Robert Silverberg - Il secondo viaggio

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Nel mondo del prossimo futuro immaginato da Silverberg in questo romanzo, i criminali incalliti non vengono più condannati alla prigione ma mandati in particolari Centri di Riabilitazione, dove subiscono un trattamento di droghe che cancella come una spugna la loro personalità, lasciando un corpo con una mente vuota come quella di uno “zombie”. Su questa mente pulita come una lavagna, i terapisti del Centro di Riabilitazione costruiscono, con un paziente lavoro di anni, una nuova identità: una persona “fittizia”, dotata di un passato inventato ma dalle caratteristiche morali più salde di quelle della vecchia personalità. Paul Macy è una di queste persone “ricostruite”: il suo corpo apparteneva prima a Nat Hamlin, il più grande psico-scultore del mondo, un uomo di indubbio talento ma totalmente schiavo dei suoi istinti sessuali, al punto di diventare un inveterato stupratore nei sobborghi di New York.
Per i “ricostruiti” l’inserimento nella società non è facile, ma per Paul Macy le difficoltà si presentano fin dall’inizio quasi insormontabili: l’imbarazzo dato dalla notorietà di cui godeva la vecchia identità del suo corpo, il brusco incontro con Lissa, una ragazza telepatica con cui Hamlin aveva avuto una tempestosa relazione e soprattutto una serie di incubi ricorrenti in cui compare sempre la figura di Hamlin metteranno a dura prova la stabilità di Macy. E presto quello che appariva solo un incubo si trasformerà in realtà: la personalità di Hamlin non è stata affatto annullata ed ora torna all’attacco della mente di Macy con demoniaca violenza e con la precisa volontà di riprendersi il suo corpo.

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Lissa disse: — Così va meglio! Un po’ di cibo in pancia, finalmente.

— Perché avevi così fame?

— È sempre così. Brucio energie.

— Sei ammalata?

Lei alzò le spalle. — Chi lo sa? — Lo fissò per un momento negli occhi. — Sto cercando di pensare a te come Paul Macy. Non è facile, stando seduta con Nat Hamlin di fronte.

— Nat Hamlin non esiste.

— Davvero non ti ricordi di me?

— Zero — disse lui.

— Merda! Ma cosa ti hanno fatto al Centro Riab?

Lui disse: — Hanno imbottito Nat Hamlin di dissolvitori di memoria, finché di lui non è rimasto più niente. Solo una specie di zombie, capisci? Un corpo vuoto e sano. La società non vuole sprecare un bel corpo sano. Poi hanno costruito me dentro la testa dello zombie.

— Costruito? Cosa vuoi dire con "costruito"?

— Mi hanno creato un’identità. — Chiuse un momento gli occhi. Gli sembrava di avere il colletto troppo stretto. Una sensazione di soffocamento. Non era previsto che spiegasse cose del genere. Il mondo doveva dare tutto quanto per scontato. — Hanno costruito il passato, un insieme di eventi in cui possa muovermi come se fossero realmente accaduti. Per esempio che sono cresciuto a Idhao Falls, e mi sono trasferito a Seattle a dodici anni. Mio padre era ingegnere e mia madre insegnante. Adesso sono morti entrambi. Né fratelli né sorelle. Facevo collezione di francobolli africani, andavo a caccia e a pesca. Sono stato all’università, l’UCLA, classe ’93, e mi sono laureato in filosofia e comunicazioni. Due anni di servizio civile, in Bolivia ed Ecuador, facendo la voce fuori campo per il Canale della Repubblica Del Popolo. Poi vari lavori TV e OV in Europa e negli Stati, e adesso qui a New York. Eccetera eccetera.

— Mio Dio — disse lei. — Ed è tutto falso?

— Più o meno. Segue la biografia di Nat Hamlin finché può. Riguardo all’età, per esempio. O il fatto che Hamlin si sia rotto una gamba quando aveva ventisei anni, e questo si vede dall’osso, così mi hanno fatto avere un incidente di sci per quell’anno.

— Cosa succederebbe se controllassi i registri dell’UCLA, cercando Paul Macy nel ’93?

— Lo troveresti. Con un asterisco Riab, per indicare che è solo una registrazione fittizia che copre un’identità retroattiva. La stessa cosa troveresti nel registro delle nascite di Idhao Falls. Fanno un lavoro molto accurato.

— Cristo — disse Lissa. E rabbrividì. — È una cosa raccapricciante! Sei davvero una persona interamente nuova.

— Non so fino a che punto sono una persona. Ma nuovo di sicuro.

— Allora non hai nessuna idea su chi sia io?

— Posavi per Nat Hamlin, vero?

Lei parve sorpresa. — Come fai a saperlo? Non ho mai detto a nessuno…

— Quel giorno che mi hai fermato per la strada — disse lui — mentre parlavamo, ho visto per un attimo la tua immagine, nuda in uno studio, e io ero chino su una tastiera complicata e ti dicevo di gridare. Come uno psicoscultore che cerchi di ottenere un effetto emotivo. È durata forse mezzo secondo, poi è sparita. — Si inumidì le labbra. — È stato come se un pezzo della memoria di Nat Hamlin venisse alla superficie.

— O un pezzo della mia mente che entrava nella tua — disse lei.

