Patricia McKillip - L'erede del mare e del fuoco

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L'erede del mare e del fuoco: краткое содержание, описание и аннотация

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La terra di Hed, è risaputo, non è mai stata una fucina di eroi. Tutti i suoi abitanti — compresi i principi che la reggono — sono contadini, ed anche Morgon, Signore di Hed, è un contadino. Ma non solo questo. Perché in un mondo da cui la magia è misteriosamente scomparsa in un remoto passato, e nel quale il sapere esoterico è affidato ai Signori degli indovinelli, Morgon può essere considerato un adepto, il miglior allievo della scuola di Caithnard, unico risolutore di un indovinello rimasto inspiegabile per oltre settecento anni. E poi Morgon ha tre stelle in fronte, identiche a quelle incise su un’arpa che solo lui può suonare e sull’elsa di una spada che solo lui può impugnare. Così, senza volerlo, il principe di Hed viene coinvolto in un viaggio fantastico e in un’avventura misteriosa, nel viaggio verso la montagna di Erlenstar assieme all’arpista del Supremo, per cercare risposta a una domanda che neppure lui ancora conosce. Con l’aiuto di Raederle, la donna che ama e per la quale ha vinto una sfida, Morgon affronterà un difficile cammino esistenziale e avventuroso, cercando la soluzione dell’enigma che lega passato e futuro, e combattendo Ohm, il mago corrotto che vuole alterare gli equilibri del mondo.

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— Io sono me stessa, e non ce la faccio a dare il mio nome a un pezzo di corda. È una perdita di tempo. Che cos’altro sai fare?

— Solo pochi piccoli incantesimi. So trasformare i fili d’erba in strisce di paglia per intrecciare canestri, e far apparire un innocuo cespuglio come un’impenetrabile siepe di rovi, e so trovare la strada nei Boschi di Madir, dove gli alberi sembrano cambiare posto e fanno smarrire i viandanti… cosette da poco. Ho ereditato un po’ di potere dalla strega Madir e da un uomo chiamato Ylon. Per qualche ragione nessuno dei miei due fratelli riesce a far queste cose. La guardiana dei porci dice che la magia ereditaria sceglie da sé le persone in cui ricompare. Quando eravamo bambini mi divertivo a entrare con loro nei Boschi di Madir, e soltanto io sapevo uscirne. Quanto si arrabbiavano!

— An dev’essere una strana terra. A Herun c’è pochissima magia, a parte quella portata dai maghi stessi molti secoli fa.

— La terra di An è gravida di magie di ogni genere. Ed è questo a rendere preoccupante il fatto che mio padre l’abbia lasciata per chissà quanto tempo. Senza il suo controllo molte magie si liberano, e i morti si risvegliano con tutti i loro ricordi.

— Che cosa fanno? — ansimò la ragazza, spaurita.

— Essi ricordano gli antichi feudi, i vecchi rancori, le battaglie, e creano impulsi per farli rivivere. In quei tempi lontani le guerre fra le Tre Parti di An erano tumultuose, gravide di violentissime passioni; i Re ed i nobili, morendo a volte tragicamente, le trasmettevano ai loro successori insieme al passaggio del governo della terra. Questo istinto che restava nei vivi li legava ai morti, e i libri di incantesimi di coloro che praticavano la magia, come Madir e Peven…

— E questo Ylon, chi era?

Raederle si chinò a raccogliere la treccia di spago. La fissò, accigliata, finché non ne ebbe districato il percorso ed essa le si sciolse di colpo fra le dita. — Ylon è un enigma — mormorò.

Imer venne a cominciare il suo turno di guardia, e Lyra e Raederle furono liete di poter andare in cuccetta. Il leggero rullio della nave sull’oceano tranquillo aiutò Raederle ad addormentarsi quasi subito. Si risvegliò ai primi chiarori dell’alba, quando il sole non era ancora sorto. Appena vestita uscì sul ponte. Il mare, il cielo, la lunga linea della costa di Ymris, tutto era grigio in quel pallore antelucano. A oriente le foschie che si perdevano sull’immenso orizzonte oceanico stavano sfumando dal bianco al rosa-azzurro. La guardia che aveva fatto l’ultimo turno gettò uno sguardo al cielo e scese per farsi qualche altra ora di sonno. Raederle s’incamminò lungo la murata, sentendosi un po’ disorientata nel mondo privo di colori che la circondava. Alla base di una scogliera biancastra scorse un piccolo villaggio di pescatori, che le apparve anonimo ed estraneo quanto la costa su cui sorgeva; alcune barche minuscole per la distanza si stavano avventurando oltre il frangiflutti verso il mare aperto. In alto volava uno stormo di gabbiani, che stridendo si lasciavano portare a meridione dalla brezza. La fanciulla si chiese se avrebbero vagato nel cielo fino ad An. D’improvviso si sentì triste e solitaria, senza veri scopi nella vita, e in lei balenò il sospetto d’aver lasciato ad Anuin non solo le sue cose ma anche una parte della sua identità.

