Robert Silverberg - Brivido crudele

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Una giovane orfana diciassettenne, vergine, e madre di cento figli. Un astronauta che, su un lontano pianeta, è stato vivisezionato e rimesso insieme, ma con criteri extraterrestri, da dei superchirurghi. Unite queste due vittime di un oltraggio insanabile. Dall’orrore che striscia sotto la loro pelle, pronto a prorompere, scaturiranno torrenti di paura, ira, odio, gelosia, tormento, terrore: le emozioni umane delle quali si nutre e si abbevera, e grazie alle quali ingrassa e si arricchisce, il “mercante di dolore”. L’astronauta, l’orfana e l’avvoltoio: il più strano “triangolo” coniugale che i mondi interplanetari abbiano mai veduto.

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Chalk diteggiò sulla manopola del computer, alla sua sinistra, e disse: — Buongiorno, David. Come ti senti, oggi?

— Iersera ha nevicato. La neve mi piace.

— Tra poco sarà sparita. Le macchine la sciolgono.

Voce vibrante di desiderio. — Come vorrei giocare nella neve!

— Prenderesti freddo — disse Chalk. — David, che giorno era il 15 febbraio 2002?

— Venerdì.

— Il 20 aprile 1968?

— Sabato.

— Come lo sai?

— Dev’essere così — rispose semplicemente Melangio.

— Il tredicesimo Presidente degli Stati Uniti?

— Fillmore.

— Che cosa fa il Presidente?

— Abita alla Casa Bianca.

— Sì, questo lo so — disse Chalk affabilmente — ma che compiti ha?

— Di abitare alla Casa Bianca. Qualche volta lo lasciano uscire.

— Che giorno della settimana era il 20 novembre 1891?

Risposta istantanea: — Venerdì.

— Nell’anno 1811, in che mesi il quinto giorno cadde di lunedì?

— Solo in agosto.

— Quand’è che il 29 febbraio cadrà nuovamente di sabato?

Melangio rise: — Questo è troppo facile. Il 29 febbraio viene solo ogni quattro anni e quindi…

— Va bene. Spiegami la faccenda dell’anno bisestile.

Silenzio.

— Non sai perché ciò accade, David?

D’Amore intervenne: — Può dirle qualsiasi data, signore, su un perìodo di novemila anni a cominciare dall’anno 1. Ma non è in grado di spiegare nulla. Lo interroghi sui bollettini meteorologici.

Le labbra sottili di Chalk si torsero: — David, parlami del 14 agosto 2031.

L’acuta voce in falsetto rispose: — Temperatura fresca la mattina, in aumento durante il giorno, con una massima di quaranta gradi alle quattordici, per effetto di un sovraccarico dei magneti. Alle diciannove la temperatura era scesa a ventisette e cinque, rimanendo immutata fin dopo mezzanotte. Poi si è messo a piovere.

— Dov’eri, quel giorno? — chiese Chalk.

— A casa, con mio fratello e mia sorella, e con mamma e papà.

— Eri felice quel giorno?

Silenzio.

— Qualcuno ti ha fatto male, quel giorno? — disse Chalk.

Melangio annuì. — Mio fratello mi ha dato un calcio, qui, nello stinco. Mia sorella mi ha tirato i capelli. Mamma mi ha dato a colazione un chemiopasto. Poi sono uscito a giocare. Un bambino ha gettato un sasso al mio cane. Poi…

Non c’era traccia d’emozione nella sua voce. Melangio riferiva gli strazi della sua infanzia con la stessa placidità che se stesse dicendo la data del terzo martedì di settembre del 1794.

Tuttavia, sotto la superficie vitrea del prolungato infantilismo, stava una sofferenza reale. Chalk la percepiva. Lasciò che Melangio continuasse la sua filastrocca, guidandolo ogni tanto con una domanda.

Le palpebre di Chalk si chiusero. Gli era più facile, così, scoprire i ricettori sensitivi, protenderli a succhiare il substrato di dolore che esisteva, latente, dietro il cervello da fenomeno di David Melangio. Dispiaceri minuscoli di antica data scoccarono come scintille di una corrente ad arco attraverso la stanza: la morte di un pesciolino rosso, un padre che urlava, una ragazza nuda che si voltava, con i suoi seni dondolanti dalla punta rosea, e proferiva parole micidiali. Tutto era lì, accessibile, allo stato puro: l’anima minorata di David Melangio, di anni quaranta, isola umana ben murata, nel mare tempestoso che lo circondava.

Alla fine, la narrazione si spense. Per adesso, Chalk si era nutrito abbastanza. Stufo di continuare a premere i tasti di Melangio, passò in dissolvenza, tornando allo strano potere mnemonico del sapiente idiota.

