Robert Heinlein - Stella doppia

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— Un momento, Dak, io…

— Non c’è tempo! Devo fumar via questo barcone di rottami. — Fece una capriola a mezz’aria e uscì prima che avessi il tempo di protestare. Il secondo individuo mi arrotolò fin sopra al gomito la manica sinistra, mi appoggiò una pistola ipodermica contro la pelle, e in un batter d’occhio m’iniettò un liquido nella vena. Se ne andò immediatamente, mentre l’altoparlante ritornava a gridare: — Avviso! Due g! Due minuti!

Mi sforzai di guardarmi intorno, ma l’iniezione accresceva la mia confusione. Mi sentivo bruciare occhi e gengive, e cominciavo a sentire un prurito insopportabile lungo la schiena, ma le cinghie che mi legavano m’impedivano di grattarmi l’area tormentata… e probabilmente anche di spezzarmi un braccio sotto accelerazione.

Il campanello smise di nuovo di suonare, e questa volta rimbombò dall’altoparlante la voce di Dak, baritonale e sicura di sé: — Ultimo avviso! Due g! Un minuto! Mettete via le carte da gioco e spicciatevi ai vostri posti, lazzaroni! Tra un po’ si fuma! — Invece del campanello, questa volta ci fu una registrazione di Ad astra , Opera 61 in Do maggiore di Arkezian. Era la polemica esecuzione della London Symphony Orchestra, con la serie delle quattordici note "terrificanti" scandita dai timpani. Ma io ero talmente depresso, confuso, e imbottito di farmaci che non fecero alcun effetto su di me. Cosa volete, era come far piovere sul bagnato.

Una sirena si affacciò alla porta. Intendiamoci, non aveva una coda di pesce, verde e squamosa, tuttavia mi sembrò proprio una sirena quando entrò fluttuando a mezz’aria nella cabina. Quando la vista mi si schiarì abbastanza, vidi che sembrava trattarsi invece d’una giovane donna in maglietta e calzoncini, decisamente mammifera. Nuotava a mezz’aria nella mia direzione, con la sicurezza di un’esperta di caduta libera; mi diede un’occhiata senza accennare a sorrisi, si pilotò fino all’altro "torchio" e afferrò le maniglie senza curarsi di allacciare le cinghie di sicurezza. La musica era giunta al finale maestoso, e io mi sentivo pesante, molto pesante.

Due g non sono poi tanti, specialmente quando si sta galleggiando su un letto liquido. Sulla superficie del "torchio" si erano gonfiati una serie di cuscini di materia plastica e morbida: esercitavano la giusta pressione e mi reggevano completamente. Provavo solo una gran sensazione di peso e una certa difficoltà nel respirare. Si sente spesso raccontare di piloti che "torciano" a 10 g e che si riducono a rottami, e credo che quelle storie siano vere. Ma 2 g, presi su una cuccetta idraulica, vi fanno sentire solo fiacco, incapace di muovervi.

Avevo la testa così confusa che mi ci volle del tempo prima d’accorgermi che l’altoparlante sul soffitto stava parlando proprio a me. — Lorenzo? Come va, vecchio marpione?

— Bene. — Lo sforzo di parlare mi faceva ansimare. — Quanto deve durare questa faccenda?

— Due giorni circa.

Mi sfuggì un lamento, e Dak scoppiò a ridere. — La smetta di frignare, marmocchio! La prima volta che andai su Marte impiegai trentasette settimane, tutte in caduta libera su un’orbita ellittica. Lei invece viaggia sulla rotta più comoda, sotto 2 miserabili g per un paio di giorni… e poi ci sarà un periodo a un solo g a metà viaggio per voltare la nave, se le interessa. Dovremmo farle pagare un supplemento sul biglietto!

Stavo per dirgli cosa pensavo di lui e del suo umorismo, con le più feroci battute da caserma, quando mi ricordai che era presente una signora. Mio padre mi diceva sempre che una donna è disposta a perdonare qualsiasi azione, ivi compresi gli approcci con violenza, ma le parole sconvenienti la urtano. La più gentile metà del genere umano dà molto valore ai simboli verbali… cosa piuttosto strana, dato il suo estremo senso pratico. Comunque sia, non mi sono mai lasciato sfuggire una parola meno che conveniente in presenza di una signora, dal giorno in cui il dorso della mano di mio padre mi era calato duramente sulla bocca. Mio padre avrebbe potuto dare dei punti al professor Pavlov, in fatto di condizionamento dei riflessi.

