Margaret Weis - Il destino dei gemelli
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Otik Sandeth era in piedi accanto alla porta intento a ringraziare tutti per essere venuti e assicurandoli che la locanda sarebbe stata nuovamente aperta l’indomani sera. Quando tutti se ne furono andati, Tanis si avvicinò al proprietario in pensione, sentendosi impacciato e imbarazzato.
Ma Otik lo fermò prima che potesse parlare.
Stringendo la mano nella sua, l’anziano bisbigliò: «Sono lieto che tu sia tornato. Chiudi a chiave quando avrai finito.» Lanciò un’occhiata a Tika, poi con un’espressione da cospiratore fece cenno al mezzelfo di venire avanti. «Tanis,» proseguì in un sussurro, «se ti dovesse capitare di vedere Tika che sottrae qualcosa dalla cassetta dei soldi, non badarci. Un giorno li ripagherà. Io fingo di non accorgermene.» Il suo sguardo andò a Caramon, e scosse tristemente la testa. «So che sarai in grado di dare aiuto,» mormorò, poi annuì e si allontanò nella notte con andatura rigida e passo pesante, appoggiandosi al suo bastone.
Aiuto! pensò Tanis, furibondo. Lui era venuto a cercare il suo aiuto. Caramon, russando in maniera particolarmente rumorosa, emerse in parte dai fumi dell’alcool, ruttò pestilenziali zaffate dello spirito dei nani, poi si riadagiò per dormire. Tanis rivolse un’occhiata desolata a Riverwind, poi scosse la testa disperato.
Crysania fissava Caramon con pietà mista a disgusto. «Pover’uomo,» disse con voce sommessa. Il medaglione di Paladine risplendeva alla luce delle candele. «Forse io...»
«Non c’è niente che tu possa fare per lui!» gridò Tika con amarezza, piangendo. «Non ha bisogno di essere curato. È ubriaco, non riesci a vederlo? Ubriaco marcio!»
Stupita, Crysania volse lo sguardo su Tika, ma prima che il chierico potesse dire qualcosa, Tanis si affrettò a tornare da Caramon. «Aiutami, Riverwind,» disse. «Portiamolo a cas...»
«Oh, lasciatelo stare!» sbottò Tika, asciugandosi gli occhi con l’angolo del grembiule. «Ha passato abbastanza notti sul pavimento qua fuori. Un’altra non farà differenza.» Si rivolse a Tanis. «Volevo dirtelo, davvero, ma pensavo... ho continuato a sperare... era eccitato quand’è arrivata la tua lettera. Era...be’, più simile a se stesso di quanto l’avessi visto da lungo tempo a questa parte. Pensavo che forse questo potesse servire. Che potesse cambiare. Così vi ho lasciato venire.» Piegò la testa. «Mi spiace...»
Tanis si era fermato accanto al grande guerriero, indeciso sul da farsi. «Non capisco. Da quanto tempo...»
«È per questo che non abbiamo potuto venire al tuo matrimonio, Tanis» disse Tika, torcendo il grembiule e facendone tanti nodi. «Avrei tanto voluto venirci. Ma...» Ricominciò a piangere. Dezra le mise le braccia al collo.
«Siediti, Tika,» mormorò Dezra, aiutandola a sedersi in uno scomparto di legno con sgabelli dall’alto schienale.
Le gambe mancarono all’improvviso a Tika, che si accasciò, nascondendosi la testa fra le braccia.
«Sediamoci tutti quanti,» disse Tanis con fermezza, «e cerchiamo di capire quello che sta succedendo. Tu, là,» il mezzelfo fece segno al nano dei burroni, che li stava sbirciando da sotto il bancone di legno, «portaci una brocca di birra e dei boccali, del vino per Dama Crysania e delle patate speziate...»
Tanis ristette; il nano dei burroni lo stava fissando in preda alla confusione, gli occhi sgranati, la bocca spalancata e penzolante per lo sconcerto.
«Meglio che vada a prenderli io, Tanis,» si offrì Dezra, sorridendo. «È probabile che ti ritroveresti con una brocca di patate, se fosse Raf a occuparsene.»
«Me aiutare!» protestò Raf, indignato.
«Tu porta fuori la spazzatura!» gli intimò Dezra.
«Me grande aiuto...» borbottò Raf sconsolato mentre usciva strascicando i piedi, tirando un calcio alle gambe del tavolo per alleviare la sua sensibilità ferita.
«Le vostre stanze sono nella parte nuova della locanda,» mormorò Tika. «Ve le faccio vedere...»
«Le troveremo più tardi,» disse Riverwind con severità, ma quando guardò Tika i suoi occhi erano pieni di cortese comprensione. «Siediti e parla con Tanis, deve partire al più presto.»
