Robert Jordan - Il sentiero dei pugnali

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La lancia di uno Shaido aveva ucciso suo padre, la fame e gli stenti si erano presi la madre, eppure, anche se fosse stata lei stessa ad ammazzarli entrambi, Olver restava sempre un assassino dell’albero, un Cairhienese. Perché lei doveva preoccuparsi di un ragazzino in cui scorreva quel sangue?

Perché? Provò a concentrarsi sulla tessitura che doveva intrecciare, ma anche se l’aveva provata sotto lo sguardo di Elayne fino a essere capace di rifarla nel sonno, il volto di Olver con la sua bocca larga continuava a intralciarla. Birgitte si preoccupava anche più di lei per quel ragazzino, ma il seno di Birgitte nascondeva un cuore stranamente tenero quando si trattava di ragazzini, meglio ancora se brutti.

Sospirando, Aviendha smise di provare inutilmente a ignorare la conversazione dei suoi compagni, anche se nelle parole che si scambiavano l’irritazione crepitava come un fulmine ardente. Ma anche quello era meglio che lasciarsi prendere dalla preoccupazione per gli assassini dell’albero.

Gli spergiuri. Un sangue maledetto che insozzava il mondo. Non meritava la sua preoccupazione, la sua ansia. Per niente. E, in ogni caso, Mat Cauthon avrebbe trovato quel ragazzino. Sembrava capace di trovare qualsiasi cosa. Quando cominciò ad ascoltare gli altri, Aviendha si calmò. Anche il prurito andò via.

«Non mi piace neanche un po’!» stava mormorando Nynaeve, portando avanti una discussione cominciata nelle loro stanze. «Neanche un po’, Lan, mi hai sentito?» Aveva già annunciato la propria contrarietà almeno venti volte, ma Nynaeve non si arrendeva nemmeno davanti alla sconfitta. Bassa e con gli occhi scuri, incedeva con una certa ferocia, scalciando la gonna blu divisa, una mano sospesa a mezz’aria vicino alla grossa treccia prima di riscendere all’improvviso solo per alzarsi di nuovo. Nynaeve teneva bene a freno rabbia e irritazione quando c’era Lan. O almeno ci provava. Era molto orgogliosa per averlo sposato. L’aderente giubba di seta blu, ricamata e con striature di giallo, era aperta sul vestito da cavallerizza che mostrava fin troppo seno, com’era nelle usanze degli abitanti delle terre bagnate, e tutto questo solo per tenere in vista il grosso anello d’oro di Lan che lei portava appeso a un’elegante collanina. «Non hai alcun diritto di promettere che ti prenderai cura di me, Lan Mandragoran» proseguì con fermezza Nynaeve. «Non sono una statuina di porcellana!»

Lui le camminava accanto, molto più alto, con il mantello da Custode che gli pendeva sulla schiena e faceva star male chi lo guardava. Il volto sembrava scolpito nella pietra, gli occhi soppesavano ogni servitore per valutarne la minacciosità, esaminavano ogni corridoio laterale e ogni nicchia alla ricerca di nemici in agguato. Il suo corpo emanava prontezza, un leone pronto al balzo. Aviendha era cresciuta in mezzo a uomini pericolosi, ma nessuno di quelli era paragonabile ad Aan’allein. Se la morte si fosse dovuta incarnare in un uomo, avrebbe scelto lui.

«Tu sei un’Aes Sedai e io un Custode» disse Lan con voce profonda e calma. «Prendermi cura di te è il mio dovere.» Il tono si addolcì, un contrasto stridente col volto spigoloso e gli occhi impassibili e inespressivi.

«Inoltre, è il desiderio del mio cuore, Nynaeve. Puoi chiedermi o ordinarmi qualsiasi cosa, ma non di lasciarti morire senza nemmeno provare a salvarti. Quando morirai tu, morirò anch’io.»

Questo non l’aveva mai detto, almeno non in presenza di Aviendha, e Nynaeve parve colpita da un pugno allo stomaco; gli occhi quasi le uscirono dalle orbite e la bocca si muoveva, ma senza emettere suoni. Come sempre, però, la donna si riprese in fretta. Fingendo di sistemarsi il cappello blu con le piume, un oggetto ridicolo simile a un uccello che le avesse fatto il nido sulla testa, lanciò un’occhiata a Lan da sotto l’ampia tesa.

