Tim Powers - Mari stregati

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Una fantasy orrorifica con i pirati, uno spadaccino voodoo? Chi potrebbe mai mescolare il mondo del pirata Barbanera con la magia nera se non Timothy Powers, il creatore di Le Porte di Anubis, l’autore più originale e geniale prodotto dal mondo fantascientifico e fantastico negli ultimi decenni. Lo scenario di questo eccezionale romanzo è il Mar dei Caraibi del 1718, periodo di grandi cambiamenti per i pirati, un tempo strumento dell’Impero Britannico, libera forza mercenaria che non riveste più nessuno scopo strategico per gli inglesi. È su questo scenario in evoluzione che compare il giovane John Chandagnac, ex burattinaio orfano alla ricerca di vendetta su uno zio malvagio. Ciurme di Zombie, magia nera, riti voodoo, giungle infestate da spettri: fra mille pericoli il protagonista inizierà una sorta di viaggio iniziatico che lo porterà in un luogo ignoto al di là del tempo e dello spazio, in un luogo mitico e terribile dove si cela la vagheggiata fonte della vita eterna. Partito per vendicarsi di un torto subito, Chandagnac andrà incontro al suo destino e troverà a sbarrargli la strada nientemeno che… il pirata Barbanera!

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«Grande,» disse Davies con soddisfazione. «Possiamo andare.»

CAPITOLO OTTAVO

Non più di un minuto dopo Shandy e l’ufficiale tremante di paura stavano trascinando il cadavere e le spade avvolti nelle coperte attraverso il ponte. Il lungo involto si era dimostrato troppo pesante e difficile da trasportare — specialmente se Shandy doveva continuare a tenere puntata la pistola nascosta contro l’ufficiale, che reggeva il fardello dal lato dei piedi — e così erano stati costretti a trascinarlo in una posizione goffa e accovacciata, con un’andatura tremendamente lenta.

Shandy stava sudando abbondantemente, e non solo a causa del caldo sole tropicale che gli martellava la testa e inondava di luce abbagliante il ponte bianco. Era così acutamente consapevole di ogni marinaio armato come lo sarebbe stato di uno scorpione aggrappato ai suoi vestiti, e cercò di tenere la mente concentrata sul compito di trascinare l’ingombrante involto fino al castello di prua, e di non immaginare cosa sarebbe accaduto quando la santabarbara fosse esplosa, o quando i marinai avessero capito e avessero aperto il fuoco su di loro, o quando l’ufficiale dalle labbra bianche all’altro lato dell’involto avesse capito che quando fosse scoppiato il pandemonio lui si sarebbe trovato proprio in mezzo al fuoco incrociato.

Mentre avanzavano strascicando i piedi, e oltrepassavano i boccaporti della parte centrale della nave, entrambi ansimando con le bocche aperte, gli occhi dell’ufficiale non lasciarono mai la mano destra nascosta di Shandy, e questi sapeva che se la sua presa spasmodica sull’arma umida di sudore fosse scivolata, il suo compagno necroforo sarebbe istantaneamente balzato via, gridando l’allarme.

I prigionieri disarmati sul castello di prua li osservavano avvicinarsi. Avevano udito che quello che stavano portando da loro era il cadavere di Philip Davies, ed erano amaramente compiaciuti del fatto che Shandy fosse stato incaricato di trasportarlo. «Avvicinati ancora un poco, Shandy, schifosa carogna!» gridò un uomo. «Varrà la pena perdermi la mia impiccagione per metterti le mani intorno al collo.» «Questo è il tuo ringraziamento a Davies per averti lasciato vivere?» disse un altro. «Avrai gli zombi alle calcagna, non dubitare.»

Alcuni dei marinai della Navy, frai più giovani, ridacchiarono per questo accenno superstizioso.

Un lungo, concitato minuto dopo, proprio mentre stavano procedendo a fatica oltre il boccaporto prodiero… Shandy vide che il suo riluttante compagno si rendeva finalmente conto di ciò che sarebbe accaduto nel successivo paio di minuti.

«Non esiterò,» disse col fiato mozzo Shandy, ma l’ufficiale aveva lasciato bruscamente cadere i piedi del capitano e stava tornando indietro a gambe levate.

«È un trucco!» stava gridando. «Davies sta facendo saltare la santabarbara!»

Shandy emise un sospiro quasi di sollievo, poiché almeno quell’attesa silenziosa e carica di tensione era terminata. In fretta ma con cautela si accovacciò, aprì la coperta e mandò il corpo del Capitano Wilson a rotolare con un tonfo sul ponte, scalciò le armi sulla stoffa, l’avvolse a mo’ di sacco… poi si fermò per un attimo guardandosi intorno.

Soltanto uno degli uomini della marina là intorno aveva afferrato la situazione e stava puntando la pistola contro di lui. Shandy sparò senza mirare — mancandolo, ma facendogli sbagliare la mira cosicché la palla andò a scheggiare la battagliola alle spalle di Shandy — e poi, facendo oscillare l’involto di armi intorno alla testa, corse a rotta di collo in direzione del castello di prua.

