— In effetti stiamo considerando la possibilità di emettere una legge locale molto severa. Nessuna petroliera che trasporti petrolio fluido potrà entrare nel Porto di New York. Quinn non è del tutto sicuro che sia una buona idea, anche se così sembra, e stavamo proprio per chiederti qualche previsione. Ma quanto a una legge di portata nazionale… Quinn finora non ha mai parlato molto di questioni di politica nazionale.
— Non ancora.
— No, non ancora. Ma forse è ora. Forse Carvajal non ha tutti i torti riguardo a questo. E il terzo appunto…
— Leydecker.
Leydecker era, senza dubbio, il Governatore di California Richard Leydecker, uno degli uomini più potenti del Nuovo Partito Democratico e la punta di diamante del partito per l’elezione presidenziale del 2000.
— “Socorro” è il termine spagnolo per “aiuto”, vero, Bob? Aiutate Leydecker, che non ha bisogno di nessun aiuto? Perché mai? E poi come fa Quinn ad aiutare Leydecker? Appoggiando la sua candidatura? A parte la riconoscenza di Leydecker, non vedo proprio quale vantaggio possa portare a Quinn una cosa del genere, e poi è improbabile che possa dare a Leydecker qualcosa che lui non abbia già, quindi…
— Socorro è il vicegovernatore della California — mi interruppe gentilmente Lombroso — Carlos Socorro. È un nome, Lew.
— Carlos Socorro — chiusi gli occhi — naturalmente.
Avevo le guance di fuoco. Nonostante tutti i miei elenchi, il mio compilare frenetico i centri di potere del Nuovo Partito Democratico, ero già riuscito a dimenticare il delfino di Leydecker. Non “socorro” ma Socorro, idiota!
— A che cosa allude, allora? Al fatto che Leydecker darà le dimissioni per avere la candidatura, e che quindi Socorro diventerà governatore? Okay, il conto torna. Ma mettersi in contatto con lui subito? Con chi? — balbettai. — Socorro? Leydecker? È tutto confuso, Bob. Non riesco a tirarci fuori qualcosa di sensato.
— E Carvajal?
— Un mezzo matto. Un ricco originale. Un vecchietto eccentrico che ha la fissazione della politica — misi l’appunto nel portafoglio; avevo la testa che mi scoppiava. — Non ci pensare più. L’ho assecondato perché mi hai detto che dovevo farlo. Sono stato un bravo bambino oggi, vero, Bob? E adesso andiamo a colazione, fumiamo dell’ottimo osso, beviamo qualche martini molto gelato e parliamo di lavoro.
Lombroso mi offrì il suo sorriso più smagliante, mi diede una pacca sulla schiena per consolarmi e mi condusse fuori dal suo studio. Scacciai Carvajal dalla mia mente. Ma sentivo una sensazione di freddo, come se fossi entrato in una nuova stagione che non era la primavera, e questa sensazione durò ancora per molto tempo dopo colazione.
Nelle settimane seguenti ci demmo da fare con ardore per progettare la scalata di Paul Quinn — e nostra — alla Casa Bianca. Ormai non dovevo più nascondere il mio desiderio, che era diventato una necessità, di farlo diventare presidente; ormai tutti quelli della cerchia intima ammettevano apertamente di provare lo stesso ardore zelante che io avevo trovato così imbarazzante scoprendolo dentro di me per la prima volta un anno e mezzo prima.
L’operazione di fare eleggere qualcuno presidente non è cambiata molto dalla metà del XIX secolo, anche se le tecniche sono leggermente differenti in questo periodo di reti informative, previsioni stocastiche ed egosaturazione provocata dal martellamento pubblicitario. Il punto di partenza, naturalmente, è un candidato forte, uno che abbia preferibilmente una base molto larga in uno stato densamente popolato. Il nostro uomo deve risultare plausibile nei panni di presidente; deve avere l’aspetto e il modo di parlare di un presidente.
