Robert Sawyer - Origine dell'ibrido

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Origine dell'ibrido: краткое содержание, описание и аннотация

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Mary Vaughan e Ponter Boddit, due scienziati che vogliono avere un figlio. C’è un ostacolo, però: lei appartiene alla specie Homo sapiens ed è nata nel nostro universo, lui è un Neanderthal evoluto e rappresenta la specie dominante di un mondo parallleo. La tecnologia per susperare il gap biologico esiste: è nelle mani di uno scienziato Neanderthal che vive nelle solitudini del suo mondo. Il problema, tuttavia, non è come raggiungerlo, ma come superare la violenza e il razzismo di una pianeta pieno d’odio. Il nostro.

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— Certo — rispose il militare, un po’ irritato. — Come tutto.

— Bene. Andiamo — disse Mary.

— Posso vedere i vostri documenti, per favore? Mary e Louise gli mostrarono i passaporti. — Soddisfatto? — disse Mary. — E adesso, via.

— E lei? — chiese il soldato a Reuben.

— Maledizione, le ho appena fatto vedere la mia qualifica alla Inco. Non ho qui il passaporto.

— Il regolamento…

— Cristo santo! — gridò Mary. — C’è un’emergenza!

Il soldato annuì. — E va bene. Avanti.

Mary si introdusse per prima nel tubo Derkers. Sentendo rumore di passi dietro di sé, non perse nemmeno un secondo a controllare che i due la stessero seguendo.

Uscita che fu dal varco, vide un muscoloso tecnico barast dall’aria incuriosita. Doveva essere la prima volta che arrivavano dei visitatori di corsa.

Mary conosceva di vista quel neanderthal. Anche lui la riconobbe; poi, con enorme stupore di Mary, si lanciò dritto contro Reuben.

All’improvviso, lei comprese l’equivoco: il neanderthal pensava che la stessero inseguendo. — No! — gridò.

— Sono con me! Falli passare!

Il volume con cui gridò era tale che Christine, per farsi sentire, dovette attendere che lei tacesse. Quindi dal polso sinistro si sentirono le parole: — Rak! Ta sooparb nolani, rak! Derpant helk!

Già a metà della traduzione il tecnico tentò di frenare, ma scivolò sul lucido pavimento di granito dell’impianto e andò a sbattere contro Reuben, mandandolo a gambe all’aria. Louise inciampò nel corpo del neanderthal e rovinò a terra.

Mary aiutò Louise a rialzarsi, mentre Reuben si tirava da solo in piedi.

Lupal — disse il tecnico. “Chiedo scusa.”

Mary guidò il terzetto, sempre di corsa, su per i gradini fino in sala controllo. Superato un altro neanderthal esterrefatto, proseguirono lungo il cunicolo che portava agli ascensori.

— Fermi! — urlò il secondo barast. — Dovete fare la decontaminazione!

— Non c’è tempo! È un’emergenza! — replicò Mary.

— No! — la fermò Reuben. — Ha ragione lui. Ricordi la malattia di Ponter? Siamo qui per prevenire un’epidemia, non per diffonderla.

Mary bestemmiò. — Okay. — Osservò i due fidanzati. Di sicuro si erano visti nudi molte volte, ma mai lei.

— Spogliatevi — disse, in preda all’ansia. — Tutto, inclusi orologi e gioielli.

Louise e Reuben si erano abituati alle procedure di decontaminazione già all’Osservatorio di neutrini, ma ebbero un attimo di esitazione. — Forza! — disse Mary. — Non c’è un minuto da perdere.

I due cominciarono a sfilarsi gli abiti.

— Lasciate qui i vestiti — disse Mary, gettando i suoi nella cesta. — Nella stanza accanto ne prenderemo altri.

Completamente nuda, Mary entrò nella camera cilindrica. Insistette perché tutti e tre si sottoponessero alla procedura in una volta sola. Si ritrovarono pigiati, le natiche di Louise premute contro quelle di Mary, il torace di Reuben contro il seno di lei. Ma Mary era troppo nervosa per sentirsi imbarazzata.

Louise emise un gemito quando si attivarono i laser.

— Va tutto bene — le disse Mary, sforzandosi di ignorare quali parti di Reuben fossero a contatto con quali parti del proprio corpo. — L’operazione è sicura e indolore. I laser selezionano e distruggono solo le proteine estranee.

Louise rabbrividì, ma al contempo era affascinata. — E come fanno? Che laser sono?

— Laser a cascata quantistica — rispose lei, ripetendo a pappagallo una spiegazione di Ponter. — Nell’ordine del trilione di cicli per battito.

