Robert Silverberg - L'uomo stocastico

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Stocastico: voce dotta, dal greco stochestikos, congetturale, dovuto al caso, aleatorio. Questo dice il dizionario. Ma Robert Silverberg dice di più. Dice che uno specialista di indagini conoscitive e di statistiche previsionali, un professionista della congettura, un mago del calcolo delle probabilità, può tutto a un tratto scoprire la vera natura del suo talento. E questo talento non ha niente a che fare con la scienza dei numeri, col buon senso, con il fiuto commerciale e politico. È un dono naturale che, coltivato opportunamente, permette all’uomo stocastico di vedere In come in una sfera di cristallo, il futuro. Chi vincerà la terza corsa all’ippodromo? Chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti? Come e quando arriverà la nostra morte? Mai come in questo romanzo l’antico sogno dell’umanità è stato presentato con tanta acutezza psicologica, con un casi vivo senso di ciò che potrebbe essere, in concreto, la vita di un autentico veggente.

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— Cos’altro?

Mardikian sembrò stupito.

— Cosa vuoi dire con cos’altro? Cosa pensi che abbia detto? Cristo, Lew, mi sembri diventato terribilmente paranoico tutto a un tratto. Bob è tuo amico, ricordi? È dalla tua parte. Ti aveva consigliato di andare nel tal posto a caccia e tu non gli hai dato retta. È preoccupato per te. Ma adesso dobbiamo usare il metodo forte. Pensiamo che tu abbia bisogno di riposo, Lew, e vogliamo che tu te lo conceda. City Hall non andrà in pezzi se te ne stai lontano per un paio di settimane.

— D’accordo. Prenderò una vacanza. Ma prima voglio un favore.

— Avanti.

— Quella faccenda di Thibodaux e quella di Ricciardi. Voglio che tu convinca Quinn a seguire i miei consigli.

— Se mi dai una giustificazione plausibile.

— Non posso, Haig — stavo sudando. — Non posso dirti niente di convincente. Ma è importante che il sindaco segua queste indicazioni.

— Perché?

— Lo è. Molto importante.

— Per te o per Quinn?

Era un colpo basso e colpì nel segno.

“Per me” pensai “per Carvajal, per l’intera impalcatura di fiducia e sicurezza che mi ero costruito.” Era dunque arrivato, alla fine, il momento della verità? Avevo passato a Quinn delle istruzioni che si sarebbe rifiutato di seguire? E poi cosa sarebbe successo? Solo l’idea di ciò che sarebbe seguito a quella decisione negativa mi dava le vertigini. Mi sentivo male.

— Importante per tutti. Ti prego. Te lo chiedo come favore. Finora non gli ho mai dato un cattivo consiglio, vero?

— È contrario a questa faccenda. Vuole sapere qualcosa del contesto generale in cui questi suggerimenti rientrano.

Quasi in preda al panico, lo pregai: — Non mi spingere troppo, Haig. Non ce la faccio quasi più. Ma non sono pazzo. Stanco, forse, sì, ma non pazzo, e gli appunti che ti ho dato questa mattina hanno un senso, avranno un senso, tutto sarà chiaro fra tre mesi, o cinque o sei. Guardami. Guardami negli occhi. Mi prenderò quella vacanza. Mi fa piacere che siate tutti in ansia per me. Ma voglio questo unico favore da te, Haig. Dirai a Quinn di seguire le mie indicazioni? Fallo per me. In nome di tutti gli anni in cui siamo stati insieme. Credimi, questi appunti non vengono dal diavolo.

Mi fermai. Stavo farneticando, lo sapevo, e più parlavo e meno era probabile che Haig mi prendesse sul serio. Mi considerava già un lunatico instabile e pericoloso? C’erano gli uomini in camice bianco ad aspettarmi in corridoio? Quante probabilità c’erano, in realtà, che qualcuno prendesse sul serio le mie indicazioni di quel giorno? Sentivo i pilastri crollare, il cielo cadere.

Poi, incredibilmente, Mardikian disse, con un caldo sorriso: — E va bene, Lew. È una follia, ma lo farò. Solo per questa volta, però. Tu, intanto, te ne vai alle Hawaii o in qualche altro posto e te ne stai sdraiato sulla spiaggia per un paio di settimane. Io parlerò a Quinn e lo convincerò a esonerare Ricciardi e ad andare in Louisiana. Penso che sia un consiglio da pazzi, ma ti terrò la parte.

Lasciò la scrivania e mi si avvicinò, torreggiando su di me, poi di colpo, un po’ goffamente, mi strinse contro di sé.

— Mi preoccupi, ragazzo — brontolò.