Se questo non rientra nel suo stile personale, deve essere addestrato a crearsi intorno un senso di credibilità. I candidati migliori lo posseggono naturalmente. McKinley, Lyndon Johnson, F.D. Roosevelt e Wilson ebbero tutti quell’imponente aria presidenziale. E anche Harding. Nessun uomo ebbe mai l’aria da presidente più di Harding; in realtà era l’unica cosa che lo qualificasse alla carica, ma fu sufficiente per farlo riuscire. Dewey, Al Smith, McGovern e Humphrey, invece, non l’avevano e furono sconfitti. Stevenson e Willkie erano dotati di questa qualità innata ma si trovarono di fronte ad avversari che l’avevano più forte. John E Kennedy non si uniformava affatto all’ideale presidenziale degli Anni ’60 — saggio e paterno — ma venne soccorso da altri elementi e, dopo la vittoria, modificò notevolmente il modello, facendo un favore, tra gli altri, anche a Paul Quinn.
Anche il modo di parlare, il sembrare presidente dalla voce, è importante. Il possibile candidato deve essere deciso e serio, ma benevolo nello stesso tempo, con un tono che comunichi il calore e la saggezza di Lincoln, l’audacia di Truman, la serenità di FDR e l’intelligenza di JFK.
L’uomo che aspira a diventare presidente deve riunire un gruppo di persone che comprenda: qualcuno che si procuri del denaro (Lombroso), qualcuno che si lavori il pubblico (Missakian), qualcuno che studi gli orientamenti generali e suggerisca i metodi più vantaggiosi (io), qualcuno che metta in piedi un’alleanza nazionale di capigruppo (Ephrikian), qualcuno che diriga e coordini la strategia (Mardikian). Questa squadra cerca di piazzare il prodotto, stabilisce i collegamenti utili nel mondo della politica, del giornalismo e della finanza e instilla nella mente del pubblico il concetto che questo è l’Uomo Giusto Per L’Impresa. Al momento della convenzione per la nomina del candidato un numero sufficiente di delegati sono stati convinti, tramite promesse segrete o alla luce del sole, ad assicurare il successo al candidato al primo o, alla peggio, al terzo scrutinio; se non si riesce ad ottenergli la nomina prima di allora, le alleanze si sgretolano e saltano fuori gli “outsider”.
All’inizio di aprile del 1999 tenemmo la prima riunione strategica formale nell’ufficio del vicesindaco Mardikian nell’ala ovest di City Hall, Haig Mardikian, Bob Lombroso, George Missakian, Ara Ephrikian e io. Quinn non era presente; era a Washington, in piena disputa con il Ministero della Sanità, Educazione e Benessere per un maggiore stanziamento a favore della città sottoposta al Decreto di Stabilità Emotiva. C’era un crepitìo elettrico nella stanza che non aveva niente a che fare con l’emissione di ozono del sistema di depurazione. Era l’esplosione del potere, reale e latente.
Ci eravamo riuniti per dare inizio alla nostra opera per plasmare la storia. La tavola era rotonda ma sentivo me stesso al centro del gruppo. Gli altri quattro, molto più abili di me nel tirare le fila del potere e dell’ascendente, mi guardavano aspettando che fossi io a indicare loro la direzione, poiché il futuro era vago e indistinto ed essi potevano solo cercare di indovinare gli enigmi dei giorni a venire, mentre io vedevo, io sapevo ed essi mi credevano. Non avevo intenzione di spiegare la differenza tra “vedere” ed essere bravi a indovinare. Assaporavo quel senso di dominio. Il potere dà assuefazione, certo, a qualsiasi livello lo raggiungiamo. Sedevo là tra i milionari, due avvocati, un grosso azionista e un capitalista delle reti di informazione, tre bruni armeni e un bruno ebreo-spagnolo, ciascuno di loro bramoso quanto me di provare il trionfo risonante di un riuscito appalto presidenziale, ciascuno avido quanto me di una fetta di gloria riflessa, ognuno già pronto a erigere imperi per se stesso all’interno del futuro governo, e loro, tutti loro, aspettavano che io dicessi come affrontare quella che in realtà era la conquista degli Stati Uniti d’America.
Mardikian fu il primo a parlare: — Cominciamo con un appunto, Lew. Secondo te, quante effettive possibilità ha Quinn di ottenere la nomina il prossimo anno?
Читать дальше