— Laser regolabili nell’ordine dei terahertz! — esclamò Louise. — Grande! Quanto dura la procedura?

— Tre minuti.

— Ahia, Mary — intervenne Reuben. — Dovresti farti vedere quel neo sulla spalla sinistra.

— Santo cielo, Reuben, non mi pare il momento di… — Ma s’interruppe. Il medico stava facendo esattamente ciò che faceva lei: distrarre la mente con questioni tecniche. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era mettersi a elucubrare su un possibile articolo per “Penthouse”. — Appena possibile andrò dal dermatologo — disse. — Dannato buco nell’ozono.

Poi aggiunse: — Louise, dovrebbe essere comparso un quadrato luminoso sulla porta davanti a te. Lo vedi?

— Sì, semaforo verde. Ottimo! — E stava per uscire.

— Ferma! — la bloccò Mary. — Il verde per i neanderthal è il colore negativo, quello della carne ammuffita. Si può passare quando la luce è rossa.

Louise annuì. A Mary venne il sospetto che forse era stato un errore venire con due persone totalmente inesperte dell’“altro” mondo.

— Rosso! — esclamò Louise.

— Bene — disse Mary. — Puoi aprire la porta. La maniglia ha una forma a stella marina, la vedi? Va spostata verso l’alto.

Un istante dopo, la pressione dei glutei di Louise contro i suoi svanì. Mary fece un passo all’indietro, si voltò e sgattaiolò fuori anche lei. — Da questa parte — disse.

Entrarono nella stanza con gli scaffali, cubici, pieni di vestili. — Quella dovrebbe essere la tua misura, Reuben. E questa la tua, Louise.

I due ebbero parecchie difficoltà con le allacciature degli abiti barast.

Dopo un po’, si infilarono per il cunicolo. Mary sperava che fosse disponibile un veicolo, ma non c’era; l’ultimo doveva averlo preso Jock. Il che significava 3 chilometri di corsa. Erano secoli che Mary non osava tanto, ma l’adrenalina le scorreva a fiumi. Si lanciò per il tunnel.

Su questo lato la luce era molto più fievole che sul lato gliksin, visto che qui per i lavori minerari si utilizzavano operai-robot. Del resto, gli stessi neanderthal avevano bisogno di poca luce per percepire la realtà circostante, data la sensibilità dell’olfatto.

— Quan… to… man… ca? — ansimò Louise da dietro.

Mary fu compiaciuta che la giovane stentasse a tenere il suo passo. — Meno di 3000 metri — gridò.

All’improvviso qualcosa le passò davanti. A Mary sarebbe accelerato il battilo, se già non fosse stato al massimo. Ma era solo un robot. Decise di chiarire la cosa per non spaventare i due amici, e gridò alla macchina: — Aspetta! Torna qui!

Il robot fece dietrofront. Sembrava un granchio lungo due metri, con scandagli conici e cucchiai a semisfera che si protendevano dagli arti snodati.

Ehi, un momento, doveva essere ben resistente. Se sollevava massi, poteva reggere anche… — Ci potresti dare un passaggio? — chiese Mary.

Il Companion tradusse. Sulla corazza del granchio lampeggiò una luce rossa. — Questo modello non è fornito di apparato vocale — spiegò Christine — ma la risposta è sì.

Mary non se lo fece ripetere e saltò in groppa. — Tutti a bordo! — disse agli attoniti Reuben e Louise.

I due, dopo essersi scambiati un’occhiata, presero posto sul carapace metallico. Mary gli assestò un pacca: — Yahhh! Ahhh!

Christine non conosceva quell’espressione, ma ne intuì il senso, e tradusse. Il robot fletté le sei zampe come per valutare il peso del carico, quindi partì così veloce che i passeggeri si sentivano la brezza in faccia. Ogni volta che una zampa centrava una pozzanghera, li raggiungevano schizzi di fango.

— Tenetevi forte! — gridò più volte Mary, per quanto non ci fosse affatto bisogno di quel consiglio. Quanto a lei, si sentiva esplodere la vescica a causa degli urti ripetuti.

Sorpassarono un modello diverso di operaio, che ricordava una mantide. Altri 600 metri, e incrociarono due neanderthal diretti nella direzione opposta, i quali fecero appena in tempo a saltare da un lato per non essere travolti.

Finalmente arrivarono agli ascensori. Grazie a quei due uomini che erano appena scesi, un ascensore era al piano. I tre scivolarono giù dal granchio e si catapultarono nella cabina.

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