Anne McCaffrey - Volo di drago

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Volo di drago: краткое содержание, описание и аннотация

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La trilogia dei «Dragonieri di Pern», di cui «Volo di Drago» è la prima parte, è uno dei più interessanti cicli narrativi che la fantascienza ha prodotto in questi ultimi anni nel suo sforzo di rinnovamento interno, tematico e stilistico; è il tentativo ad ampio respiro di creare «ex novo» una mitologia complessa e coordinata, che non sia un semplice adattamento di mitologie «terrestri».
Esso è dovuto ad un nome nuovo, lanciato da John Campbell sulle pagine di «Analog», Anne McCaffrey, che si rivela scrittrice sensibile, originale e dalle notevoli doti letterarie. Sia i lettori che i critici statunitensi hanno testimoniato illoro apprezzamento per quest’opera, i cui diversi capitoli sono apparsi in più riprese sulle riviste di Campbell: i primi assegnando il Premio Hugo 1968 per il miglior romanzo breve alla parte iniziale del romanzo; i secondi il Premio Nebula 1969 per la stessa categoria all’ultima parte di esso. Anne McCaffrey è stata così la prima donna a vincere i due massimi premi fantascientifici americani.

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«Io sono il Comandante del Weyr,» l’informò F’lar, seccamente. Quella ragazza era proprio irragionevole.

Prima di chinare il capo per terminare il pasto, Lessa gli lanciò una lunga, durissima occhiata. Mangiava molto poco, in fretta e con grazia. In confronto a Jora, in un giorno non mangiava neppure quello che sarebbe bastato a nutrire un bimbo ammalato. Ma era assurdo fare paragoni tra Lessa e Jora.

F’lar terminò di far colazione, e ammucchiò i due boccali sul vassoio vuoto. Lei si alzò senza dir nulla, prese i piatti e li portò via.

«Andremo non appena il Weyr sarà libero,» disse l’uomo.

«È quello che avevi detto tu.» Con un cenno del capo, Lessa indicò la regina, visibile attraverso l’arcata. «Dobbiamo aspettare Ramoth.»

«Ma non si sta svegliando? È un’ora che continua ad agitare la coda.»

«Fa sempre così, verso quest’ora.»

F’lar si appoggiò alla tavola, inarcando le sopracciglia in un’espressione pensosa, e osservò la punta dorata e forcuta della coda della regina sbattere convulsamente di qua e di là.

«Anche Mnementh. E sempre all’alba o di prima mattina. Come se, in un modo o nell’altro, associassero quest’ora a qualche cosa di sgradevole…»

«O al levarsi della Stella Rossa?» l’interruppe Lessa.

Una sottile differenza nel suo tono costrinse F’lar a lanciarle una rapida occhiata. Non c’era più la collera per non essere stata invitata ad assistere al fenomeno di quel mattino. Guardava nel vuoto; il viso, dapprima disteso, si contrasse in un cipiglio vagamente ansioso. Rughe sottili si incisero tra le sopracciglia inarcate, disegnate con grazia.

«L’alba… è allora che giungono tutti gli avvertimenti,» mormorò lei.

«Che genere di avvertimenti?» chiese F’lar, incoraggiante.

«Quel mattino… pochi giorni prima… prima che tu e Fax arrivaste alla Fortezza di Ruatha. Qualcosa mi svegliò… una sensazione, come una pressione pesante… la sensazione di un pericolo tremendo che mi minacciasse.» Fece una pausa. «La Stella Rossa si stava appena levando.» Aprì e chiuse le dita della mano sinistra, poi rabbrividì, convulsamente, tornò a concentrare lo sguardo sul volto dell’uomo.

«Tu e Fax arrivaste da Nord-Est, dalla direzione di Crom,» disse, con voce tagliente. Ignorava un particolare, pensò F’lar: anche la Stella Rossa si levava un poco più a Nord dell’oriente.

«Infatti,» le rispose con un sogghigno; ricordava benissimo quella mattina. «Tuttavia,» aggiunse, indicando con un gesto la grande caverna, «credo di esserti stato utile, quel giorno… Tu lo ricordi con dispiacere?»

Lo sguardo che ottenne in risposta era freddo e imperscrutabile.

«Il pericolo viene in molte forme.»

«D’accordo,» rispose F’lar, amabilmente, deciso a non abboccare alla provocazione. «Hai avuto altri risvegli del genere?» domandò, in tono discorsivo.

Il silenzio assoluto lo spinse a rivolgere nuovamente lo sguardo verso di lei. Era divenuta pallidissima.

«Il giorno in cui Fax invase la Fortezza di Ruatha.» La voce era un bisbiglio quasi inarticolato, gli occhi fissi e sbarrati, le mani strette all’orlo della tavola. Lessa rimase così a lungo in silenzio che F’lar cominciò a preoccuparsi. Era una reazione inaspettatamente violenta ad una domanda casuale.

