Robert Heinlein - La porta sull'estate

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La porta sull'estate: краткое содержание, описание и аннотация

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— No, di anno in anno in questo paese si lamenta la scarsità di buoni tecnici. Questa macchina servirà a colmare la lacuna. Fra una trentina d’anni tutti gli studi di architetti e d’ingegneri saranno dotati di una macchina come questa. Non potranno farne a meno, vedrete, come la meccanica moderna non potrebbe fare a meno degli utensili elettrici.

— Parlate come se aveste la certezza di quello che dite.

— Infatti è così.

Guardò il Proteiforme Pete che stava in quel momento facendo ordine sul mio banco di lavoro, poi tornò a guardare Dino Disegnatore, e infine disse: — Sapete, Danny… qualche volta penso che quello che mi avete detto il giorno in cui ci siamo conosciuti doveva essere vero.

Mi strinsi nelle spalle. — Chiamatela seconda vista, invece, se volete… comunque io sono sicuro di quello che dico.

— D’accordo, ma che cosa intendete fare, per il momento, delle vostre invenzioni?

— Questo è il punto dolente, John — ammisi, aggrottando la fronte. — Sono un bravo ingegnere, e oserei dire un ottimo meccanico, ma come uomo d’affari non valgo niente. Vi siete mai occupato di brevetti, voi?

— No, ci vuole un legale specializzato.

— Ne conoscete uno onesto? Onesto e intelligente, anzi? Mi occorre subito. Devo fondare una società, chiedere dei brevetti, e trovare dei finanziatori… e ho pochissimo tempo disponibile.

— Perché?

— Perché devo tornare da dove sono venuto.

Lui si sedette e tacque a lungo. Finalmente disse:

— Di quanto tempo disponete?

— Nove settimane. Per essere precisi, nove settimane da giovedì prossimo.

Lui guardò le due macchine, poi tornò a guardare me. — Temo che dovrete rivedere i vostri programmi. Basteranno sì e no nove mesi. Avete appena i prototipi, e dovete cominciare dal principio.

— Lo so, John, ma non posso fare diversamente.

— Lo dite voi.

— No, non dipende da me. — Mi nascosi la faccia tra le mani, morto di stanchezza e preoccupato. — Volete occuparvi voi di tutto? — gli chiesi poi, rialzando la testa.

— Cosa?

— Occuparvi di tutto. Io non mi intendo affatto di questioni legali e commerciali.

— Danny, vi rendete conto di quello che mi state chiedendo? Fra l’altro potrei imbrogliarvi senza che ve ne rendeste conto, lo sapete? Le vostre invenzioni sono destinate a diventare una miniera d’oro.

— Lo so — risposi.

— E allora perché fidarvi ciecamente di me? Prendetemi per avvocato, invece, così potrò consigliarvi e tenere gli occhi aperti per voi, dietro compenso.

Cercai di pensare, con la testa che mi doleva. Avevo avuto un socio una volta… ma, accidenti, anche se ci si è già scottati le dita, non si può fare a meno di aver fiducia nel prossimo, altrimenti si dovrebbe vivere in una grotta come gli eremiti, dormendo con un occhio solo. Non c’era modo di essere sicuri di niente. La vita stessa era un susseguirsi continuo di pericoli e di tranelli.

— John — dissi — voi avete avuto fiducia in me, fin dal principio. Vi prego, aiutatemi. Ho assoluto bisogno di voi.

— Certo che vi aiuterà — intervenne Jenny, con la gentilezza che le era abituale.

Così diedi la procura a John perché si occupasse di tutta la parte commerciale della faccenda, e lui si consultò a sua volta con uno specialista in brevetti al fine di essere più sicuro. Non so se lo pagasse in moneta contante o se dividesse con lui parte della torta, perché non me ne interessai. Non davo più molta importanza al denaro: e poi, o John era quale speravo, o avrei fatto meglio trovare la famosa grotta.

Insistetti solo su due punti. — John — dissi — dobbiamo chiamare la ditta: Società Aladino per la Fabbricazione di Apparecchiature Automatiche.

— A me pare un nome un po’ lungo e strampalato. Perché non facciamo Davis Sutton? Suona più serio.

— Mi spiace, ma deve essere così, John.

