Gli altri persero il sorriso. Tutti ma non Bael, il cui buon umore pareva incrollabile. “Non penso” disse sommesso, “che la città lo lascerebbe accadere.”
Toccò a Ryan rimanere un attimo in silenzio. “Ne parli come se fosse un essere vivente.”
“Se lo è o no, io non ne ho la minima idea. Ma dopo esser stato qui per un po’ cominci a chiedertelo. Certamente sa quel che ci passa per la testa. Agisce secondo i nostri pensieri e modella i nostri sogni. Ci ama, Jeff… e non lascerà che ci accada nulla di male.”
Ryan sentì un brivido freddo salirgli per la spina dorsale. Bael era serio, come solo un folle può essere. Inghiottì a vuoto e disse: “Eppure non vorrei esser qui a mettere alla prova il suo amore quando inizieranno a cadere le bombe.”
“Sei libero di andartene quando vuoi” sottolineò Bael. “Non ti ferma mica nessuno.”
Sorpreso, Ryan si rese conto che Bael aveva ragione. Aveva dato per certo di trovare annidata in qualche parte della città una forza diabolica che avrebbe cercato di trattenerlo contro la sua volontà. Invece fino a quel momento si era imbattuto soltanto in una tecnologia straordinaria e in sedici amichevoli matti. Non era ancora crollato – non ancora – per la follia degli altri, non percepiva alcuna strana costrizione che gli impedisse di andarsene: avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento.
“Beh, certo…” disse Tashiro Surakami, uno degli altri esploratori che Ryan conosceva appena “Java-10 non sarebbe contento se tu lo facessi.”
Ecco il problema. Andandosene in quel momento non avrebbe avuto nulla di significativo da riferire. Era stato inviato per scoprire perché quegli uomini non avevano fatto ritorno sulle loro navi. Fino ad allora, eccezion fatta per le generalizzazioni edonistiche di Bae, non aveva alcuno spunto per capirne il motivo. Andandosene al momento e tornare alla nave sarebbe stato come non esser sbarcato affatto.
“Ho ancora il mio lavoro da fare,” insistette testardo Ryan. “Non lascio tutto a metà. Devo scoprire perché…” E si fermò.
“Perché siamo impazziti?” terminò Bael al suo posto. “Da questa parte della siepe, invece, è il perché siamo rinsaviti. La risposta è tutta intorno a noi, occorre solo fermarsi a cercarla. Per te gli altri, e anche io probabilmente, siamo solo una distrazione. Forse ti farebbe bene restar solo per un poco. Amici, lasciamo Jeff qui per un po’. Ricordati, Jeff, se vuoi parlare con qualcuno, facci un fischio. Qualcuno ti sentirà.”
Bael e gli altri si allontanarono, parlando e ridendo fra di loro. Era come se per loro Ryan avesse improvvisamente cessato di esistere. Un minuto dopo erano scomparsi tutti. Era calato di nuovo quel silenzio soffocante e Ryan si ritrovò seduto in una città apparentemente deserta.
L’esploratore afferrò rapidamente il comunicatore e ci vomitò un rapporto disperato per la navicella sopra di sé. Sperava in un consiglio, ma la navetta confermò asciutta di aver ricevuto il messaggio, poi gli disse di rimanere cauto e staccò.
Si avvide della ragazza soltanto alzandosi.
***
La fissò per un lungo momento, incapace di dire alcunché.
La ragazza non provò gli stessi impedimenti. “Salve Jeff” disse in tono dolce. “Ti ricordi di me?”
Ricordarsi? E come poter dimenticare Dorothy, la prima ragazza con cui avesse mai dormito? Dorothy, con il seno piccolo ma femminile, la risata acuta, il suo caldo desiderio di compiacere….
“Non esisti,” affermò piatto Ryan. “Non sei reale.”
Dorothy piegò la testa di lato in quel suo strano modo, come faceva di solito quando lui diceva qualcosa e lei non capiva. “Ah no?”
“Non sono nello spirito giusto per giocare a domanda e risposta. Prima Bael, ora tu. Qualsiasi cosa tu sia, non sei Dorothy. Lei è a cento parsec da qui, è sposata e ha tre figli. Sei soltanto un bluff. Vattene.”