— Eh?

— Succede, non riesco a tenerlo sotto controllo. — Una risatina acuta. — Da qualsiasi parte ti sia venuta, era vera. Ero una delle modelle di Nat Hamlin. Dal gennaio all’agosto del ’06, quando lavorava alla sua Antigone 21. Quella che ha comprato il Metropolitan. La sua ultima grande opera, prima del crollo. Sai del suo crollo?

— Qualcosa. Non parlarmene. — Sentiva un cerchio di fuoco intorno alla testa. Il semplice fatto di stare per tanto tempo vicino a qualcuno appartenente alla sua vecchia vita era doloroso. — Mi dai un’altra oro?

Lei gli porse la sigaretta e disse: — Sono stata anche la sua amante, per tutto il cinque e gran parte del sei. Diceva che avrebbe divorziato e mi avrebbe sposato. Come Rembrandt. Come Renoir. Innamorato della modella. Solo che invece perse la testa. E cominciò a fare tutte quelle cose.

Macy, d’improvviso vulnerabile, cercò di fermarla sollevando una mano, ma non c’era modo di arrestare il flusso delle sue parole. — L’ultima volta che l’ho visto è stato il Giorno del Ringraziamento del 2006. Al suo studio. Litigammo e mi buttò giù dalle scale. — Fece una smorfia. Nella mente di Macy apparve un’immagine lancinante: un volo senza fine, la ragazza che cadeva, cadeva, le gonne intorno alle cosce, le gambe che si agitavano, le braccia che cercavano di afferrare qualcosa, il grido che diventava sempre più flebile, l’impatto improvviso. Il rumore di qualcosa che si spezzava. — Sei settimane in ospedale, con la pelvi spezzata. Quando sono uscita gli davano la caccia dal Connecticut al Kansas. Poi…

Basta! - urlò Macy. La gente si voltò a guardarli.

Lissa si ritrasse da lui. — Scusa — disse, ripiegandosi su se stessa, tremante. Aveva le guance arrossate per la vergogna e l’eccitazione. Dopo un momento disse a bassa voce: — Fa molto male quando parlo di lui?

Un cenno di assenso. Silenzio.

— Hai chiesto di vedermi perché sei nei guai — disse lui alla fine.

— Sì.

— Ti saresti davvero uccisa se non fossi venuto?

— Sì.

— Perché?

— Sono sola. Non ho nessuno. Sto impazzendo.

— Come fai a saperlo?

— Sento delle voci. Le menti altrui entrano nella mia. E la mia nelle loro. Percezione extrasensoriale.

— ESP? — disse lui. — Come… la telepatia?

— Telepatia. Ecco cos’è. ESP. Telepatia.

— Non credevo che esistesse davvero.

Una risata amara. — Puoi scommeterci il culo. Seduta di fronte a te. In carne e ossa.

— Sai leggere nella mente? — chiese lui, sentendosi come se brancolasse in un sogno.

— Non esattamente. Solo toccare un’altra mente. Non lo posso controllare coscientemente. È come qualcosa che entra e che esce. Voci che ronzano nel mio cervello, una parola, una frase, un’immagine. Mi succede da quando avevo dieci anni, dodici. Solo che adesso è molto peggio. Molto, molto peggio. — Tremando. — Gli ultimi due anni. Un inferno.

— Perché?

— Non so più chi sono, un sacco di volte — disse lei. — Mi capita di essere cinque o sei persone insieme. Sento un rumore sibilante nella testa. Un ronzio. Voci. Come interferenze, solo che qualche volta filtrano delle voci. Ricevo tutte queste emozioni strane, e mi fanno paura. Non so se è la mia immaginazione o cosa. C’è qualcuno a due tavoli da qui che vuole violentarmi. Vorrebbe averne il coraggio. Nella sua testa sono nuda e sanguinante, con le gambe spalancate, legata al letto. E alla mia sinistra c’è una donna che trasmette odore di merda. Mi vede come una specie di stronzo gigantesco seduto qui. Non so perché. E tu…

— No — disse lui. — Non dirmelo.

— Non è niente di brutto. Pensi che sono sporca e vorresti portarmi a casa e farmi un bagno. E poi scoparmi. Non mi dispiace. Lo so di essere sporca. E piacerebbe anche a me andare a letto con te. Ma non riesco a sopportare tutte queste voci che si incrociano nel mio cervello. Sono indifesa, Nat, indifesa davanti a ogni pensiero che…

— Paul.

— Come?

— Chiamami Paul. È importante per me.

— Ma tu sei…

— Paul Macy.

— Ma in questo momento tu mi arrivavi come Nat Hamlin. Dal profondo di te stesso.

— No. Hamlin non esiste più. Io sono Paul Macy. — Un senso di nausea. I fili luminosi che dondolavano e sibilavano sopra la sua testa. Si accorse di averle preso le mani fra le sue. Dita screpolate contro i suoi polpastrelli. Disse: — Se soffri tanto perché non cerchi aiuto? Forse c’è una cura per l’ESP. È questo che vuoi, una cura? Potrei portarti dalla dottoressa Iannuzzi, è una donna molto comprensiva, e lei potrebbe mandarti nell’ospedale psichiatrico giusto, e…

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