Armi da fuoco esplosero e crepitarono, e lui udì palle di pistola che lo superavano sibilando e avvertì un colpo contro l’involto che si agitava dietro di lui. A pochi passi dal ponte sopraelevato del castello di prua gettò l’involto ai pirati stupefatti, e lasciò che lo slancio della contorsione lo spingesse a un salto sbilenco in direzione della scaletta del boccaporto.

Risuonando come colpi di martello, due palle di pistola si infilarono nella paratia davanti alla quale si era trovato.

Un piede toccò un piolo della scaletta e lui fu sul castello di prua, e aprì con uno strappo la cassetta delle pistole da duello. «Alla Jenny!» gridò, ansimando, mentre sfilava le pistole dalla cassetta foderata di velluto e si voltava verso la parte centrale della nave.

Ma, prima che potesse decidere a chi sparare, fu scaraventato in ginocchio mentre l’intera nave oscillava violentamente in avanti e un rombo basso profondo scosse l’aria fino in cima agli alberi e l’intera poppa della nave si gonfiò incredibilmente verso l’alto e l’esterno, dissolvendosi in una nube torreggiante di polvere e fumo e tavole roteanti. Il mare ribollente venne oscurato per dozzine di iarde, da babordo a tribordo, da quell’improvvisa nube vorticante, e butterato dagli schizzi delle cose che vi cadevano dentro, e il rombo prolungato si allontanò rotolando sulle onde.

Quindi gli alberi cominciarono a venire giù, prima con uno schioccare di corde spezzate, che, sebbene forte come colpi di pistola, poté a malapena essere udito al di sopra del rombo prolungato dell’esplosione, poi con una ponderosa e rapida caduta nell’aria fumosa, culminante nel vibrato cedimento delle reti di salvataggio e in uno schianto spacca-ossa quando gli elementi di alberatura colpirono il ponte.

Il ponte sul quale Shandy era accovacciato non era più orizzontale — era inclinato verso poppa, e proprio mentre lui lo stava notando l’inclinazione divenne più pronunciata. Shandy annaspò, lasciando cadere entrambe le pistole, e sulle mani e le ginocchia strisciò su per il castello di prua inclinato fino alla murata di babordo e si afferrò a uno dei puntelli.

Guardò verso la poppa, che ora stava in basso. La metà posteriore della nave era probabilmente sott’acqua, ma le vele lacerate e spiegazzate, e il denso fumo al di là di esse, non consentivano di esserne certi. Il cadavere del Capitano Wilson era apparentemente rotolato via mentre lui non lo stava guardando, ma vide una delle pistole da duello ancora carica roteare nell’oblio. Intorno a lui poteva sentire l’aria salire sibilando dallo scafo, e schegge di legno e di metallo ancora cadere tamburellando dal cielo nero.

Qualcuno stava scuotendogli il braccio, e quando Shandy alzò la testa vide che si trattava di Davies, con la sua giacca della Navy ridotta a brandelli, che stava a cavalcioni della battagliola e gridava al suo indirizzo. Non riuscì a comprendere le parole, ma era chiaro che Davies voleva che lui lo seguisse, così Shandy si arrampicò sulla battagliola.

Nell’acqua agitata sottostante la Jenny rollava, liberata di tutte le cime, tranne una, che la tenevano ormeggiata alla nave da guerra danneggiata, e proprio mentre lo notava vide uno dei pirati recidere l’ultima fune con la sciabola e quindi saltare dalla prua inclinata della nave nell’acqua, trenta piedi più sotto.

«Andiamo!» urlò Davies, assestando a Shandy una pesante pacca fra le spalle e poi balzando dalla murata dietro di lui.

* * *

I primi minuti a bordo della Jenny furono un incubo frenetico: una dozzina di uomini, metà dei quali feriti, facevano sforzi immani per issare le vele, metà delle quali lacerate dai colpi di cannone, nello sforzo disperato di avviarsi e allontanarsi prima che la nave da guerra affondasse, creando così una turbolenza abbastanza potente da affondare vascelli più grossi della Jenny.

Alla fine, quando la nave della Royal Navy fu affondata fino alla sua metà, e la sua enorme prua gocciolante sollevata interamente fuori dall’acqua, e le sue due scialuppe, stipate di marinai, si furono allontanate di trenta iarde a sud, la vela maestra della Jenny smise di fluttuare e si gonfiò con un tonfo. Pochi momenti dopo la corvetta cominciò a muoversi nell’acqua e Davies ordinò di allentare la barra. Si trovavano cento iarde a sud-est e stavano acquistando velocità quando la prua della nave da guerra, vomitando fumo non appena l’aria intorbidita dall’esplosione fu spinta verso l’esterno, scomparve e fu rimpiazzata da un tumulto bianco di schizzi e ribollii.

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