Robert Silverberg - Il secondo viaggio

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Nel mondo del prossimo futuro immaginato da Silverberg in questo romanzo, i criminali incalliti non vengono più condannati alla prigione ma mandati in particolari Centri di Riabilitazione, dove subiscono un trattamento di droghe che cancella come una spugna la loro personalità, lasciando un corpo con una mente vuota come quella di uno “zombie”. Su questa mente pulita come una lavagna, i terapisti del Centro di Riabilitazione costruiscono, con un paziente lavoro di anni, una nuova identità: una persona “fittizia”, dotata di un passato inventato ma dalle caratteristiche morali più salde di quelle della vecchia personalità. Paul Macy è una di queste persone “ricostruite”: il suo corpo apparteneva prima a Nat Hamlin, il più grande psico-scultore del mondo, un uomo di indubbio talento ma totalmente schiavo dei suoi istinti sessuali, al punto di diventare un inveterato stupratore nei sobborghi di New York.
Per i “ricostruiti” l’inserimento nella società non è facile, ma per Paul Macy le difficoltà si presentano fin dall’inizio quasi insormontabili: l’imbarazzo dato dalla notorietà di cui godeva la vecchia identità del suo corpo, il brusco incontro con Lissa, una ragazza telepatica con cui Hamlin aveva avuto una tempestosa relazione e soprattutto una serie di incubi ricorrenti in cui compare sempre la figura di Hamlin metteranno a dura prova la stabilità di Macy. E presto quello che appariva solo un incubo si trasformerà in realtà: la personalità di Hamlin non è stata affatto annullata ed ora torna all’attacco della mente di Macy con demoniaca violenza e con la precisa volontà di riprendersi il suo corpo.

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"Be’, lei desidera attenzione, e un modo per ottenerla è di venire gridando che la sua personalità ricostruita non ha attecchito, che Hamlin sta bussando dentro la sua testa. Non dico che lo faccia coscientemente. È un meccanismo. Il suo io razionale desidera solo raggiungere un rapporto decente con il mondo esterno e vivere felicemente come Paul Macy, ma c’è anche un lato irrazionale in ciascuno di noi. Che spesso opera in perfetto disaccordo con i bisogni e i desideri del lato razionale.

"Immagini che io dica a qualcuno che la sua sanità mentale dipende dal fatto di non chiamare mai sua suocera con il nome di battesimo. Lui annuisce e dice: «Certo, capisco, se lo faccio mi rovino». E così, naturalmente, ogni volta che vede la vecchia troia, il suo nome di battesimo gli viene sulla punta della lingua. Comincia a sognare di chiamarla con il nome di battesimo. Ci pensa mentre è seduto alla scrivania. Proprio perché è la cosa più fottutamente distruttiva che potrebbe fare, la tentazione di farla continua a presentarsi alla sua mente, e immagina di continuo di averlo fatto.

"Adesso torniamo a lei. L’ultima cosa che desidera al mondo è che Hamlin resusciti, perciò naturalmente si immagina mentre fa una scultura di questa ragazza. Il che la sconvolge e la fa correre da me invocando aiuto. Il risultato immediato di questo meccanismo è di farle avere dei brutti sogni e un effetto secondario è quello di fornirle quella scusa per chiedere aiuto di cui lei ha tanto bisogno, inconsciamente. Vede come il lato oscuro della nostra mentre riesce sempre a farsi sentire? Ma non se ne preoccupi troppo, Macy. Non c’è niente di reale, nel senso che ci sia Hamlin. Oh, certo, è reale in senso psicologico; e allora? — Gomez fece un sorriso trionfante. — "Lei è un ragazzo sveglio. Ha seguito tutto il ragionamento, vero?"

Macy disse: — Non sarebbe il caso di fare dei nuovi EEG lo stesso? E se risultasse una doppia onda?

— Vuole davvero che la coccoli, vero?

— Che difficoltà ci sono a fare un test empirico?

— Posso eseguirlo in cinque minuti.

— Perché no allora?

— Perché non credo si debba cedere alle fantasie di un paziente. Crede di essere il mio primo lavoro di ricostruzione? Ne ho visti un centinaio come lei. So cosa è possibile e cosa non lo è. Se le dico che Hamlin è stato sradicato è perché lo so. Non perché sia un bastardo dalla testa dura.

— E va bene, sarò irrazionale — disse Macy. — Ma se avessi la prova dell’EEG di fronte a me…

— Non ci sto a questo gioco. La fantasia viene dal suo interno; che anche la cura venga da lì. Si dia da fare. Si convinca che la sua illusione dell’esistenza di Hamlin non è altro che una mossa per ottenere la nostra simpatia.

— E se le allucinazioni non se ne vanno?

— Devono andarsene.

— Ma se non lo fanno?

— Tornerà da noi martedì prossimo — disse Gomez. — Non ci sarò io, ma la dottoressa Iannuzzi. Che come lei sa è un tipo completamente diverso da me. Gentile e comprensiva, mentre io sono un figlio di puttana ostile e volgare. Se questa faccenda la disturberà ancora, forse le farà un EEG, anche se spero di no. Io non lo farò, Macy. Non posso. Il sergente istruttore non ti dà mai un bacino e ti rimbocca le coperte, per quanto tu lo preghi in ginocchio, e io in questa squadra sono il sergente istruttore. Perciò torni la settimana prossima.