— Penny! — stava dicendo intanto Dak. — Ci sei anche tu, piccola impertinente?

— Sì, capitano — rispose la giovane donna che era in cabina con me.

— Va bene, allora comincia a fargli un po’ di doposcuola. Io scenderò appena questa trappola sarà sulla rotta.

— Benissimo, capitano. — La ragazza voltò la testa verso di me e mi disse con bellissima voce di contralto, tutt’al più un po’ fioca: — Il professor Capek le consiglia di cercare di rilassarsi, e di limitarsi a osservare i nastri per qualche ora. Io posso rispondere alle sue eventuali domande.

— Grazie a Dio — sospirai — finalmente ho trovato qualcuno disposto a rispondere alle mie domande!

Non rispose ma, non senza difficoltà, sollevò un braccio per girare un interruttore. Le luci si spensero, e davanti ai miei occhi si materializzò un’immagine tridimensionale. Riconobbi subito la figura che stava al centro della scena… così come l’avrebbero riconosciuta i miliardi di cittadini dell’Impero… e finalmente capii fino a che punto, spietatamente, mi avesse ingannato Dak Broadbent.

Era Bonforte.

Proprio lui, Bonforte… l’Onorevolissimo John Joseph Bonforte, ex Primo Ministro, capo dell’opposizione di Sua Maestà l’Imperatore, leader della Coalizione espansionista: l’uomo più amato (e più odiato!) di tutto il Sistema Solare.

La mia mente attonita fece un prodigioso balzo immaginario, e giunse a quella che sembrava la conclusione ovvia. Bonforte era sopravvissuto a tre attentati almeno, o così ci volevano far credere i giornalisti. Due volte su tre era riuscito a salvarsi per miracolo. E se invece non ci fosse stato nessun miracolo? E se gli attentatori avessero sempre colto nel segno ma il caro John Bonforte, con la sua aria da vecchio zio affettuoso, non fosse mai stato sul luogo dell’attentato?

A far come lui, si può consumare un mucchio d’attori.

3

Non mi ero mai immischiato nella politica. Mio padre mi aveva messo in guardia sovente dicendo: — Non intrometterti, Lorenzo — e il suo tono era oltremodo solenne. — La pubblicità che ne trarresti sarebbe negativa, di quella che ai bifolchi non garba. — Non avevo mai votato, neppure dopo che l’emendamento del ’98 aveva reso facile per la popolazione priva di residenza fissa (tra la quale sono compresi quasi tutti i membri della mia professione) l’esercizio del diritto di voto.

Comunque, posto che avessi mai avuto delle inclinazioni politiche, queste non si erano mai rivolte verso Bonforte. Lo consideravo un uomo pericoloso, probabilmente un traditore dell’umanità. A dir poco, l’idea di far da bersaglio e di venire ucciso al posto suo mi riusciva… come potrei dire?… piuttosto sgradevole.

Però… che parte!

Avevo recitato una volta da protagonista nell’ Aiglon , e avevo anche impersonato Cesare nelle uniche due tragedie degne del suo nome. Ma recitare un simile ruolo dal vivo… be’, è sufficiente a far comprendere cosa sia andare alla ghigliottina al posto di un altro… solo per la possibilità di recitare, anche per pochi istanti, la parte che esige il sacrificio supremo, e così creare il capolavoro perfetto, insuperabile.

Mi chiesi chi potessero essere i miei colleghi che non erano stati capaci di resistere alla tentazione, le altre volte. Erano dei veri artisti, non c’è dubbio, anche se l’anonimato era l’unica testimonianza della riuscita dell’interpretazione. Mi sforzai di ricordare la data esatta degli attentati contro Bonforte, e quali colleghi, tra coloro che avrebbero potuto prendere il suo posto, erano morti o erano scomparsi dalla circolazione nello stesso periodo. Ma non servì a nulla. Oltre a non essere certo dei dettagli della recente situazione politica, c’era il solito fatto che gli attori ti scompaiono continuamente di torno, con una frequenza desolante. È una professione incerta, anche per i migliori.

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