«Maledizione, il mio cavallo!» esclamò Tanis, balzando in piedi all’improvviso. «Avevo chiesto al ragazzo di portarlo fuori...»
«Vado io,» si offrì Riverwind.
«No, faccio io. Mi ci vorrà soltanto un momento...»
«Amico mio,» disse Riverwind con voce sommessa passandogli accanto, «ho bisogno di stare all’aria aperta! Tornerò per aiutarti a...» Indicò con un cenno del capo Caramon che russava.
Tanis tornò a sedersi, sollevato. L’uomo delle pianure se ne andò. Crysania si sedette accanto a Tanis sul lato opposto della stanza, fissando perplessa Caramon. Tanis continuò a parlare con Tika di questioni di poco conto, fino a quando lei non fu in grado di risollevarsi a sedere e perfino di accennare a un sorriso. Quando Dezra ritornò con le bevande, Tika parve più rilassata, anche se il suo volto era ancora tirato e teso. Tanis notò che Crysania quasi non toccava il suo vino. Si limitava a starsene seduta, lanciando delle occasionali occhiate a Caramon. Il solco scuro era riapparso ancora una volta fra le sue sopracciglia. Tanis sapeva che avrebbe dovuto spiegarle quello che stava accadendo, ma voleva che prima qualcuno lo spiegasse a lui.
«Quand’è cominciata questa...» iniziò a dire con esitazione.
«Cominciata?» Tika sospirò. «Circa sei mesi dopo che eravamo ritornati qui.» Il suo sguardo andò a Caramon. «Era così felice, nei primi tempi. La città era un caos, Tanis. L’inverno era stato terribile per i sopravvissuti. La maggior parte di loro stava morendo di fame, i soldati draconici e i goblin avevano portato via tutto. Quelli le cui case erano state distrutte vivevano in qualunque rifugio fossero riusciti a trovare: caverne, catapecchie. Quando tornammo, i draconici avevano già abbandonato la città, e la gente aveva cominciato a ricostruire. Accolsero Caramon come un eroe: i bardi erano già passati di qua cantando le loro canzoni sulla sconfitta della Regina.»
Gli occhi di Tika si riempirono di lacrime luccicanti e del ricordo dell’orgoglio di allora.
«Per un po’ è stato così felice, Tanis. La gente aveva bisogno di lui. Lavorava giorno e notte tagliando alberi, trasportando il legname dalle montagne, erigendo case. Si era messo perfino a lavorare come fabbro, dal momento che Theros non c’era più. Oh, non era molto bravo!» Tika esibì un triste sorriso. «Ma era felice e nessuno ci badava. Fabbricava chiodi e ferri di cavallo e ruote per i carri. Quel primo anno fu buono per noi... davvero buono. Ci eravamo sposati e Caramon pareva essersi dimenticato di... di...» Tika deglutì. Tanis le batté sulla mano e, dopo aver mangiato un po’ e bevuto un po’ di vino in silenzio, Tika fu in grado di continuare:
«Ma un anno fa, in primavera, ogni cosa cominciò a cambiare. A Caramon successe qualcosa. Non sono sicura di cosa fosse. Aveva qualcosa a che fare con...» s’interruppe, scosse la testa. «La città era prospera. Un fabbro che era stato tenuto prigioniero a Pax Tharkas si trasferì qui e rilevò il suo lavoro. Oh, la gente aveva ancora bisogno che venissero costruite case, ma non c’era fretta. Io presi in mano la gestione della locanda.» Tika scrollò le spalle. «Immagino che Caramon si sia trovato con troppo tempo a sua disposizione.»
«Nessuno aveva bisogno di lui,» commentò Tanis, scuro in volto.
«Neppure io...» disse Tika, deglutendo e asciugandosi gli occhi. «Forse è colpa mia...»
«No,» replicò Tanis, i suoi pensieri e i suoi ricordi erano molto lontani. «Non colpa tua, Tika. Credo che sappiamo di chi è la colpa.»
«Comunque,» Tika tirò un profondo respiro, «ho cercato di aiutarlo, ma avevo talmente da fare qui... Ho suggerito ogni genere di cose in cui poteva impegnarsi, e lui ci ha provato, ci ha provato sul serio. Ha aiutato il poliziotto del posto a braccare i draconici rinnegati. Per un po’ ha fatto da guardia del corpo, facendosi assoldare dalla gente che viaggiava fino ad Haven. Ma nessuno lo ha mai assunto due volte.» Abbassò la voce. «Poi, un giorno, lo scorso inverno, il gruppo che lui avrebbe dovuto proteggere tornò indietro trascinandolo su una slitta. Era ubriaco fradicio. Avevano finito per essere loro a proteggere lui! Da allora ha passato tutto il suo tempo a dormire, o a mangiare, o a trovarsi con alcuni ex mercenari al Trough, quel sudicio locale all’altro capo della città.»
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