
Nell’atmosfera ci fu un ansito che sembrava scaturire dal ventre della terra. Un’ondata il cui poderoso rotolare fra i bassifondi sembrava non terminare mai fece vibrare la scogliera con un urto immane, e si ritirò scrosciando dalla costa dirupata. Il braccio di Astrin si rilassò. Indietreggiando ella lo fissò, e il vacuo e teso sguardo di lui la riempì di spavento. Un gabbiano stridette sorvolando come una freccia gli scogli della riva, ondeggiò un attimo e scomparve; Astrin rabbrividì intensamente. La sua voce suonò rauca. — Ho paura. E… mi sento confuso. Andiamocene da qui!
Mentre cavalcavano di nuovo giù per la scarpata e poi verso i campi tranquilli e operosi ai lati della strada, che da settentrione portava in città, non si scambiarono una parola. Mentre tagliavano attraverso un prato gremito di pecore appena tosate che si scostarono belando, il bianco, intimo orrore che aveva irrigidito il volto di Astrin cominciò a dileguarsi. Raederle lo scrutò e sentì che l’uomo era tornato ad essere accessibile alla voce umana. — Che cos’è stato? — chiese. — Mi è parso che tutto si fermasse.
— Non lo so. L’altra volta… l’ultima volta che l’ho sentito accadere, Eriel Ymris morì. Avevo paura per te.
— Per me?
— Per cinque anni, dopo la morte di lei, il Re visse con una cambiaforma che aveva assunto le sembianze di sua moglie.
Raederle chiuse gli occhi. D’un tratto nel suo petto ci fu un ansito così doloroso che le parve di potersene liberare solo gettandolo fuori come un grido smarrito. Strinse i pugni con forza per riacquistare la padronanza di sé, e soltanto quando lui la chiamò per nome si rese conto d’aver arrestato il cavallo. Poi riaprì gli occhi e disse: — Almeno Mathom non è costretto a chiudere un Erede in una torre sul mare. Io so d’avere qualcosa che dorme dentro di me. Qualcosa che, se lo svegliassi, mi farebbe odiare ogni giorno della vita che mi resta. In me c’è il sangue di un cambiaforma, e una parte del suo potere. E non è sempre una cosa facile da sopportare.
L’occhio di lui la esaminò quietamente, come se fosse un enigma da dirimere con distacco scientifico. — Abbi fede in te stessa — le suggerì, e lei emise un profondo sospiro.
— È come se io stessi procedendo a occhi chiusi lungo il percorso di uno dei miei intrecci stregati. Tu hai un modo rassicurante di vedere le cose, però.
Lui allungò una mano a sfiorare una delle sue, poi le fece cenno di avviarsi. Quando Raederle si rilassò abbastanza da riaprire la mano sinistra, vide che la piccola pietra le aveva lasciato sul palmo i rossi segni dei suoi contorni.
Dopo il suo rientro alla dimora del Re, Lyra venne a cercarla nella sua camera. La bruna trovò Raederle seduta davanti alla finestra, intenta a fissare un oggetto dai liquidi riflessi marini che aveva in mano. — Hai già pensato a un piano d’azione? — le chiese.
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