Il rumore di qualcuno che stava dando di stomaco dietro un grosso mucchio di corde arrotolate la fece volgere di scatto. Muta per la sorpresa si vide davanti un volto pallido, ed ebbe paura d’aver rubato un nave piena di cambiaforma. Ma nessun cambiaforma, fu costretta a dirsi, avrebbe mai assunto le sembianze di una fanciulla dall’aria derelitta e miserevole come quella. Attese un poco, mentre la brunetta vomitava ancora penosamente e poi, tremando come una foglia, si girava a sedere con le spalle alla murata e chiudeva gli occhi, sfinita. Raederle aveva visto spesso Rood in preda al mal di mare, e andò a cercare un po’ d’acqua. Quando fece ritorno, con un mestolo, era quasi pronta a scoprire che la misteriosa apparizione era svanita; ma la fanciulla era sempre lì, magra e infagottata in un vestitaccio di panno grezzo, simile a una bambola di cenci sbattuta in un angolo.

Si inginocchiò, e la fanciulla rialzò la testa. Dietro i capelli scarruffati aveva un volto grazioso, sensibile, ma la sua espressione era quasi offesa, come se il mare e la nave avessero cospirato per oltraggiarla. Le sue mani tremarono quando afferrò il mestolo. Erano mani di popolana agli occhi di Raederle, abbronzate e callose, troppo grandi per quel corpo snello. La fanciulla vuotò il mestolo e si lasciò ricadere indietro contro la murata.

— Grazie — sussurrò. I suoi occhi si chiusero ancora. — In tutta la mia vita non mi ero mai sentita così orribilmente male. Oh… cielo!

— Ti passerà. Chi sei? E come hai fatto a nasconderti a bordo?

— Sono… sono salita ieri sera. Poi mi sono nascosta nella scialuppa di salvataggio, sotto un telo, finché… finché non ce l’ho più fatta a stare lì dentro. La nave ondeggiava da una parte, e la scialuppa dall’altra. Ho cominciato a credere che sarei morta… — Ebbe un fremito convulso, riaprì gli occhi e sbatté le palpebre. Qualcosa nel suo visetto un po’ lentigginoso, ovale e ben proporzionato, fece trattenere un attimo il respiro a Raederle. La fanciulla riprese fiato e proseguì: — Ieri sera stavo cercando un posto per dormire, nel porto di Caithnard, accanto a quel magazzino, quando siete venute a fermarvi lì coi vostri cavalli. Vi ho sentite parlare. E così… e così vi ho seguito a bordo di questa nave, perché voi state andando in un posto dove voglio andare anch’io.

La voce di Raederle fu un sussurro. — Chi sei tu?

— Tristan di Hed.

Lentamente Raederle si sedette sui talloni. L’immagine del volto di Morgon, più chiaro di quanto l’aveva visto in sé per anni, si sovrappose al visetto di Tristan, così perfettamente che deglutì un groppo di saliva. Tristan la fissò con una strana espressione incerta, ansiosa, poi abbassò i capo e si strinse addosso i suoi panni informi e malconci. Quando lo scafo beccheggiò ebbe un mugolio, e strinse i denti. — Io so che mi accadrà qualcosa di brutto. Ho sentito quel che ha detto l’Erede della Morgol. Avete rubato la nave, e nella vostra terra nessuno sa ciò che volete fare. E ho sentito i marinai dire che li state costringendo a fare rotta a nord, e che… che preferivano sbarcare nel primo porto che farsi ridere dietro da tutto il reame. E poi hanno parlato del Supremo, ma avevano abbassato la voce e non ho sentito niente.

— Tristan…

— Se mi lascerete a terra, io camminerò. Tu stessa hai detto che saresti stata disposta ad andarci a piedi. Io ho dovuto ascoltare Eliard piangere nel sonno, quando sognò di Morgon. Aveva spesso incubi terribili. Una notte mi disse di aver visto il volto di Morgon, in sogno, e che non… non lo aveva quasi riconosciuto. Allora fu preso dal desiderio di andare al Monte Erlenstar. Ma era pieno inverno; Tor Oakland disse che quello era il peggior inverno che avesse visto in settant’anni di vita, e lo convinsero ad aspettare.

— Non avrebbe mai potuto valicare il Passo.

— Questo è ciò che gli disse anche Grim Oakland. Voleva partire a ogni costo, però. Allora il Mastro Cannon gli promise che sarebbero partiti loro due insieme, a primavera. E quando è venuta la primavera… — La voce le si ruppe. Per qualche istante restò assolutamente immobile, fissandosi le mani. — È venuta la primavera, e Morgon è morto. E allora Eliard… lui deve lavorare, capisci? Ma qualunque cosa stesse facendo io vedevo nei suoi occhi quella domanda: perché? Così io andrò al Monte Erlenstar per scoprirlo.

Raederle sospirò. Il sole era finalmente emerso dalle foschie mattutine, e le ombre del sartiame si proiettavano sul ponte in disegni complessi. Investito dalla sua luce calda il volto di Tristan apparve un po’ meno cereo, e la fanciulla smise di rabbrividire. Poi aggiunse: — Non cambierò idea, qualunque cosa tu dica.

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