Persino la fascia equatoriale tanto simile alla Terra mi sembrò spopolata: vidi brillare nel sole eterno oceani immensi e deserti tanto vasti da contenere pianeti interi, separati da isole mondi che avevano superfici poco più grandi di quella della Terra.
Là vidi un mondo di praterie e di foreste, al di sopra delle quali s’innalzavano gli edifici scintillanti delle città. Vidi un mondo imprigionato nel ghiaccio, i cui abitanti sopravvivevano forse come avevano fatto i miei antenati europei durante le epoche glaciali: mi chiesi se fosse tanto freddo perché era situato sopra una piattaforma immensa, al di fuori dell’atmosfera. In alcuni mondi vidi tracce d’industria: città, fumo di fabbriche, ponti che scavalcavano le baie, scie spumeggianti di navi sui mari cinti di terra, e, talvolta, nell’atmosfera, veli di vapore che sembravano prodotti da aeromobili.
Tutto ciò mi era abbastanza familiare. Alcuni mondi, però, travalicavano le mie capacità di comprensione.
Intravidi città che galleggiavano nell’aria al di sopra delle loro stesse ombre, e palazzi tanto immensi che avrebbero fatto sembrare minuscola la Muraglia Cinese… Non riuscii neppure a immaginare quali tipi di uomini vivessero in luoghi simili.
A volte mi destai in una relativa oscurità, quando grandi veli di nubi opprimevano la terra, poco prima che incominciassero a cadere piogge fitte. Pensai che nell’Interno il tempo atmosferico fosse regolato, come lo erano senza dubbio altri aspetti di quell’ambiente artificiale. Infatti, non stentavo a immaginare i cicloni immensi che avrebbero potuto essere prodotti dalla rapida rotazione della Sfera. In quelle occasioni, passeggiavo per un po’ sotto la pioggia, godendo della sensazione pungente dell’acqua fresca sulla pelle. Allora il luogo in cui mi trovavo somigliava molto di più alla Terra, con il lato opposto dell’Interno e l’orizzonte vago nascosti dalla pioggia e dalle nubi.
Dopo lunghe osservazioni con gli occhiali telescopici, scoprii che la prateria circostante era davvero tanto monotona quanto mi era sembrata sul primo momento. In un giorno luminoso e caldo, decisi di tentare di raggiungere la rupe che ho menzionato, unica caratteristica distinguibile all’interno dell’orizzonte delineato dalle brume, persino nelle giornate più limpide. Dopo avere infagottato una provvista di cibo e d’acqua nella mia povera giacca tanto maltrattata, partii. Allorché fui tanto stanco da non poter proseguire, mi sdraiai per tentare di dormire, ma non vi riuscii, sotto la luce intensa del sole, perciò rinunciai dopo poche ore. Continuata la marcia per un altro breve tratto senza che la rupe sembrasse più vicina, cominciai a spaventarmi, trovandomi tanto lontano dalla piattaforma: che cosa sarebbe accaduto se mi fossi stancato troppo o se fossi rimasto ferito in qualche modo? Non avrei più potuto chiamare Nebogipfel, quindi avrei dovuto rinunciare a qualunque prospettiva di tornare nella mia epoca: anzi, sarei morto nella prateria come una gazzella ferita. E tutto ciò, soltanto per fare una gita fino a una rupe anonima! Sentendomi sciocco, mi volsi e tornai alla piattaforma.
Alcuni giorni più tardi, uscito dal rifugio dopo un breve riposo, mi accorsi che la luce era poco più intensa del solito. Alzando lo sguardo, scoprii che a pochi gradi dal sole, immobile nel cielo, brillava una stella. Misi gli occhiali e la osservai.
Era un’isola grande come un pianeta. E stava bruciando. Vidi grandi esplosioni che ne squassavano la superficie, sbocciando come bei fiori letali. Pensai che l’isola fosse priva di vita, perché nulla avrebbe potuto sopravvivere a quelle conflagrazioni che continuavano a martoriarla in un silenzio surreale.
Per alcune ore, l’isola avvampò più luminosa del sole, e capii che stavo assistendo a una tragedia colossale, opera dell’umanità o dei suoi discendenti.
