Stephen Goldin - Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…

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Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…: краткое содержание, описание и аннотация

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Wayne Corrigan e i suoi colleghi della Dramatic Dreams possono  trasmettere i Sogni direttamente nella mente altrui, durante il sonno. In seguito a un malfunzionamento, Wayne deve trovare il modo di salvare decine di migliaia di persone - inclusa la donna che ama - dalla morte o dalla follia, lottando per riprendere il controllo di un Sogno dalle mani di un genio folle...
In un futuro non lontano, la trasmissione dei Sogni è diventata il passatempo ricreativo più alla moda. Indossare una Calotta Onirica durante il sonno permette alla stazione trasmittente di inviare i Sogni direttamente alla mente priva di coscienza, provocando un'esperienza ricreativa tanto intensamente reale da sembrare vissuta di persona.  Wayne Corrigan è un attore ingaggiato dalla Dramatic Dreams, uno degli studi di trasmissione più piccoli dell'area di Los Angeles. Janet Meyers è una sua collega, la donna che Wayne ama, ma a cui non si dichiara per timidezza. Il terzo attore è Vince Ronder, un genio del settore, ciò che si definisce un ”Padrone dei Sogni”, una persona dotata di immaginazione tale da creare nella propria mente interi mondi, da popolare e proiettare poi ai suoi  spettatori. Vince è la superstar dello studio, anche se non sembra vantarsene. Lui ha altri problemi... una madre dominante, religiosamente fanatica. In seguito a un misterioso malfunzionamento, Wayne viene chiamato per entrare in un Sogno iniziato da Vince. All'interno, l'uomo troverà una situazione impazzita con ostaggi che Vince, avviato all'autodistruzione, tiene in pugno. Decine di migliaia di persone, inclusa Janet, che quella notte è in mezzo al pubblico, rischiano la vita o la pazzia se Wayne non riuscirà a trovare il modo di sottrarre il Sogno a Vince. Se non farai del Sogno il tuo Padrone è un viaggio selvaggio e creativo nella mente da incubo di un pazzo...

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SE NON FARAI DEL SOGNO IL TUO PADRONE…

di

Stephen Goldin

Publicato da Parsina Press

Traduzione italiana pubblicata da Tektime

And Not Make Dreams Your Master . Copyright 1981 by Stephen Goldin. All Rights Reserved.

Cover art copyright © Yvonne Less | Dreamstime.com

Titolo originale: And Not Make Dreams Your Master

Dedico esplicitamente questo libro

(perché tutti i miei libri gli sono dedicati, almeno implicitamente) a

ROBERT A. HEINLEIN

che ha sognato il Sogno per tutti noi…

e a Virginia Heinlein

perché lo ha aiutato a diventare la persona che è

INDICE

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Capitolo 15

Capitolo 16

A proposito di Stephen Goldin

Per contattare Stephen Goldin

CAPITOLO 1

Il corridoio si estendeva a perdita d’occhio; contro le pareti bianche e liscie e sul pavimento spiccavano brillanti i tubi fluorescenti. Nell’atrio, fino ad allora deserto, arrivarono correndo un uomo e una donna. Si sarebbe dovuto percepire lo scalpiccìo delle scarpe sul linoleum lucido, ma quel loro inquietante passaggio non produceva alcun suono – se non l’immagine delle pareti vuote che sfrecciavano via. Il tempo era contro di loro, il tempo era loro nemico. Se non avessero raggiunto presto l’obiettivo, i terroristi avrebbero distrutto Los Angeles con la loro rudimentale bomba atomica. Ma il corridoio proseguiva, proseguiva, l’uomo e la donna correvano, correvano, mai una pausa per riprender fiato, mai una sosta per riposare. Sembrava attenderli un tragitto infinito lungo quel cunicolo silenzioso, mentre attorno a loro il mondo tratteneva il fiato. Non si guardavano mai l’un l’altro; i piedi planavano silenziosi sul pavimento liscio. Spasmodici.

D’un colpo davanti a loro si parò la fine del corridoio. Girato un angolo comparve un uomo vestito di nero, armato di fucile, che sfoggiava l’emblema dei terroristi: un cobra rosso cucito sulla spalla sinistra. Lentamente, molto lentamente, sollevò il fucile per sparare alla coppia in avvicinamento.

L’uomo che correva affrettò il passo per affrontare la minaccia, lasciando indietro la compagna. E in quel mentre il terrorista… si modificò. Il suo corpo tremolò, si fece sfocato: la figura singola della persona si divise per formare due immagini separate, distinte, due gemelli siamesi che imbracciavano fucili identici, in posizione minacciosa. Lui/loro sbarrarono il passo all’uomo in avvicinamento, impedendogli di proseguire oltre.

L’uomo che correva si arrestò con una velocità impensabile per fronteggiare quella minaccia sdoppiata; in realtà il terrorista sembrava essere più un pericolo per se stesso che per chiunque altro. I suoi contorni si sfocarono ancor di più e toccarono il pavimento, cercando poi letteralmente di ricompattarsi. Le luci si affievolirono e i muri del corridoio iniziarono a vibrare, sparendo per poi ricomparire. Il fragile filo conduttore della realtà era sul punto di sbriciolarsi.