«Parlamene,» le suggerì, sottovoce.

Lessa parlò in toni impersonali, privi di emozione, come se recitasse una Ballata Tradizionale, composta per narrare qualcosa accaduto ad un’altra persona.

«Ero ancora una bambina. Avevo appena undici anni. Mi svegliai all’alba…» La voce si smorzò. Gli occhi rimasero fissi nel vuoto, come se rivedessero la scena avvenuta tanto tempo prima.

F’lar si sentì spinto dal desiderio irrefrenabile di confortarla. Lo colpì comunque, sebbene fosse mosso da un’insolita compassione, il fatto che non aveva mai creduto Lessa tanto vulnerabile nei confronti di un antico terrore.

Mnementh informò seccamente il suo cavaliere che Lessa era molto turbata; al punto che la sua angoscia stava svegliando Ramoth. Poi, in toni meno accusatori, comunicò che R’gul aveva finalmente condotto via i suoi giovani allievi. Però Hath, il suo drago, era in condizioni di totale disorientamento, a causa dello stato d’animo di R’gul. F’lar doveva proprio sconvolgere tutti quanti, al Weyr…?

«Oh, finiscila,» ribatté F’lar, sottovoce.

«Perché?» domandò Lessa, con la sua voce normale.

«Non mi riferivo a te, mia cara Dama del Weyr,» la rassicurò con un sorriso gentile, come se quell’interludio non vi fosse mai stato. «Mnementh non fa altro che dare consigli, in questi giorni.»

«Tale il cavaliere, tale il drago,» replicò lei, acida.

Ramoth sbadigliò poderosamente. Lessa balzò subito in piedi, corse a fianco del suo drago: la figuretta snella appariva ancora più minuta, accanto all’enorme testa della regina.

Un’espressione tenera, adorante le soffuse il volto mentre guardava negli occhi opalescenti di Ramoth. F’lar strinse i denti, invidioso, per l’Uovo!, di quell’affetto.

Udì risuonare nella propria mente la risata di Mnementh.

«Ramoth ha fame,» gli disse Lessa. Un riflesso del suo amore per la regina indugiava ancora nella linea morbida delle labbra, nella dolcezza degli occhi grigi.

«Ha sempre fame,» osservò F’lar, seguendole.

Mnementh si tenne cortesemente librato a poca distanza dal cornicione fino a quando Ramoth e Lessa furono in volo. Planarono sopra la Conca, oltre il laghetto avvolto dai vapori, verso il campo del pasto, all’estremità più lontana dell’ovale allungato che costituiva il fondo del Weyr di Benden. Le pareti ripide e striate erano costellate dalle aperture nere degli alloggi, abbandonati a quell’ora anche dai draghi che più tardi si sarebbero messi a sonnecchiare al Sole invernale, distesi sui cornicioni.

Mentre balzava sul liscio collo bronzeo di Mnementh, F’lar si augurò che la covata di Ramoth fosse spettacolosa, e cancellasse il ricordo ignominioso della misera dozzina di uova deposte da Nemorth in ognuna delle ultime covate.

Non aveva più dubbi circa un miglioramento, dopo lo straordinario volo nuziale con Mnementh. Il drago bronzeo riecheggiò vanitosamente la sicurezza del suo cavaliere: entrambi guardarono con aria possessiva la regina che incurvava le ali per atterrare. Era grande il doppio di Nemorth, tanto per cominciare; le sue ali erano ampie una volta e mezzo quelle di Mnementh, il quale era il più grosso dei sette maschi bronzei. F’lar contava su Ramoth per ripopolare i cinque Weyr deserti, come contava su se stesso e su Lessa per ringiovanire l’orgoglio e la fede dei dragonieri e di tutto Pern. Sperava soltanto che gli rimanesse il tempo per fare quanto era necessario. La Stella Rossa era già apparsa incorniciata dalla Roccia dell’Occhio. I Fili avrebbero incominciato presto a cadere. Da qualche parte, in una delle Cronache degli altri Weyr, dovevano esserci le informazioni di cui aveva bisogno per accertare con esattezza quando i Fili avrebbero iniziato la loro discesa dal cielo.

Mnementh atterrò, e F’lar balzò dal suo collo incurvato per posarsi accanto a Lessa. Insieme, i tre seguirono con lo sguardo Ramoth che, con una preda stretta in ciascuna delle zampe anteriori, si stava portando verso un cornicione.

«Non le calerà mai l’appetito?» chiese Lessa, con affettuoso sbigottimento.

Da piccola, Ramoth aveva mangiato per crescere. Adesso aveva raggiunto la grandezza di adulta, e naturalmente mangiava per i suoi piccini: e lo faceva con il massimo impegno.

F’lar ridacchiò e si accosciò. Raccolse pezzi piatti di pietra, e li lanciò attraverso il suolo arido e liscio, contando gli sbuffi di polvere dei rimbalzi con impegno infantile.

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