Stephen Goldin - Spettri, Ragazze E Fantasmi Vari

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Spettri, Ragazze E Fantasmi Vari: краткое содержание, описание и аннотация

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"SPETTRI, RAGAZZE ED ALTRI FANTASMI è una raccolta completa dei racconti brevi di Stephen Goldin, contenente la maggior parte dei racconti della sua prima raccolta L'ULTIMO SPETTRO ED ALTRE STORIE (i racconti ”Angel in Black” sono stati inclusi nel rispettivo volume). Questi racconti spaziano dall'humor al pathos e il divertimento è assicurato!
SPETTRI RAGAZZE E ALTRI FANTASMI è una raccolta completa dei racconti brevi di Stephen Goldin, contenente la maggior parte dei racconti della sua prima raccolta L'ULTIMO SPETTRO ED ALTRE STORIE (i racconti ”Angel in Black” sono stati inclusi nel rispettivo volume). Include alcune delle storie più conosciute, ad esempio la finalista del Premio Nebula ”L'ultimo Spettro” e la pluri-pubblicata ”Sogni d'oro, Melissa!”  
Indice completo:  
Sogni d’oro, Melissa! (Sweet Dreams, Melissa)
Le Ragazze della USSF 193 (The Girls on USSF 193)
Bel Posto da Vedere (Nice Place to Visit)
Quando in Giro non c’è Nessuno (When There’s No Man Around)
Xenofobia (Xenophobe)
Una Favola Triste (Grim Fairy Tale)
Amore, Libera scelta e Scoiattoli Grigi in una Sera d’Estate (Of Love, Free Will, And Gray Squirrels On A Summer Evening)
Testardo (Stubborn)
Ma Soldato. Per la Patria (But As A Soldier, For His Country)
Il Mondo Dove i Desideri si Avverano (The World Where Wishes Worked)
Apollo ex Machina (Apollyon Ex Machina)
Preludio alla Sinfonia delle Grida dei Non-nati (Prelude to a Symphony of Unborn Shouts)
Ritratto in Gioventù del Divino Artista (Portrait of the Artist as a Young God)
L’ultimo Spettro (The Last Ghost)
Case Infestate (Haunted Houses)
I racconti di questa raccolta spaziano dall'humor al pathos e testimoniano l'evoluzione di uno scrittore prolifico nel campo narrativo. Buon divertimento!

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Non avevano idea di chi avesse costruito quella città, quando, o perché. Sapevano soltanto che si era ingoiata sedici persone, ancora vive, eppure apparentemente incapaci di sfuggire, nonostante disponessero delle migliori armi che la Terra potesse fornire. La città generava un campo di energia sconosciuta che si irradiava in forma sferica dal centro verso l’esterno per una certa distanza e mai oltre. Per un po’ alcuni degli uomini che erano entrati in quel campo di energia avevano mantenuto il contatto radio con la navetta: ma le informazioni inviate dagli esploratori erano state quasi inutili perché presto gli uomini avevano iniziato a scivolare in un crescente stato di delirio, per perdere poi completamente contatto con la realtà e interrompere le comunicazioni.

La curiosità della Terra, la necessità di tecnologia che invece questa metropoli rappresentava, erano forti. E per questo motivo sedici persone erano entrate in quella città ed erano impazzite.

Forse sarebbero salite a diciassette.

Espirando rumorosamente, Ryan attraversò il confine.

***

Non accadde nulla. Ryan rimase in attesa, con i muscoli tesi e la mascella serrata, ma non c’era differenza tra le sensazioni di un momento e quelle dell’istante precedente. Tirò ancora fuori dalla tasca il comunicatore, affidandosi al senso di benessere che gli elargiva. “Ho appena passato la demarcazione e sono entrato. Finora non avverto alcun effetto.”

“Bene,” rispose la nave. “Procedi verso il centro città. Muoviti con lentezza e non correre rischi.”

“Ricevuto” disse Ryan, riagganciando.

Le prime costruzioni distavano ancora un centinaio di metri. Ryan si avvicinò con gran decisione. Aveva tutti i sensi in allerta, alla ricerca di un qualche segnale di pericolo, sia pur lieve. Ma nulla si muoveva e gli unici rumori erano quelli provocati dal bisbigliare del vento. La città non aveva alcun odore e ciò era più avvertibile di qualsiasi puzzo. Ryan ebbe come la vaga impressione di entrare in un castello di cristallo: una sensazione che svanì rapidamente.

Arrivò al primo edificio e allungò la mano per toccarlo. Era liscio, duro, come vetro, però opaco; ne’ caldo ne’ freddo sotto le sue dita curiose, ma gli fece formicolare i polpastrelli e lui ritirò la mano. Il punto sfiorato dalle dita mostrava piccoli segni scuri contro la parete altrimenti lattea. Mentre guardava le macchie, queste svanirono e alla fine il muro tornò uniforme.

La parete non presentava aperture ne’ fratture. Ryan ci camminò rasente, in parallelo, ma senza toccarla di nuovo. Cercava un varco, una qualche apertura da cui entrare nella costruzione. Il muro appariva liscio, duro e continuo, apparentemente senza entrate; finché improvvisamente ecco che una sezione mandò un bagliore e scomparve, lasciando a disposizione di Ryan uno spazioso portale d’ingresso. Ryan sobbalzò per la sorpresa; poi tirò fuori il comunicatore e descrisse quest’ultimo avvenimento alla navetta orbitante sopra di lui.

