Tyla fece finta di non sentirla mentre nuotava fuori dalla stanza.
Il vento soffiava dalle loro schiene mentre la festa dell’Honey B camminava lungo la strada deserta. Non c’era modo di sapere con precisione quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui l’ultimo Letheniano era morto. All’interno di un ordine di grandezza, i migliori test scientifici dicevano che erano diversi millenni.
La strada, un tempo fitta di alberi, era ora soffocata dalla vegetazione, una giungla minore; l’unico modo in cui riconobbero che era una strada era perché era fiancheggiata da edifici su entrambi i lati. Sotto i piedi, quella che in origine era stata terra rigida per il trasporto di animali era esplosa in un campo di erba ed erbacce che arrivavano fino alla vita degli intrusi.
Gli edifici erano ancora in piedi, testimonianza muta del genio e dell’artigianalità dei loro costruttori. Ma il tempo non era stato ostacolato del tutto. Ogni casa aveva grandi fessure che percorrevano quasi tutta la lunghezza dell’edificio. I giardini sul tetto che un tempo erano stati l’orgoglio degli abitanti erano impazziti, le viti ora coprivano i muri della maggior parte delle case, avvolgendole in un abbraccio senza amore. La vernice era sbiadita dalle case sotto il tenue ma costante bagliore del sole rosso sopra, ed era stata sostituita invece dalle macchie di innumerevoli escrementi di uccelli.
La città era ancora la dimora della vita. Gli uccelli brulicavano di profusione, affrontando rabbiosamente l’invasione degli umani. I piccoli animali simili a roditori erano osservati timidamente dalle tane. Anche animali non troppo piccoli vagavano per queste strade; i membri della festa ogni tanto intravedevano qualcosa di grosso che si muoveva attraverso il sottobosco.
Il gruppo dell’astronave era composto da Bred e Tyla, l’Arbitro, Vini, Nezla e Luuj, che arrotolavano il congegno frettoloso di Nezla per fare uscire Bred e Tyla dalla cabina una volta che l’Arbitro avesse confermato che stavano sognando. Camminarono tutti in silenzio in questa città fantasma, intimoriti sia dalla grandiosità di una volta, sua dalla tranquilla devastazione che si era verificata da allora.
La cabina del Sogno era facile da individuare. Solo la città si era tenuta lontana dalla Natura – o forse la Natura si era rifiutata di rivendicarla come una sua. Stava in piedi da sola in un campo arido. Alcuni ciuffi di erba lottarono valorosamente per riempire la breccia, ma per qualche ragione sconosciuta il terreno per tre attorno al separé era morto e devastato; un deserto nel bel mezzo di una giungla.
La cabina era cubica, sei metri ad un lato, e sembrava fatto di cemento bianco. Le sue pareti, come quelle di altri edifici della città, avevano delle crepe ed erano incrostati di escrementi di uccelli. Al centro del muro di fronte alla strada c’era un ingresso, tre metri di altezza e due di larghezza. Da secoli non viera entrato nessuno, ma rimase a bocca aperta, aspettando che delle nuove vittime entrassero nella sua tenera rete.
Con un’espressione di stupore Nezla sospirò. L’ingegnere dentro di lei stava reagendo all’intera città che era stata. “Sapevano davvero come costruire.”
Bred annuì. “Troppo bene. Se queste Cabine del Sogno non si fossero alzate per tutto questo tempo, non saremmo dovuti venire.”
Lui batté le mani all’improvviso. Il rumore acuto riecheggiò tra le rovine silenziose,- facendo trasalire alcuni uccelli tra gli alberi vicini. “Bene, iniziamo. La tua macchina funziona bene?”
“Come sempre.”
“Vini, hai già capito che cosa ci farai?”
“Non completamente, capo. Vorrei che mi concedessi ancora un paio di giorni per lavorarci sopra.”
“Non ne abbiamo il tempo,” Tyla interruppe pigramente. “Dobbiamo battere Jusser.”
Vini si strinse nelle spalle. “Sono le tue vite. Lavoro solo qui.”
Bred si rivolse a sua sorella. “Non devi venire con me, lo sai. Sono l’unico che deve entrare là dentro.”