— David, attento a questi numeri: 96748759.

— Sì.

— E a questi: 32807887.

— Sì.

— E anche: 333141187698.

Melangio aspettava. Chalk disse: — Via, David! I numeri sgusciarono fuori senza sforzo, di seguito: 9 6 7 4 8 7 5 9 3 2 8 0 7 8 8 7 3 3 3 1 4 1 1 8 7 6 9 8.

— David, quanto fa dodici per sette?

Un silenzio. — Sessantaquattro?

— No. Sottrai nove da sedici.

— Dieci?

— Se sei capace di mandare a memoria l’intero calendario, anche alla rovescia, come mai non sai fare neanche una operazione?

Melangio sorrise garbatamente. Non disse niente.

— David, non ti capita mai di chiederti perché sei come sei?

— Come cosa? — chiese Melangio.

Chalk ormai sapeva tutto quel che gli occorreva. Da David Melangio si potevano ricavare solo piaceri di basso livello: Chalk, per quella mattina, aveva avuto la sua goccia di piacere, e il pubblico anonimo avrebbe trovato un barlume di divertimento nella fenomenale abilità di Melangio quando si trattava di snocciolare date, numeri e bollettini meteorologici; ma da David Melangio non c’era da spremere nulla di sostanzioso.

— Grazie, David — disse Chalk, congedandolo tranquillamente.

D’Amore parve turbato. Le abilità del suo prodigio avevano fatto cilecca. Non avevano impressionato Chalk, e invece la prosperità economica di d’Amore poteva continuare solo a patto che egli riuscisse spesso a far colpo sul padrone. Solitamente, chi non ci riusciva non rimaneva a lungo al servizio di Chalk. La mensola rientrò nel muro, portandosi via d’Amore e Melangio.

Chalk contemplava gli anelli splendenti imprigionati fra i cuscinetti di grasso delle sue dita tozze. Si lasciò andare indietro sullo schienale, chiudendo gli occhi. Gli si presentò l’immagine del suo corpo sotto l’aspetto di cerchi concentrici, come un bulbo di cipolla, però con ogni occulto strato isolato dal successivo a opera di una falda sottile di mercurio: le sfoglie distinte di Duncan Chalk scivolavano e slittavano l’una sull’altra, ben lubrificate, spostandosi lente col cedere del mercurio alle pressioni che lo strizzavano in vasi oscuri…

Disse a Bart Aoudad: — Dobbiamo approfondire ancora per un po’ l’indagine sull’astronauta.

Aoudad annuì: — Sorveglierò i traccianti, signore.

— E la ragazza — disse Chalk a Tom Nikolaides. — La ragazzetta triste. Tenteremo un esperimento. Sinergia. Catalisi. Riunirli. Chissà? Potremmo farne scaturire del dolore. Del sentimento umano. Nick, possiamo imparare un’utile lezione, dalla sofferenza. Ci insegna a sentirci vivi.

— Quel Melangio — fece notare Aoudad. Non sembra sentire la propria sofferenza. La registra, la incide sul cervello. Ma non la sente.

— Esatto — disse Chalk. — È quel che penso anch’io. Tutto sta qui. Non è capace di sentire niente, solo di registrare e di ripetere. C’è il dolore, come no! Ma non può toccarlo.

— E se glielo facessimo venir fuori noi? — suggerì Aoudad. Sorrideva, in modo non piacevole.

— Troppo tardi. Se ora toccasse realmente quel dolore, brucerebbe in un attimo. No, Bart. Lasciamolo ai suoi calendari. Non uccidiamolo. Farà il suo numero, tutti applaudiranno e poi lo faremo ricadere nel suo brago. L’astronauta, però… Tutt’altra cosa.

— E la ragazza — gli ricordò Nikolaides.

— Sì. L’astronauta e la ragazza. Dovrebbe risultare interessante. Potremmo avere molto da imparare.

2

Così in terra come in cielo

Forse un giorno, con macchie di sangue fresco sulla mani e il cuore palpitante nell’impeto rinnovato della vita, avrebbe pensato di aver fatto un sogno, orrendo e perverso. Ma, prima, doveva valicare il ponte lucente sull’abisso, il mitico ponte di Heimdall. Per ora viveva dolorante, come al primo momento, quando la cosa stava ancora accadendo. Molteplici terrori avvolgevano Minner Burris.

Normalmente invulnerabile ai terrori, questa volta non aveva potuto. Era troppo. Le grandi sagome viscide intorno alla nave. Le manette d’oro. La cassetta dei ferri chirurgici aperta, pronta.

— … — aveva detto il mostro butterato di sinistra.

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