Se si scuoteva il globo, una nuvola di piccoli fiocchi di neve candidi turbinava nel liquido all’interno e si posava delicatamente sulla miniatura di un noto monumento di Ankh-Morpork. In alcuni globi era l’Università o la Torre delle Arti, il Ponte di Ottone o il Palazzo del Patrizio. I dettagli erano strabilianti.
E non ce n’erano più. È un peccato, pensò Rovina. Dal momento che non erano tecnicamente suoi (anche se moralmente, certo, moralmente erano suoi), non poteva lamentarsi. Cioè, ovviamente poteva, ma solo a mezza bocca e con nessuno in particolare. Ma forse era meglio così, se ci pensavi. Tanta roba a poco prezzo. Liberati di tutto… rendeva più facile dire, dopo, «Chi? Io?» con aria offesa.
Però erano proprio carini. A parte, cosa strana, per la scritta. Era sul fondo di ciascun globo, in lettere incerte e dilettantesche, come se qualcuno che non aveva mai visto la scrittura cercasse di copiarla. Sul fondo dei globi, sotto i piccoli, intricati edifici coperti di neve, c’erano le parole:
un pre ente
da ankh-morpork
Mustrum Ridcully, Arcicancelliere dell’Università Invisibile, era un autoconditore [7] Persona che di sicuro aggiungerà sale e probabilmente pepe su qualsiasi pietanza le si metta davanti, qualsiasi siano gli ingredienti, quanto sale e pepe contengano e soprattutto che sapore abbiano. Psicologi comportamentali che lavorano per le catene di fast-food in tutto l’universo hanno fatto risparmiare miliardi della valuta locale (qualunque essa sia) studiando il fenomeno dell’autocondimento e consigliando i loro datori di lavoro di non condire affatto le pietanze. È la santa verità.
senza vergogna. Aveva un suo contenitore personale che gli veniva messo davanti a ogni pasto. Conteneva sale, tre tipi di pepe, quattro tipi di senape, quattro tipi di aceto, quindici tipi diversi di chutney e la sua preferita, la salsa Wow-Wow: un misto di scumble invecchiata, cetrioli in salamoia, capperi, senape, mango, fichi, wahooni alla griglia, essenza di acciuga, assafetida e, significativamente, zolfo e salnitro per una maggiore potenza. Ridcully aveva ereditato la formula da suo zio che una sera, dopo una mezza pinta di salsa durante una cena robusta, aveva mangiato un biscotto al carbone per sistemarsi lo stomaco, aveva acceso la pipa ed era scomparso in circostanze misteriose, anche se l’estate successiva le sue scarpe erano state ritrovate sul tetto.
C’era montone freddo per pranzo. Il montone andava benissimo con la salsa Wow-Wow; la sera della morte di Ridcully senior, per esempio, era andato perlomeno per tre miglia.
Mustrum si legò il tovagliolo al collo, si fregò le mani e fece per prendere la salsa.
Il contenitore si spostò.
Ridcully tese di nuovo la mano. Il contenitore slittò via.
Ridcully sospirò.
«Va bene, gente» disse. «Conoscete le regole: niente magia a tavola. Chi è che fa scherzi idioti?»
Gli altri maghi anziani lo fissarono.
«Io, io, io non credo che possiamo giocarci più» disse il Tesoriere, che di tanto in tanto rimbalzava sulle pareti della sanità mentale. «Io, io, io credo che abbiamo perso dei pezzi…»
Si guardò intorno, ridacchiò e tornò a cercare di tagliare il suo montone con il cucchiaio. Al momento gli altri maghi gli tenevano lontani i coltelli.
Tutto il set da condimento si alzò in volo e cominciò a ruotare lentamente su se stesso. Poi esplose.
I maghi, sgocciolando aceto e spezie costose, lo guardarono con occhi tondi.
«Probabilmente è stata la salsa» azzardò il Decano. «Ieri sera aveva proprio raggiunto un punto critico».
Qualcosa gli cadde sulla testa, poi finì nel suo pranzo. Era una vite di ferro nero, lunga diversi centimetri.
Un’altra procurò al Tesoriere una lieve commozione cerebrale.
Dopo un paio di secondi, una terza vite si conficcò sul tavolo accanto alle mani dell’Arcicancelliere.
I maghi guardarono in su.