Quando cominciai a cercare tracce di guerra, ne trovai ovunque nel cielo roccioso.
Vidi un vasto territorio devastato da una guerra d’assedio logorante e distruttiva, con la campagna solcata da strisce brune che dovevano essere immense trincee, larghe centinaia di miglia, dove gli uomini combattevano e morivano un anno dopo l’altro. Vidi una città in fiamme sulla quale s’inarcavano vapori bianchi, e mi domandai se fosse in corso una guerra aerea. Vidi un mondo devastato dalle conseguenze della guerra, con continenti anneriti e spogli, dove si scorgevano a stento i contorni delle città in un ammasso di nubi nere in movimento.
Mi domandai quanti altri disastri fossero toccati al mio pianeta dopo la mia partenza.
Dopo ripetute osservazioni effettuate nei giorni seguenti, mi abituai a non portare gli occhiali per lunghi periodi. Infatti cominciai a trovare opprimente quel cielo solcato ovunque dalla guerra.
Nella mia epoca, c’era chi si dichiarava favorevole alla guerra, considerandola un modo per allentare la tensione fra le grandi potenze. Altri avevano profetizzato che la guerra successiva sarebbe stata l’ultima, cioè una sorta di repulisti generale. Tuttavia, le mie recenti osservazioni nell’Interno mi confermavano che non era affatto così: l’umanità praticava la guerra a causa del proprio retaggio primordiale, e qualunque giustificazione non era altro che una razionalizzazione fornita dal nostro cervello ipersviluppato.
Immaginai quello che sarebbe successo se la Gran Bretagna e la Germania fossero state trasferite nell’Interno, come due nuove macchie di colore nel cielo roccioso. Dalla mia prospettiva cosmica, mi parvero due nazioni in una condizione d’insensata confusione economica e morale. Dubitai che nel 1891 esistesse una sola persona, in entrambi i paesi, che potesse illustrarmi i benefici di una guerra, quale che ne potesse essere l’esito. E quanto sarebbe parso ridicolo e futile un simile conflitto, se la Gran Bretagna e la Germania fossero state trasferite davvero nell’Interno della Sfera!
In tutta la Sfera, milioni di vite umane venivano cancellate in guerre che per me erano tanto remote e insensate quanto gli affreschi di una cattedrale. Si sarebbe potuto pensare che gli abitanti della Sfera, che abbracciava un milione d’isole-mondi, condividessero la mia stessa prospettiva e rinunciassero alle loro piccole ambizioni meschine. Tutt’altro! Gli istinti umani più bassi dominavano ancora, persino nell’anno 657.208. Là, nella Sfera, neppure il monito quotidiano di centinaia di migliaia di guerre che venivano combattute ovunque bastava a indurre gli uomini a comprenderne la futilità e la crudeltà.
Per contrasto, pensai a Nebogipfel e al suo popolo, alla loro società razionale. Niente finzioni in proposito: provavo ancora una certa repulsione al pensiero dei Morlock e delle loro pratiche innaturali; tuttavia mi rendevo conto che tale repulsione derivava dai miei pregiudizi primitivi, oltre che dalle mie sfortunate esperienze nel mondo di Weena, del tutto irrilevanti per esprimere un giudizio su Nebogipfel.
Poiché non mi mancava tempo per meditare, formulai un’ipotesi sulla scomparsa della differenziazione sessuale fra i Morlock. Considerai il modo in cui si creano vincoli di solidarietà fra gli individui. Innanzitutto, un uomo deve battersi per difendere se stesso e i propri figli. In secondo luogo deve difendere i fratelli, ma forse questo istinto è meno forte, giacché il patrimonio genetico comune dev’essere diviso. In terzo luogo, deve difendere i nipoti e i parenti più lontani, a cui è vincolato da legami istintuali più deboli.
Così è possibile prevedere, con deprimente attendibilità, come si formano e come operano i vincoli di solidarietà: soltanto con una simile gerarchia di alleanze, in un mondo di penuria e d’instabilità, è possibile tramandare il proprio patrimonio genetico alle generazioni future.
Читать дальше