Gomez si alzò. — L’ho vista all’ologiornale della sera, ieri. Se l’è cavata niente male.

La mattina successiva Macy trovò un cubo-messaggio indirizzato a lui, nella sua casella all’ufficio. Perplesso, infilò la piccola cassetta lucida nella fessura della sua scrivania. Sullo schermo apparve la faccia della ragazza che lo aveva fermato per strada la settimana prima. Occhi cerchiati di rosso, guance incavate, i capelli in disordine. Offrì alla telecamera un sorriso incerto, di sbieco, e disse: "Ti ho visto all’olovisione, e ho potuto mandarti questo. Ti prego, Nat, non spegnere. Non immagini neanche…"

Macy allungò la mano e schiacciò il pulsante. Ti prego, Nat. Non poteva sopportarlo. Il suo vecchio nome. Era come se gli infilassero delle schegge di legno sotto le unghie, come aghi dietro gli occhi. La notte prima i sogni erano stati peggiori che mai. Si era visto come due fratelli siamesi, con uno dei corpi che graffiava e mordeva il suo fratello identico. Poi la botola della soffitta che si apriva e la cosa sventrata che ne usciva vacillando. Era stata la ragazza a dare inizio a tutti i suoi traumi; non c’erano stati brutti sogni prima di quel maledetto incontro. Non intendeva offrirle una seconda occasione per rendere miserabile la sua vita. Se quel bastardo di Gomez non gli dava una terapia di supporto, doveva difendersi da solo contro i potenziali sconvolgimenti interiori. E quindi era necessario evitare nuove occasioni di angoscia.

Macy regolò l’apparecchio su Cancellazione e fece per premere il bottone. Poi nella sua mente vide la faccia triste, consunta della ragazza. Un essere umano come lui. Anche lei soffre. Potrei ascoltarla almeno una volta.

Schiacciò di nuovo Playback , e lei riapparve, dicendo: "Ti ho visto all’olovisione, e ho potuto mandarti questo. Ti prego, Nat, non spegnere. Non immagini neanche quanto tu significhi ancora per me, anche dopo tutto quello che è successo. So che hai subito la Riab, e le cose devono sembrarti un po’ strane, e non vuoi parlare con gente della tua vecchia vita. Ma averti trovato per strada è stato un tale miracolo che non posso semplicemente far finta che tu non esista. Perché non ce la faccio a tirare avanti così ancora per molto, Nat. Sto male. Ho bisogno di aiuto. Sto affondando e qualcuno mi deve buttare una corda."

C’era dell’altro, sullo stesso tono. Diceva che l’avrebbe aspettato mercoledì sera alle sei, all’angolo nord-est fra la 227 e Broadway, di fronte agli uffici della compagnia, e che l’avrebbe aspettato alla stessa ora anche le due sere successive, nel caso non fosse libero mercoledì. Oppure, se preferiva mettersi d’accordo in un altro modo, poteva chiamarla a casa, qualsiasi giorno dopo le undici di mattina, al numero tale. Con tutto il mio amore. La tua Lissa Moore.

Non posso, pensò. Non oso. Cancellò il cubo. Quella sera uscì con dieci minuti di anticipo, usando l’ingresso est dell’edificio per evitarla. Fece lo stesso giovedì e venerdì.

Lunedì trovò un altro cubo. Se lo tenne in tasca per tre ore; era riluttante a cancellarlo, ma aveva paura di vederlo. Alla fine lo infilò nella fessura. Sullo schermo, la faccia pallida della ragazza, su uno sfondo nero come il velluto. La bocca piegata in una strana smorfia. Un gonfiore ipertiroideo negli occhi che non aveva notato prima. Lilluminazione della cabina dove aveva registrato il messaggio era troppo forte, e sembrava strapparle la carne dagli zigomi. La sua voce, impulsiva, non modulata: "Non sei venuto. Ho aspettato, ma non sei venuto. Va bene, Nat. Paul. Forse non ti importa niente di me. Forse hai i tuoi guai a cui pensare, e non puoi perdere tempo con me. Non ti disturberò più. Aspetterò ancora questa sera, alle sei, stesso angolo, Broadway e 227, lato nord-est. Se non ci sarai per le otto e mezzo, per le nove io sarò morta. Faccio sul serio. Adesso sta a te".

3

Pochi minuti dopo le sei era ancora nella sala stampa, dove stava terminando l’ultimo pezzo della giornata. Una rabbia fredda e torva lo attanagliava tuttora. Si uccidesse pure, quella troia. Non intendo farmi ricattare in questa maniera. Lei non significa niente per me, se non guai.

Con un gesto secco assunse il controllo dell’occhio volante che sorvegliava la strada al di fuori dell’edificio, tenendo costantemente sotto controllo eventuali dimostrazioni, attentatori, gente che si suicidava per protesta. Con movimenti abili, imparati da poco, fece muovere la telecamera aerea lungo la via, fino all’angolo dove Lissa aveva detto che l’avrebbe aspettato. Adesso il controllo fine.

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