Hal Clement - Coesistenza pacifica

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Viaggiare non era troppo difficile; la sostanza era abbastanza cedevole da poter essere superata il più delle volte senza difficoltà. In qualche occasione era costretto ad aprirsi la strada, la qual cosa era spiacevole, non tanto per lo sforzo fisico, quanto per la necessità di esporre all’aria una lama. I coltelli si facevano sempre più scarsi, e Fagin controllava con un certo rigore le scorte.

Il mattino proseguì, e ancora senza alcun segno di inseguitori. Riuscì a procedere a un’andatura insolitamente sostenuta per la maggior parte del tempo, a causa della stupefacente assenza di animali selvatici… in genere un viaggio a piedi di quaranta miglia richiedeva almeno quattro o cinque combattimenti, mentre lui riuscì a cavarsela con uno solo. Comunque, egli perse con gli interessi il tempo guadagnato, quando si imbatté in una zona più accidentata di tutte quelle che aveva visto in vita sua. Le colline erano aguzze e contorte invece che rotonde; si scorgevano perfino rocce libere, e di quando in quando delle scosse insolitamente violente le mandavano a rotolare lungo le pendici dei colli con grande fragore. In certi punti fu costretto a scalare dei pendii assai ripidi, e a discenderne; in altri, dovette avanzare tra un reticolato di crepacci spaventosamente stretti… senza essere sicuro di trovare un’apertura, all’estremità opposta. Diverse volte, infatti, non ne trovò, e fu costretto a fare marcia indietro.

E perfino là lasciò la sua traccia, dato che le piante locali erano quello che erano; ma passata quella zona, trovò sempre meno credibile l’idea di essere stato seguito. Se i suoi catturatori erano davvero riusciti a seguirlo in quell’inferno, bisognava pur dire che essi meritavano davvero di prenderlo! Malgrado tutto, comunque, sorvegliò attentamente qualsiasi movimento alle sue spalle, senza però che apparisse il minimo segno dei temuti inseguitori.

Le ore trascorsero, e Nick viaggiò alla più alta velocità che fosse capace di mantenere. Il solo combattimento che gli capitò non lo ritardò che di poco; si trattò di un volatore che lo aveva avvistato dall’alto e si era abbassato al livello del suolo giusto in tempo per intercettarlo. Era piccolo, così piccolo che le braccia di Nick sopraffecero i suoi tentacoli; e un rapido colpo del suo coltello aprì le sue sacche di gas di quel tanto che bastò a renderlo del tutto inoffensivo. Rinfoderò l’arma e proseguì ad andatura di poco ridotta, strofinandosi un braccio che era stato leggermente scalfito dal veleno della creatura.

L’arto aveva cessato di far male, e Altair era alta nel cielo, quando finalmente egli si ritrovò in un ambiente familiare. Aveva già cacciato a quella distanza dalla sua valle natale; per quanto fossero rapidi i cambiamenti, la zona era ancora riconoscibile. Cambiò strada e fece un ultimo sforzo. Per la prima volta, si sentì sicuro di poter fornire il resoconto della sua cattura, e per la prima volta si rese pure conto di non averne preparato neppure un abbozzo. Raccontare semplicemente quanto gli era accaduto, fatto dopo fatto, avrebbe richiesto troppo tempo; era importante che Fagin e gli altri se ne andassero in fretta. D’altro canto, sarebbe stata necessaria una spiegazione abbastanza esauriente degli avvenimenti, per convincere il maestro di questa necessità. Nick inconsciamente rallentò, meditando sul problema. Fu distolto dalle sue meditazioni dal suono del suo nome, pronunciato ad alta voce.

«Nick! Ma sei proprio tu? Dove sei stato? Stavamo pensando che tu avessi dormito troppo, una volta per tutte!»

Al primo suono, Nick aveva estratto il coltello; ma riconoscendo la voce, si arrestò bruscamente.

«Johnny! È magnifico sentir parlare di nuovo come si deve. Che stai facendo così lontano? Il gregge ha mangiato tutto quello che c’era da mangiare, vicino a casa?»

