Sotto di lui, i chirurghi erano chini sul cranio aperto di un ragazzo. Vorst li aveva visti asportare la calotta cranica ed affondare i bisturi luminosi nell’intricata massa grigia. C’erano dieci miliardi di neuroni in quel tessuto e un’infinità di cilindrassi e di ricettori dendritici. I chirurghi speravano di riuscire a riordinare, modificando l’interruttore proteino-molecolare, la rete di sinapsi di quel cervello, allo scopo di sfruttare il paziente per realizzare il progetto di Vorst.
Una follia, pensò il Fondatore. Ma non diede voce al suo pessimismo e rimase seduto in silenzio ad ascoltare il battito del sangue che scorreva nelle sue arterie artificiali.
L’impresa in cui si stavano cimentando gli scienziati era davvero ragguardevole. Facendo appello a tutte le risorse della microchirurgia moderna, i più esperti medici del Centro di Scienze Biologiche Noel Vorst stavano tentando di alterare i meccanismi di riconoscimento proteino-proteino-molecolare di un encefalo umano. Gli scienziati attorcigliarono un po’ i circuiti, modificarono le strutture transinaptiche, rafforzarono il legame fra le membrane pre e postsinaptiche; deviarono gli input sinaptici individuali da un recettore dendritico all’altro: in breve, riprogrammarono il cervello del paziente nella speranza di metterlo in condizione di fare ciò che Noel Vorst voleva che facesse.
E cioè fornire la forza propulsiva necessaria per scagliare un’équipe di esploratori oltre l’abisso degli anni luce e farli atterrare su un altro astro.
Era un progetto straordinario. Gli scienziati del centro di ricerca di Santa Fe ci stavano lavorando da oltre cinquant’anni. Nelle prime fasi della sperimentazione avevano utilizzato il cervello di gatti, scimmie e delfini. Più recentemente avevano incominciato a intervenire direttamente sugli esseri umani. Il paziente che stavano operando era un esperiano di medio livello, un preveggente con scarse doti di stabilità temporale. Gli restavano sei mesi di vita o poco più, una prognosi che giustificava gli alti rischi che comportava il delicato intervento. Era stato lui stesso, consapevole delle proprie condizioni di salute, a offrirsi volontario. In quel momento si trovava nelle mani dei più abili chirurghi del mondo.
C’erano soltanto due cose che non andavano in quell’intervento e Vorst lo sapeva: non aveva alcuna probabilità di successo e, soprattutto, non era affatto necessario.
Ma come poteva dire a un gruppo di uomini che avevano consacrato tutta la loro esistenza a un solo, ambizioso progetto, che avevano tanto faticato per niente? E poi c’era pur sempre l’esile speranza che riuscissero a compiere il miracolo: a creare con il loro bisturi un terrestre dotato di poteri telecinetici. Così Vorst assistette rispettosamente all’operazione. I chirurghi sapevano che la divina presenza del Fondatore era con loro. Pur senza levare lo sguardo verso la galleria, dove Vorst sedeva, adagiato nella sua poltrona antigravitazionale di telaschiuma, sapevano che il vecchio uomo, avvizzito, ma ancora pieno di vigore, stava sorridendo benignamente verso di loro.
I suoi occhi vedevano grazie a cristallini sintetici; le anse del suo intestino erano state ricostruite con polimeri realizzati in laboratorio; il suo cuore, che ancora pompava con tanta forza, proveniva da una banca d’organi. Restava poco dell’autentico Noel Vorst, a eccezione del cervello, che era intatto, anche se inondato di anti-coagulanti, per prevenire il verificarsi di malattie invalidanti.
— Siete comodo, signore? — gli domandò il pallido accolito al suo fianco.
— Comodissimo. E tu?
L’accolito sorrise alla battuta di Vorst. Aveva soltanto vent’anni e i suoi occhi brillavano per l’orgoglio di avere, per quel giorno, il privilegio di accompagnare il Fondatore. A Vorst piaceva essere circondato da persone giovani. Avevano una terribile soggezione di lui, ovviamente, ma sapevano trattarlo con calore e rispetto, senza venerarlo come un santo. Nel suo corpo pulsava la vita di molti giovani vorsteriani: quella del ragazzo che gli aveva donato una pellicola di tessuto polmonare, quella di un altro volontario che gli aveva fatto dono della retina, e quella dei due gemelli che avevano rinunciato a un rene ciascuno. Più che un uomo era un collage di organi umani, che portava su di sé la carne viva del movimento che aveva creato.