L’Aula Magna era illuminata di sera da un enorme lampadario, anche se il termine associato così spesso a oggetti di vetro scintillanti e prismatici sembrava poco appropriato per l’enorme, pesante aggeggio nero e incrostato di sego che pendeva dal soffitto come una minaccia di bancarotta. Poteva reggere un migliaio di candele. Era appeso direttamente sul tavolo dei maghi anziani.
Un’altra vite tintinnò sul pavimento accanto al camino.
L’Arcicancelliere si schiarì la voce.
«Via?» suggerì.
Il lampadario cadde.
Pezzi di tavolo e di stoviglie si conficcarono nelle pareti. Letali agglomerati di sego, delle dimensioni di una testa d’uomo, furono proiettati fuori dalle finestre. Una candela intera, sparata a folle velocità dalla caduta, si piantò per diversi centimetri in una porta.
L’Arcicancelliere si districò da ciò che rimaneva della sua sedia.
«Tesoriere!» urlò.
Il Tesoriere fu riesumato dal camino.
«Ehm, sì, Arcicancelliere?» disse con voce tremula.
«Che significa questo?»
Il cappello di Ridcully gli si sollevò dalla testa.
Era un normale cappello a punta da mago con la tesa floscia, ma era stato adattato alla vita all’aperto del suo proprietario. C’erano attaccate delle esche; una balestra molto piccola era infilata nel nastro, nel caso in cui vedesse qualcosa a cui sparare mentre faceva jogging, e Mustrum Ridcully aveva scoperto che la punta era esattamente della misura di una bottiglietta di Brandy Particolare Stravecchio di Bentinck. Era molto attaccato al suo cappello.
Era il cappello che non era più attaccato a lui.
Fluttuò dolcemente per la stanza. Si sentì un flebile ma distinto gorgoglio da deglutizione.
L’Arcicancelliere balzò in piedi. «Miseria schifosa!» ruggì. «Quella roba costa nove dollari al quinto!» Cercò di acchiapparlo con un salto, non ci riuscì, ma continuò a salire fino a diversi metri di altezza.
Il Tesoriere alzò la mano, nervoso.
«Tarli, magari?» disse.
«Un’altra mossa come questa» ruggì Ridcully, «anche solo una, e mi arrabbio sul serio, è chiaro?»
Cadde a terra nel momento esatto in cui le porte si aprirono. Uno degli uscieri dell’Università irruppe nella stanza, seguito da una squadra delle guardie di palazzo del Patrizio.
Il capitano squadrò l’Arcicancelliere con l’espressione di uno che pronuncia la parola ‘civile’ con lo stesso tono di ‘scarafaggio’.
«Lei è il capo?» chiese.
L’Arcicancelliere si lisciò la veste e cercò di raddrizzare la barba.
«Sì, sono l’Arcicancelliere di questa Università» disse.
Il capitano delle guardie si guardò intorno con curiosità. Gli studenti erano tutti al riparo all’altro capo della stanza. Resti di cibo coprivano le pareti per quasi tutta l’altezza. Pezzi di mobilia erano sparsi intorno alle macerie del lampadario come alberi intorno al punto d’impatto di un meteorite.
Poi parlò con tutto il disgusto di una persona la cui istruzione si è fermata all’età di nove anni, ma che ha sentito delle storie…
«Si indulge nei piaceri dell’alcol, eh?» disse. «Si gioca a boccette con i panini?»
«Posso sapere il motivo di questa intrusione?» disse freddamente Ridcully.
Il capitano delle guardie si appoggiò alla sua lancia.
«Ecco» disse, «le cose stanno così. Il Patrizio è barricato nella sua stanza da letto, perché tutti i mobili del Palazzo se ne vanno in giro sfrecciando che non ci si crede, e i cuochi non vogliono tornare in cucina per quello che succede anche lì…»
I maghi cercavano di non guardare la punta della lancia. Si stava svitando.
«Insomma» proseguì il capitano, ignaro del lieve rumore metallico, «il Patrizio mi chiama attraverso il buco della serratura e mi fa: ‘Douglas, mi chiedevo se potessi fare un salto all’Università e chiedere al capo di essere così gentile da passare di qui, se non è troppo disturbo?’ Ma posso sempre tornare a dirgli che è occupato in questioni goliardiche, se crede».
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