Dorothy si guardò i piedi senza muoversi. “Tu non mi ami più.”
“Senti” disse Ryan, “ammetto che sei una bella bufala. Ma lo so che non sei reale. Non è colpa tua…. Tu ci hai provato.”
“Non sono reale?” Dorothy alzò lo sguardo con gli occhi rossi colmi di lacrime e la voce rotta. “Tu mi vedi e mi senti, non è vero? Se mi vieni un poco più vicino puoi sentire il mio profumo. Se allunghi la mano puoi toccarmi. Se mi mordi, mi assaggi. Quanto devo essere più reale di così?” La sua supplica rasentava l’isteria.
Ryan esitò. Era per forza un’allucinazione, su questo non c’erano dubbi. L’ufficiale ben addestrato che era in lui desiderava afferrare il comunicatore che aveva in tasca. Ma l’uomo che aveva in sé diceva di no. E una terza parte della sua mente continuava a ripetere “Tu sei pazzo.” Ma qual’era la parte pazza? Non poteva certo amare un prodotto della sua immaginazione che in qualche modo si era materializzato davanti a lui. Questa Dorothy era fredda, irreale, il risultato fantasma di una città misteriosa.
E improvvisamente lei gli fu tra le braccia: ed era molto vera e molto viva. Col viso rivolto verso l’alto a cercare il suo. I piccoli seni schiacciati contro di lui, le cosce premute strettamente contro le sue, lievemente ondulanti in modo oltremodo erotico. Ryan cercò di resistere, di dire a se stesso che non stava accadendo. In quanto a bugie aveva vasta scelta, ma in qualche modo Dorothy tra le sue braccia era la bugia più convincente. La mano sinistra le carezzò i capelli sul lato destro del capo. La mano destra di lei armeggiò avida sui bottoni del collo della sua giubba. La bocca premette contro la sua, si aprì e ne uscì di scatto la piccola lingua dura, scorrevole sulle punte dei denti.
Non c’era e non poteva più esserci alcun dubbio. Al diavolo la logica! Era reale. Non era un delirio della sua mente, ma l’articolo vero in carne e ossa. Ryan nuotava in un mare di sensazioni. I due caddero al suolo, che si era fatto, non si sa come, gommoso e resistente. La mente non ebbe modo di ponderare la questione, perché il corpo non glielo permise. Come da secoli accade, la ragione avvizzì contro la passione.
Era talmente coinvolto che non si accorse neppure del ronzìo insistente del suo comunicatore.
***
Più tardi, Dorothy si rialzò. “Devo andare,” disse.
“Devi?”
Annuì. “Ma tornerò in qualsiasi momento tu ne abbia bisogno. Basterà chiamarmi. Capirò.” E sparì.
Ryan giaceva di schiena e fissava il cielo, che era assai più pallido di prima e non abbagliava più dolorosamente gli occhi. Era forse tardo pomerigio. Di lì a pochi minuti si sarebbe dovuto alzare per continuare l’ispezione, ma in quel momento era troppo appagato per muoversi. Anche sbattere gli occhi gli pareva uno sforzo immane…
“Ti diverti?” chiese una voce familiare.
Ryan girò di scatto la testa e vide Bael, in piedi a pochi metri di distanza, che lo fissava con una smorfia. Si rialzò in piedi in preda a un’ondata di colpa, vergogna e rabbia indignata. “Che ci fai qui a spiarmi?”
“Non spio,” disse Bael, e la smorfia si allargò. “Ero nei paraggi e ho pensato di fare un salto. E poi potrei chiedere la stessa cosa io a te…. Solo che io conosco la risposta.”
Ryan non capiva cosa lo facesse arrabbiare di più—la disinvoltura di Bael o la propria incapacità di affrontare quel disertore. Prima di riuscire a pensare qualcosa da dire Bael continuò “immagino che fosse sesso.”
Fu la sua stessa espressione a tradire Ryan. “Immaginavo,” annuì Bael con cognizione. “A quanto pare è la cosa di cui abbiamo più bisogno noi esploratori solitari. Una cosa che il computer della navetta non può darci. La città lo sa, Jeff. Per quanto tu cerchi di nascondere qualcosa che hai in mente, la città lo sa.”
“Tu pensi davvero che sia viva.” Non era una domanda.
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