— Davvero? Ve l’ha detto la vostra seconda vista?

— Può darsi. Marchio di fabbrica sarà una raffigurazione di Aladino intento a strofinare la lampada da cui esce il genio. Farò io lo schizzo. E un’altra cosa. La sede della Ditta sarà a Los Angeles.

— Cosa? Ma no, troppo lontano. Io abito a Denver. Perché non restare qui? C’è qualcosa in contrario?

— Niente. Anzi, Denver mi piace e mi ci trovo benissimo. Ma non è una città adatta a installarci una fabbrica. Le materie prime mancano, il personale adatto è scarso, mentre Los Angeles è molto più attrezzata.

— E lo smog?

— Fra pochi anni lo smog non ci sarà più. Troveranno il modo di evitarne la formazione, ve l’assicuro.

— Danny, voi avrete i vostri buoni motivi per insistere, ma anch’io ho i miei. Inoltre — e si rivolse a sua moglie, intenta a sferruzzare lì accanto — noi abbiamo sempre vissuto qui. Jenny è abituata all’aria fine e fresca di Denver, come volete che possa trasferirsi in California?

— Oh, io ne sarei felice! — esclamò inaspettatamente Jenny.

— Cosa? — disse John sbalordito.

— Sì, caro. Proprio l’altro giorno, vedendo una crosta di ghiaccio sulla piscina del Circolo, pensavo come sarebbe bello vivere in un paese dove fa caldo tutto l’anno.

Non ebbi bisogno d’insistere oltre per convincere John.

Mi fermai a Denver fino alla sera del 2 dicembre 1970, e dovetti farmi prestare tremila dollari da John perché ero rimasto all’asciutto. Ma per rassicurargli la restituzione, volli fissare un’ipoteca sul mio pacchetto azionario. Quando gliela portai, l’ultima sera, lui la fece a pezzetti che gettò nel cestino dei rifiuti. — Me li restituirete la prossima volta che ci vedremo.

— Cioè fra trent’anni.

— Non prima?

Tacqui pensoso. John non mi aveva mai chiesto di raccontargli per filo e per segno la mia storia da quando, il giorno del mio arrivo, aveva dichiarato che gli era impossibile credere al poco che gli avevo rivelato.

Finalmente mi decisi, e gli dissi che gli avrei raccontato tutto sul mio conto.

— Dobbiamo svegliare Jenny? — aggiunsi. — Anche lei ha il diritto di sapere.

— No, lasciamola dormire finché verrà il momento della vostra partenza. Jenny è un animo semplice. Dan. Non le importa chi siete e da dove venite, basta che le siate simpatico. Se lo riterrò opportuno, le parlerò io in un secondo tempo.

— Come volete.

Mi lasciò parlare senza interrompermi altro che per versarmi da bere, solo birra di zenzero: avevo i miei buoni motivi per non toccare un goccio d’alcol, e quando ebbi finito, lui disse: — Vi saprò dire il mio parere quando avrò constatato con i miei occhi i mutamenti che mi avete descritto riguardo agli anni a venire. Per il momento continuo a considerarvi il più simpatico matto piovuto dal cielo che io abbia mai conosciuto.

— Siete libero di pensare come meglio vi pare.

— Sono costretto a giudicarvi così, altrimenti divento matto io… e per Jenny non sarebbe piacevole. — Guardò l’ora, e aggiunse: — Sarà meglio svegliarla. Mi mangerebbe vivo se vi lasciassi partire senza averla salutata.

— Non mi sarei mai sognato di fare una cosa simile.

Mi accompagnarono in macchina all’aeroporto internazionale di Denver, e Jenny mi abbracciò a lungo, commossa, congedandosi da me al cancello. Alle undici, partii con l’aereo diretto a Los Angeles.

11

La sera seguente, 3 dicembre 1970, mi feci depositare da un tassi a un isolato di distanza dalla casa di Miles, con un buon anticipo sull’orario della mia prima visita laggiù, orario che non ricordavo al minuto. Quando mi avvicinai alla casa era già buio, ma vidi solo la sua macchina, accanto al marciapiede, così arretrai d’un centinaio di metri fermandomi in un punto da dove potevo vedere tutto il tratto del marciapiede, e attesi.

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