Fra i Morlock, invece, la trasmissione del patrimonio genetico era assicurata, non tramite l’individuo o la famiglia, bensì tramite la grande risorsa comune che era la Sfera. Dunque la differenziazione sessuale era diventata superflua, forse persino dannosa, ai fini di un’evoluzione ordinata.
Ripensai con ironia all’ipotesi sulla scomparsa della differenziazione sessuale in un mondo di pace e prosperità, che in precedenza avevo applicato ai raffinati e decadenti Eloi, perché adesso capivo che, in questa versione di storia, erano stati i loro cugini degeneri, i Morlock, a raggiungere quella meta lontana.
Meditando su tutto ciò, in pochi giorni presi una decisione sul mio futuro.
Non potevo rimanere nell’Interno. Dopo aver osservato il mondo dalla prospettiva semidivina che Nebogipfel mi aveva rivelato, non avrei sopportato di dedicare la mia vita e le mie energie a uno qualsiasi degli insignificanti conflitti che martoriavano quelle pianure sconfinate. D’altronde, non avrei potuto restare con Nebogipfel e con i Morlock: non ero un Morlock, e le mie necessità umane mi avrebbero impedito di adattarmi al loro modo di vita.
Inoltre, come ho già detto, mi tormentava il pensiero che da qualche parte esistesse ancora la macchina del tempo, capace di cambiare la storia.
Dopo aver formulato un piano per risolvere tutti questi problemi, convocai Nebogipfel.
— Quando la Sfera venne costruita, si verificò uno scisma — spiegò Nebogipfel. — Chi desiderava vivere come aveva sempre vissuto si stabilì nell’Interno. Chi desiderava liberarsi dall’antico dominio della genetica…
— Divenne Morlock. Ecco perché le guerre, eterne e insignificanti, spazzano come tempeste la superficie sconfinata dell’Interno.
— Esatto.
— Dimmi, Nebogipfel… La Sfera ha forse lo scopo di fornire a questi quasi umani, a questi Nuovi Eloi, lo spazio per combattere le loro guerre senza annientare l’umanità?
— No, naturalmente no. — Il modo in cui Nebogipfel si ombreggiava con il parasole non mi sembrava più comico, bensì pieno di dignità. — La Sfera ha lo scopo di consentire ai Morlock, come tu ci chiami, di disporre dell’energia di una stella per l’acquisizione della conoscenza. — Batté le grandi palpebre. — Quale scopo possono mai avere, infatti, gli esseri intelligenti, se non quello di raccogliere e di conservare tutte le conoscenze disponibili?
La Memoria meccanica della Sfera, mi spiegò Nebogipfel, era una sorta di gigantesca Biblioteca in cui era conservata la saggezza accumulata dalla specie nel corso di mezzo milione di anni. Il paziente lavoro dei Morlock, a cui avevo assistito, era dedicato in gran parte a raccogliere nuove informazioni, oppure a classificare e a interpretare le conoscenze già archiviate.
I Nuovi Morlock erano dunque una specie di studiosi, e tutta l’energia del sole veniva utilizzata per il paziente sviluppo collettivo della grande Biblioteca.
— Capisco tutto questo, o almeno, ne capisco la ragione — risposi, lisciandomi la barba. — Suppongo che non ci sia molta differenza dall’impulso che ha sempre dominato la mia vita. Ma non avete timore che un giorno questa ricerca possa finire? Che cosa farete, per esempio, quando avrete perfezionato la matematica e quando avrete dimostrato la teoria definitiva dell’universo fisico?
Con un altro gesto che aveva imparato da me, Nebogipfel scosse la testa: — Questo non è possibile. Il primo a dimostrarlo fu un tuo contemporaneo: Kurt Gödel.
— Chi?
— Kurt Gödel, un matematico nato una decina d’anni dopo la tua partenza…
Mentre Nebogipfel dimostrava ancora una volta la sua profonda conoscenza della mia epoca, scoprii con sorpresa che quel Gödel aveva dimostrato, negli anni Trenta del ventesimo secolo, che la matematica era inesauribile, e che anzi poteva essere arricchita in eterno assimilando nuovi assiomi, veri o falsi che si dimostrassero.