34

Mi presi una vacanza. Ma non sulle spiagge delle Hawaii troppo affollate, troppo movimentate, troppo lontane, e neppure nella riserva di caccia in Canada, perché in quei posti c’era già la neve alla fine dell’autunno; andai invece in California, la dorata California di Carlos Socorro, in quel posto fantastico che è Big Sur, dove un altro amico di Lombroso possedeva un cottage isolato in sequoia, su un acro di terreno in cima a una scogliera che dominava l’oceano. Per dieci giorni agitati, vissi in rustica solitudine, con i declivi boscosi delle Santa Lucia Mountains, buie e misteriose e coperte di felci, alle spalle, e la vasta insenatura del Pacifico davanti, centocinquanta metri sotto di me. Era, mi avevano assicurato, il periodo migliore dell’anno a Big Sur, la stagione idilliaca che separa le foschie dell’estate dalle piogge invernali, e lo era veramente, con calde giornate di sole e fresche notti stellate e, ogni sera, un incredibile tramonto color porpora e oro. Passeggiavo nei boschi silenziosi di sequoie, nuotavo nei freschi e rapidi ruscelli di montagna, strisciavo giù per le rocce coperte di cascate di piante grasse dalle foglie lucenti fino alla spiaggia e alle onde turbolente. Osservavo i cormorani e i gabbiani intenti al pasto serale e, un mattino, vidi una buffa lontra di mare che nuotava a pancia all’aria a cinquanta metri dalla riva, mangiando un granchio.

Ma non trovavo pace. Pensavo troppo a Sundara, chiedendomi, frustrato e confuso, come avevo fatto a perderla; mi crucciavo per noiose questioni politiche che qualunque uomo di buon senso avrebbe scacciato dalla sua mente in un posto come quello; immaginavo le complicate catastrofi entropiche che si potevano verificare se Quinn non andava in Louisiana. Vivevo in paradiso e trovavo il modo di essere nervoso, teso e a disagio.

Tuttavia, molto lentamente, mi permisi di riprendere forze e vigore. Lentamente la magia della costa lussureggiante, conservatasi miracolosamente intatta in un secolo in cui quasi tutto il resto era stato rovinato, cominciò ad agire beneficamente sulla mia anima spossata e confusa.

Forse “vidi” per la prima volta mentre mi trovavo a Big Sur.

Non ne sono sicuro. Mesi e mesi di vicinanza con Carvajal non avevano ancora portato a dei risultati definitivi. Conoscevo gli espedienti usati da Carvajal per provocare lo stato, conoscevo i sintomi di una visione imminente, ero sicuro che entro breve tempo avrei “visto”, ma non avevo ancora avuto nessuna esperienza visionaria sicura, e più mi sforzavo di riuscirci, naturalmente, più lontano mi sembrava la meta. Però ci fu uno strano momento alla fine del mio soggiorno a Big Sur. Ero stato sulla spiaggia e ora, alla fine del pomeriggio, stavo arrancando velocemente per il ripido sentiero che portava al cottage, con il fiato grosso, godendo dell’inebriante stordimento che mi prendeva mentre sforzavo deliberatamente cuore e polmoni al massimo. Arrivato a un punto tutto curve, mi fermai un attimo, voltandomi a guardare indietro, e il riverbero accecante del sole che picchiava sulla superficie del mare mi colpì, abbagliandomi, tanto che vacillai con un brivido e dovetti afferrarmi a un cespuglio per non cadere. Proprio in quel momento mi sembrò — fu solo una sensazione illusoria, un breve guizzo impercettibile — mi sembrò di vedere, attraverso il fuoco d’oro, il vessillo del sole che ondeggiava sopra un’immensa piazza, e al centro dello stendardo c’era il viso di Paul Quinn che mi stava guardando, un viso possente, un viso imperioso, e la piazza era piena di gente, migliaia e migliaia di persone pigiate, centinaia di migliaia, che agitavano le braccia, urlavano selvaggiamente, salutavano la bandiera, una calca, un’immensa entità collettiva in preda all’isterismo, all’adorazione di Quinn. Avrebbe potuto essere ugualmente il 1934, Norimberga, un viso diverso sul vessillo, folli occhi ipertiroidei e rigidi baffi neri, e ciò che urlavano poteva essere Heil Sieg! Heil Sieg! Rimasi senza fiato e caddi in ginocchio, stravolto dalla vertigine, dal terrore, dallo stupore, dalla paura, da non so cosa. Gemetti, mettendo le mani sul viso, e la visione non c’era più, la brezza pomeridiana spazzò via folla e vessillo dal mio cervello pulsante e davanti ai miei occhi vidi solo l’oceano infinito.

Avevo “visto” davvero? Il velo del tempo si era aperto davanti a me? Era dunque Quinn il futuro “führer”, il duce di domani? Oppure la mia mente stanca aveva cospirato con il corpo spossato provocando un rapido lampo di paranoia, nient’altro che immaginazioni folli? Non lo sapevo. Continuo a non saperlo. Ho una mia teoria secondo la quale io “vidi” veramente; ma non ho mai più “visto” quel vessillo, né ho mai più udito quelle terribili grida rimbombanti della folla in delirio, e fino a che il giorno del vessillo non incomberà realmente su di noi non saprò la verità.

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