«No, sono a caccia, non al pascolo.» John Doolittle uscì dagli arbusti. «Ma dove sei stato? Sei partito da diverse settimane, ed è un bel pezzo che abbiamo smesso di cercarti.»

«Mi avete cercato? Molto male. Pure, immagino che non faccia alcuna differenza, perché altrimenti l’avrei saputo prima.»

«Che vuoi dire? Non capisco quello che dici. E che significa «è bello sentire parlare di nuovo come si deve»? Quali altri modi di parlare esistono? Sentiamo.»

«È una lunga storia, e in ogni modo dovrò raccontarla a tutti, il più presto possibile. Andiamo a casa; è inutile raccontarla due volte.» Si diresse verso la valle che entrambi chiamavano «casa», senza attendere una risposta. John riprese le sue lance, e lo seguì. Anche senza le oscure allusioni di Nick, non avrebbe voluto perdere la storia dell’amico per nulla al mondo. Per quanto fosse riposato, comunque, trovò alquanto difficile seguire il passo dell’esploratore ritornato a casa; Nick sembrava davvero angustiato.

Lungo la strada incontrarono altri due membri del gruppo, Alice e Tom, che conducevano le bestie al pascolo. Alle parole brevi e imperiose di Nick essi lo seguirono verso il villaggio, alla massima velocità permessa dal loro compito.

Altri cinque membri del gruppo si trovavano al momento nel villaggio, e Fagin occupava il suo posto usuale, al centro dell’anello di abitazioni. Nick chiamò per nome il maestro, non appena lo scorse.

«Fagin! Siamo nei guai! Quali sono le armi che tu non ci hai ancora mostrato?»

Come al solito, ci fu una pausa di un paio di secondi, prima che arrivasse la risposta.

«Bene, è proprio Nick. Avevamo quasi rinunciato a ce. Cos’è questa storia delle armi? Ti aspetti di dovere combattere qualcuno?»

«Temo di sì.»

«Chi?»

«Bene, sembrano gente proprio come noi; ma non tengono degli animali, e non si servono del fuoco, e usano per definire le cose delle parole diverse dalle nostre.»

«Dove ti sei imbattuto in questa gente, e perché dovremo combatterla?»

«È una lunga storia, temo. Sarà meglio che cominci da principio, penso; ma non dobbiamo sprecare un solo minuto di tempo più del necessario.»

«Sono d’accordo; un rapporto completo ci farà capire meglio ogni cosa. Va’ avanti.» Nick spostò il peso del corpo sulle due gambe interne, e obbedì.

«Mi sono diretto a sud come avevamo deciso e sono avanzato lentamente, dedicandomi al mio compito di esploratore. Non era mutato nulla di notevole nei contorni della regione che di solito percorriamo; e dopo questa, naturalmente, era difficile stabilire se qualcosa era cambiato di recente, e come.

«Il migliore segno di riconoscimento che ho scorto alla fine della prima giornata è stato un monte, di forma conica abbastanza regolare, e molto più alto di quanti ne abbia mai visto prima. Fui tentato di scalarlo, ma decisi che i particolari, sarebbe stato meglio riservarli a più tardi; dopotutto, il mio compito era quello di scoprire nuove zone, non di misurarle.

«Passai a oriente della montagna poco dopo l’alba del secondo giorno. Il vento era notevolmente violento in quella regione e sembrava soffiare costantemente verso la montagna; sulla mappa, la chiamai Collina delle Tempeste. A giudicare dal vento, in quella zona avrebbero dovuto esserci moltissime piante notturne; e qualsiasi esplorazione dovrebbe tener conto dell’impossibilità di raggiungere la montagna dopo il tramonto.

«Fino a quel momento del viaggio, tutto era andato come al solito. Avevo ucciso per difendermi quello che mi era poi bastato per sfamarmi, ma nessuno degli animali mi era apparso fuori del normale, in quel giorno.

«Il terzo mattino, però, scomparsa dietro di me la montagna, mi imbattei in qualcosa che viveva in un buco nella terra e allungava da esso un braccio per afferrare le cose che passavano. Il braccio mi afferrò per le gambe, e la mia lancia parve non procurare alcun effetto sensibile. Non credo che sarei riuscito a cavarmela, se non avessi ricevuto aiuto.»

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