Poi improvvisamente tutto fu di nuovo normale. Le pareti si stabilizzarono, le luci si rischiararono. C’era un solo terrorista con un solo fucile, ben deciso a tenere alla larga i due intrusi – assolutamente ignaro del fatto che proprio pochi secondi prima la sua persona si era spezzata in due.

L’uomo che correva assestò un pugno al terrorista, allontanando il braccio e poi ripiegandolo, come un arco allentato, direttamente sul volto dell’altro. Fu un colpo ben sferrato; il contatto parve nulla di più dell’impatto con un cuscino. Il viso del terrorista esplose in una pioggia di scintille che ricaddero sul pavimento come polvere di fata. Il corpo privo della testa cedette lentamente verso il suolo, si sciolse in una pozza color carne e poi evaporò.

Si udì un debole scampanellìo che solo l’uomo e la donna percepirono. “Andiamo” disse lui alla compagna. “Non ci resta molto tempo. La bomba esplode fra cinque minuti.”

La donna acconsentì senza parlare e voltò sull’incrocio del corridoio da cui era apparso il terrorista. Iniziò di nuovo a correre e l’uomo l’affiancò proprio mentre attorno a loro il mondo svaniva…

Wayne Corrigan era sdraiato nella sua cabina, fiocamente illuminata: ansimava per lo sforzo. Era il momento di disorientamento che sperimentava sempre nel passaggio dal Sogno alla realtà, l’istante in cui non distingueva il vero dalla finzione; poi il mondo si solidificava di nuovo e lui tornava “a casa”.

Strano pensare a questo posto come casa mia, rifletté. Resto qui soltanto poche ore ogni tre giorni, per giocare alle illusioni. Eppure, a volte tutto ciò che per lui contava ed era reale si trovava in quel minuscolo cubicolo, mentre il mondo di fuori svaniva e si faceva insignificante.

Aprì lentamente gli occhi per fissare il fievole candore del soffitto. Il cranio gli formicolava, infiammato nei ventiquattro punti in cui era stato punzecchiato; quella sensazione gli ricordò che c’era ancora del lavoro da terminare. Era solo un intervallo – l’ultimo della serata. Poi sarebbe stato di nuovo intrappolato nella realtà fino allo spettacolo successivo.

Wayne tornò in fretta alla sua routine post-transazionale. Fletté le dita delle mani e dei piedi e lasciò che ritrovassero il sapore della realtà. Gli arti riprendevano vitalità e lui risucchiava la sensazione su per tutto il fisico, nei muscoli delle braccia e delle gambe; il calore nel petto si riaccese e fluì nuovamente nella testa, sul collo. Pochi esercizi isometrici per informare il corpo che disponeva di nuovo del pieno controllo e per allontanare la rigidità che glielo aveva sottratto mentre lui era via, nella terra dei Sogni.

Ogni volta si stupiva di quanto il suo corpo si stancasse, anche se in realtà rimaneva disteso immobile e pacifico su un lettino. Aveva visto gli studi, però, aveva letto le schede tecniche. Nel Sogno il cervello continuava a inviare comandi silenziosi ai muscoli, ma di solito gli elementi inibitori impedivano al corpo di obbedire. Ed era naturale che il suo fisico ne risentisse, visto che lui proiettava una quantità di Sogni maggiore rispetto alla gente comune.

Ernie White, l’operatore di turno quella notte, si affacciò nel cubicolo.

“Si è svegliata, la Bella Addormentata?” domandò.

Wayne sorrise e lo sforzo lo fece sussultare; erano induriti anche i muscoli facciali.

“Mi sa che intendevi riferirti alla signora qui a fianco.”

“Anche se fosse, è scortese notarlo.” E il viso di White, nero come una scultura d’ebano, svanì dalla soglia.

Wayne si drizzò lentamente gemendo per lo sforzo e rimase seduto. La testa quasi gli sfiorava il soffitto della cabina – che, comunque, non era stata concepita per restare seduti o in piedi. Sollevò allegramente la sua personale corona di spine, la Calotta Onirica, se la tolse dal capo e la poggiò sul lettuccio accanto a sé; poi si mosse verso l’uscita.

Dopo l’oscurità del cubicolo, le luci brillanti della stanza esterna gli fecero lacrimare gli occhi. Scivolando fuori dal suo bozzolo, Wayne ricacciò indietro gocce di pianto e guardò verso sinistra: lì, White aiutava Janet Meyers a uscire dal proprio alloggiamento. Janet sbatté le palpebre per la luce, proprio come Wayne; ma Wayne si era già ripreso e approfittò della momentanea cecità della donna per osservarla nei dettagli.

Da un punto di vista prettamente tecnico Janet Meyers non era una bellezza. Era un po’ troppo alta con l’ossatura un po’ troppo grossa. Aveva il viso tondo e, sulle guance, delle lentiggini appena percettibili. I capelli castani erano secchi e mai perfettamente in ordine; qualche ciocca riusciva sempre a volar via da qualche parte, di solito in mezzo alla fronte. Era ben proporzionata; qualsiasi uomo dotato di gusti normali le avrebbe donato una lunga, persistente occhiata anche se forse non si sarebbe voltato al suo passaggio per dargliene una seconda.

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