I chirurghi erano chini sul cervello dell’esperiano. Vorst non vedeva che cosa stessero facendo. Una telecamera, avvolta da un telo chirurgico, trasmetteva le riprese dell’intervento su uno schermo posto a livello della galleria, ma, nonostante le immagini fossero ingrandite e molto nitide, Vorst non riusciva a capirci un gran che. Tuttavia, benché perplesso e annoiato, il Fondatore fingeva un’espressione interessata.
Senza far rumore spinse una levetta sul bracciolo della sedia e accese il comunicatore. — Sapete se il Coordinatore Kirby abbia intenzione di raggiungermi presto? — domandò
— In questo momento sta parlando con Venere, signore.
— Con chi sta parlando, con Lazzaro o con Mondschein?
— Con Mondschein, signore. Gli dirò di raggiungervi non appena ha finito.
Vorst sorrise. Il protocollo prevedeva che i negoziati ad alto livello venissero condotti dai massimi funzionari delle due parti e non dai profeti. Pertanto, erano stati i due comandanti in seconda ad avviare le trattative: il Coordinatore dell’Emisfero, Reynolds Kirby, in rappresentanza dei vorsteriani della Terra, e Christopher Mondschein per gli armonisti, che governavano Venere. Ma entro breve, sarebbe toccato alle due persone maggiormente in sintonia con l’Eterna Unità concludere l’accordo, ossia Vorst e Lazzaro.
…concludere l’accordo…
Un tremito improvviso gli fece contrarre la mano destra, che si serrò ad artiglio. L’accolito provvide immediatamente a pigiare alcuni bottoni per ripristinare l’equilibrio metabolico. Cupo in volto, il Fondatore ordinò alla mano di rilassarsi.
— Sto bene — insistette. …violare il cielo…
La realizzazione del suo progetto era così prossima ormai che tutto cominciava ad apparirgli come in un sogno. Un secolo di cospirazioni, di partite a scacchi con antagonisti non nati, l’edificio fantastico di una teocrazia costruito su un’unica, fragile, presuntuosa speranza…
Era follia, si domandò Vorst, desiderare di riscrivere la storia? Era mostruoso riuscirci?
Sul tavolo operatorio le gambe del paziente emersero da un mare di teli chirurgici e presero a scalciare convulsamente. L’anestesista fece scorrere le dita sulla sua consolle e l’esperiano, chiamato a intervenire in caso di emergenza, entrò silenziosamente in azione. Seguirono attimi di concitazione attorno al tavolo.
In quel momento, un vecchio, alto e rinsecchito, entrò nella galleria e si presentò a Vorst.
— Come sta andando l’operazione? — domandò Reynolds Kirby.
— Il paziente è appena morto — rispose Vorst. — E pensare che sembrava che le cose stessero andando così bene.
Kirby non si aspettava che l’intervento avesse successo. Ne aveva discusso approfonditamente con Vorst il giorno prima; benché non fosse uno scienziato, il Coordinatore cercava di tenersi aggiornato sugli studi che venivano condotti al centro di ricerca. La sua sfera di responsabilità riguardava la gestione amministrativa dell’organizzazione.
A lui spettava il compito di soprintendere alle numerosissime attività secolari del movimento, che, in pratica, governava il mondo. Erano trascorsi quasi nove decenni dal giorno in cui si era convertito alla fede vorsteriana e, in quegli anni, Kirby aveva visto il movimento crescere e diventare ogni giorno più potente.
Ma il potere politico, per quanto utile per governare, non rappresentava il fine ultimo della Confraternita. L’essenza del movimento stava nel progetto scientifico al quale lavoravano gli studiosi di Santa Fe. Lì, nel corso degli anni, era stata creata una vera e propria fabbrica dei miracoli, i cui straordinari ingranaggi erano tenuti costantemente oliati dal contributo finanziario di milioni di fedeli di tutti i continenti. E i miracoli si stavano compiendo. Adesso, il processo di rigenerazione cellulare, messo a punto dagli scienziati, garantiva ai nuovi nati una vita media di tre-quattrocento anni, forse di più. Ma nessuno era in grado di dire se fosse stata raggiunta l’immortalità, perché sarebbe stato necessario effettuare indagini di controllo per alcuni millenni per averne la prova. Nondimeno, gli scienziati erano stati capaci di offrire un accettabile facsimile della vita eterna, mantenendo sostanzialmente la promessa fatta da Vorst cento anni prima, quando aveva gettato le fondamenta del movimento.
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