“E’ accaduto qualcos’altro di potenzialmente pericoloso?” fu la risposta.

“Non ancora. Non c’è alcun segno di vita, a parte l’apparizione di questa porta.”

“Allora dovrai rischiare, entrare ed esplorare” disse freddamente Java-10.

Certo, pensò Ryan, a che che ti frega? Non sei mica tu a giocarti la pelle. “Ricevuto.”

Aveva con sé una torcia, ma bastò un’occhiata all’interno per chiarirgli che non avrebbe dovuto usarla. La costruzione era vivacemente illuminata; il bagliore sembrava diffondersi dalle pareti. Ryan si guardò attorno con curiosità e si addentrò.

L’edificio era assolutamente privo di mobilio. L’unico dettaglio era una larga scala a spirale che si ergeva scalando le pareti cilindriche. L’esploratore torse il collo per seguire il percorso ascendente, che però sembrava proseguire all’infinito. Ogni venticinque scalini c’era uno spazioso pianerottolo con una finestrella al muro da cui si poteva osservare la città sottostante. Sul bordo interno della scala c’era un corrimano in plastica chiara.

Ryan proseguì con lentezza, ancora teso per qualsiasi possibile evenienza. L’eco degli stivali che grattavano il duro pavimento in pietra era quasi assordante in confronto al silenzio totale che copriva il resto della città. Si avvicinò all’inizio delle scale e si appoggiò al corrimano. La plastica risultò fredda ma stranamente confortevole… era come imbattersi in un vecchio amico in mezzo a tutta quell’estraneità. Iniziò a salire con cautela gli scalini, un piede dopo l’altro, con le mani ben ferme sulla ringhiera. Gli occhi scrutavano dappertutto, alla ricerca di qualsiasi concepibile pericolo. Ma non appariva nulla. Poi fu preso dall’impazienza e iniziò a salire le scale correndo.

Si fermò finalmente a riprendere fiato al quarto pianerottolo, forse a sedici metri da terra. La porta era ancora lì, ad attendere pazientemente il suo ritorno, ma da quell’altezza sembrava assai più piccola. Si avvicinò alla finestra, guardò fuori e vide

la città di New York a mezzogiorno e i suoi marciapiedi gremiti di uomini d’affari che staccavano per il pranzo e clienti che transitavano tra un negozio e l’altro con pacchetti sotto alle braccia

sbatté gli occhi e guardò giù di nuovo. C’era soltanto la città aliena, accovacciata e silenziosa, in attesa. Silenzio. Nessun movimento, nessun suono, nessun’ombra.

Con le mani tremanti, Ryan praticamente strappò il comunicatore dalla tasca. Lasciò che le dita scosse carezzassero per un attimo la forma, poi chiamò nuovamente l’astronave. “Qui Ryan, chiamo Java-10. Ho appena avuto un’allucinazione.” Continuò brevemente descrivendo ciò che gli era apparso per un secondo fuori dalla finestra.

“Interessante” scherzò il computer. “Questo coincide con i racconti delle allucinazioni sperimentate dai tuoi predecessori. Ti sta cominciando ad accadere ciò che è successo a loro. Devi raddoppiare le cautele, d’ora in poi.”

Ryan si sedette su un gradino per ricomporsi. Avrebbe tanto voluto che per quella missione gli fosse stata concessa la compagnia del suo collega, Bill Tremain. Lui e Bill lavoravano in coppia dai tempi dei corsi d’addestramento: insieme avevano esplorato più di trenta mondi, confrontandosi con l’ignoto fianco a fianco. Se Bill fosse stato con lui in quel momento, sicuramente non si sarebbe sentito tanto solo. Ma il computer non voleva mettere in gioco più personale di quanto non fosse assolutamente necessario. Inoltre tutte le esplorazioni precedenti erano formate da squadre di due o più persone e avevano fallito; forse un uomo solo aveva maggiori possibilità di riuscita.

Con la coda dell’occhio Ryan fu attratto da un movimento; scattò rapidamente con la testa e vide una parvenza di figura umana che correva per le scale sotto di lui, per poi svanire. Un tipo con i capelli rossi. L’immagine di Bill Tremain. Palesemente ridicolo perché Bill Tremain era a bordo della navetta.

Eppure Ryan riscese lentamente i gradini per controllare. Naturalmente non c’era nessuno; la parete dietro le scale era liscia e dura e non presentava nascondigli per una persona in fuga. No, l’edificio era deserto, eccezion fatta per lui. Lo dimostrava il silenzio.

“Jeff, cerchi qualcosa?” udì da una voce sopra di lui.

***

L’uomo in piedi sul terzo pianerottolo non era il collega di Ryan. Era invece Richard Bael, una vecchia conoscenza dei giorni dell’Accademia. “Oh, non ti preoccupare” sorrise Bael. “Sono alquanto reale.”

Era logico. Bael era stato uno dei primi sedici a entrare nella città. “Come sei arrivato qui?” balbettò Ryan.

“Oh,” disse noncurante Bael, “ci sono dei modi.” Iniziò a salire le scale con agilità. “Imparerai in una settimana o due.”

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