Aviendha aveva cominciato a sospettare che Nynaeve spesso usasse il silenzio e degli sguardi secondo lei significativi per nascondere la propria ignoranza. Forse Nynaeve non ne sapeva molto più di lei sugli uomini, né era molto più brava a gestirne uno. Affrontarli con lance e pugnali era più facile che amarli. Molto più facile. Come facevano le donne a sposarli?

Aviendha aveva un disperato bisogno di imparare, ma non sapeva come.

Sposata con Aan’allein solo da un giorno, Nynaeve era cambiata molto, e non solo perché provava a tenere a bada il carattere. Sembrava oscillare tra stupore e confusione, per quanto si sforzasse di nasconderlo. Sognava a occhi aperti nei momenti più strani, arrossiva per la più innocente delle domande e — questo però lo negava con accanimento, anche se Aviendha stessa l’aveva vista — ridacchiava senza alcun motivo. Non aveva senso provare a imparare qualcosa da Nynaeve.

«Immagino che anche tu mi rifarai il discorso di Aes Sedai e Custodi, vero?» disse Elayne a Birgitte con una certa freddezza. «Be’, almeno noi non siamo sposate. Mi aspetto che tu mi guardi le spalle, non che fai promesse alle mie spalle.» Elayne indossava abiti indecenti quanto quelli di Nynaeve, un vestito da cavallerizza in seta verde decorata nello stile di Ebou Dar, abbastanza accollato ma con un’apertura ovale che le metteva a nudo le curve del seno. Gli abitanti delle terre bagnate cominciavano a balbettare quando si parlava di tende delle saune o di stare nudi davanti ai gai’shain, ma poi camminavano mezzo svestiti dove qualsiasi estraneo poteva vederli. Aviendha non si curava molto di Nynaeve, ma Elayne era la sua sorella prossima. E lei sperava che il loro legame diventasse ancor più stretto.

I tacchi rialzati degli stivali di Birgitte la facevano sembrare almeno di un palmo più alta di Nynaeve, anche se restava comunque più bassa di Elayne o Aviendha. Con una giubba blu scuro e larghi pantaloni verdi, aveva quasi lo stesso portamento di Lan, un insieme di attenzione, sicurezza e prontezza di riflessi, anche se lei sembrava più disinvolta. Un leopardo steso su una roccia, ma quell’indolenza era solo una maschera. Non c’erano frecce incoccate nel suo arco, ma nonostante il passo strascicato e i continui sorrisi era capace di estrarne in un batter d’occhi una dalla faretra che portava in vita, e avrebbe fatto già partire la terza nel tempo che a chiunque altro sarebbe servito ad accostare la seconda alla corda dell’arco.

Rivolse a Elayne un sorriso beffardo e scosse il capo facendo oscillare la sua treccia bionda, lunga e spessa come quella di Nynaeve, che però era scura. «Ti ho fatto la mia promessa faccia a faccia, non alle spalle» disse seccamente. «Quando ne saprai un po’ di più, non dovrò più farti discorsi su Custodi e Aes Sedai.» Elayne tirò su col naso e alzò il mento con fare arrogante, giocherellando coi nastri del cappello, coperto di lunghe piume verdi e persino peggiore di quello di Nynaeve. «Forse un bel po’ di più» aggiunse Birgitte. «Stai legando un altro nodo a quell’arco.»

Se Elayne non fosse stata la sua sorella prossima, Aviendha avrebbe riso per il rossore che le accese le guance. Era sempre divertente riportare coi piedi per terra qualcuno che cercava di volare troppo alto, o guardare qualcun altro che lo faceva, e anche una piccola caduta meritava una risata.

Ma, visto il suo legame con Elayne, Aviendha rivolse a Birgitte un’occhiataccia, facendole capire che se avesse continuato ne avrebbe pagato le conseguenze. Le piaceva quella donna nonostante tutti i suoi segreti, ma la differenza tra un’amica e una sorella prossima era una cosa che quelle abitanti delle terre bagnate non sembravano in grado di comprendere. Birgitte si limitò a sorridere, guardando da lei a Elayne, e mormorò qualcosa tra sé.

Aviendha colse la parola ‘cuccioli’. Cosa anche peggiore, l’aveva detto con voce piena di affetto. E chiunque poteva aver sentito. Chiunque!

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