— Mi fa male la testa solo a pensarci! Posso immaginare l’accoglienza che ricevette quel povero Gödel quando annunciò al mondo la sua scoperta: il mio vecchio professore di algebra l’avrebbe cacciato dall’aula!
— Gödel dimostrò che la nostra ricerca di sapere e conoscenza non può mai avere fine.
— Vi ha fornito uno scopo inesauribile — risposi. Finalmente capii che i Morlock, come monaci pazienti, lavoravano instancabilmente per indagare il funzionamento dell’universo.
Alla Fine del Tempo, la grande Sfera che avvolgeva il sole, con la sua Mente meccanica e i suoi pazienti servi Morlock, sarebbe diventata una sorta di divinità.
Personalmente, concordavo con Nebogipfel: non poteva esistere scopo più elevato per una specie intelligente.
Allora cominciai il discorso che avevo accuratamente preparato: — Voglio tornare sulla Terra, Nebogipfel. Lavorerò con te alla macchina del tempo.
Il Morlock reclinò la testa: — Ne sono lieto. Il contributo delle tue conoscenze sarà immensamente prezioso.
Discutemmo la proposta, ma non fu necessaria una particolare opera di persuasione da parte mia, perché Nebogipfel non m’interrogò, né mi parve insospettito.
Così mi dedicai ai preparativi per abbandonare quell’insulsa prateria, e intanto rimasi assorto nelle mie meditazioni.
Sapevo che Nebogipfel, ansioso di acquisire la tecnica del viaggio temporale, avrebbe accettato la mia proposta, tuttavia alla luce della mia nuova sensibilità per la dignità dei Nuovi Morlock, mi turbava l’idea di dovergli mentire.
Volevo davvero tornare sulla Terra con Nebogipfel, però non avevo nessuna intenzione di rimanervi: non appena mi fossi nuovamente impadronito della macchina del tempo, l’avrei subito usata per fuggire nel passato.
19
Come attraversai lo spazio interplanetario
Fui costretto ad attendere tre giorni prima che Nebogipfel fosse pronto a partire. Mi spiegò che occorreva aspettare che la Terra e la regione della Sfera in cui ci trovavamo assumessero la configurazione appropriata.
Intanto continuai a ripensare al viaggio che stavo per affrontare, ma senza particolare timore, perché anche se privo di sensi avevo compiuto quella traversata già una volta. Mentre mi interrogavo sul propellente usato dalla nave spaziale di Nebogipfel, rammentai l’assurdo cannone e il proiettile gigantesco che Verne aveva fatto sparare dai soci del Gun Club di Baltimora verso la luna. Ma bastava un semplice calcolo mentale per dimostrare che un’accelerazione sufficiente a vincere la gravità terrestre avrebbe anche spappolato i corpi dei viaggiatori — cioè Nebogipfel ed io — sulle pareti interne del veicolo come uno strato di marmellata di fragole.
Quale sistema avremmo usato, dunque?
Com’è noto lo spazio interplanetario è privo d’aria, quindi non avremmo potuto volare come uccelli fino alla Terra, perché essi confidano nella capacità delle ali di sfruttare la resistenza dell’aria: niente aria, niente spinta! Ipotizzai che la nave spaziale utilizzasse un tipo molto perfezionato di razzo, perché volando grazie alla spinta del propellente combusto, poteva funzionare nel vuoto dello spazio, a patto di trasportare l’ossigeno necessario.
Ma queste ipotesi erano basate sulla scienza del diciannovesimo secolo. Come potevo immaginare le risorse a disposizione nell’anno 657.208? Immaginai navi capaci di bordeggiare nella gravità solare come in un vento invisibile, oppure qualche forma di sfruttamento dei campi magnetici, o altro ancora.
Mi lanciai nelle più ardite speculazioni, finché Nebogipfel annunciò che per me era arrivato il momento di lasciare per sempre l’Interno.
Mentre scendevamo nell’oscurità, gettai la testa all’indietro per osservare la luce che si allontanava, e un attimo prima di mettermi gli occhiali giurai che quando i raggi del sole mi avessero di nuovo accarezzato il viso, mi sarei trovato nel mio secolo.
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