Tyla scosse la testa. “Sto andando. Sai che non puoi fare nulla di buono senza il mio aiuto.”
“Va bene,” sospirò Bred. Egli si girò indietro verso le altre donne. “Assicurati di non tirarci fuori prima che l’Arbitro verifichi che stiamo davvero sognando. Mi dispiacerebbe rivedere il tutto una seconda volta.”
Egli camminò senza esitazioni fino alla porta e si fermò. Tyla lo seguì proprio dietro di lui, camminando a grandi passi. “Spero che non penserai che io sia poco cavalleresco, fratellino,” disse, “ma mi piacerebbe entrare per primo.”
Loro entrarono nella cabina. Era buio, l’unica luce che filtrava attraverso la porta aperta. Quando i loro occhi si adattarono, poterono vedere che l’edificio era solo un cubo vuoto, con pareti spesse mezzo metro e il resto uno spazio aperto. L’interno era dello stesso cemento grigio che stava all’esterno, noioso e informe. C’era una panchina di cemento attraverso la parete in fondo, formata per adattarsi ai lati posteriori dei costruttori originali e troppo stretta per accogliere gli umani. Bred si mise a sedere sul pavimento polveroso di cemento e Tyla, dopo un attimo di esitazione, si sedette accanto a lui.
Attesero in silenzio che si verificasse il meraviglioso evento. Fissarono le pareti, il soffitto, il pavimento, tutto quanto tranne che se stessi. “Perché non succede qualcosa?” disse alla fine Tyla. “Non pensi che abbiamo scelto una cabina che non funziona, vero?”
“Dedichiamo a esso un po’ più di tempo,” rispose Bred. “Se non succede nulla nei prossimi cinque minuti, noi
VIOLETTO
partiremo.”
“Che cos’era quello?”
“Oh, allora
BLU
lo sentivi anche tu? Eccolo di nuovo. Penso che
VERDE
il processo stia cominciando a funzionare.” Tyla rabbrividì. “Ma qual è
GIALLO
lo scopo di questi lampi di
ARANCIONE
colore?”
“Mi sembra che
ROSSO
la cosa stia cercando di ottenere il blocco dei nostri sistemi nervosi
NERO
per vedere come reagiremo ai diversi
NERO
stimoli.”
Tyla capì. “Oh, come
FREDDO
il musicista accorda il suo strumento prima di un
CALDO
concerto o un cantante proverà la scala prima di un’esibizione.”
“Esattamente.”
DOLORE
“Bene,” ammise Tyla, “sta facendo un bel
PIACERE
lavoro. Tutte queste cose mi sembrano reali al
LISCIO
tempo.” Lei si
RUVIDO
rivide. “Bred, ho paura.” La sua voce era un po’ fanciullesca. Si avvicinò a lui che le mise un braccio intorno per confortarla.
AMARO
“Non preoccuparti,” lo calmò. “Il grande fratello è
ACIDO
DOLCE
SALATO
FORTE
SOFFICE
FORTE
DEBOLE
VELOCE
LENTO
LUMINOSO
BUIO
* * *
Il piccolo sole rosso stava combattendo la sua battaglia quotidiana con le nebbie della sera e, come al solito, stava perdendo. Da qualche parte tra gli alberi, un lassadet trillò dolcemente, accogliendo l’oscurità che si stava avvicinando. In lontananza si udì il lento clippity clop clip-clip di qualche ritardatario in cerca di casa sul suo logoro territorio. L’aria era pulita e aveva un delizioso sapore di vino.
Bred scrutò il viale carico di nebbia. Lì, proprio ai limiti della percezione. È stato Tyladerm a tornare, dopo tutto. Lui voleva urlare, ballare e giocare a vaska con delizia sfrenata, ma sapeva che uno spettacolo del genere sarebbe stato sconveniente. Quindi rimase lì in mezzo alla strada, aspettando con impazienza mentre il suo meraviglioso corpo chiazzato di viola si avvicinava.
“Sbrigati!” gridò quando fui finalmente a portata d’orecchio. “Il malathin è già iniziato. Non vogliamo fare troppo tardi.”
Tyladerm si accucciò pigramente e lo guardò in maniera timida. “È quella casa benvenuta che ricevo?” chiese.
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