Marion Bradley - La spada di Aldones

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La spada di Aldones: краткое содержание, описание и аннотация

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Aldones è uno degli dei di Darkover, uno dei Signori della luce. Il romanzo prosegue le vicende narrate in Ritorno a Darkover e Il Signore di Storn. La storia inizia con il figlio di Kennard Alton richiamato su Darkover dal Reggente. Sul Pianeta del Sole Rosso ha inizio la lotta contro i terrestri e alcuni nobili vogliono usare il potere di Sharra, la dea del fuoco, il cui culto è proibito, per sconfiggerli. Il giovane, figlio di un darkovano e di una terrestre, si trova così diviso fra due fazioni e avventurandosi in una delle Torri, deve confrontarsi con il potere di Sharra, cercando l'aiuto di un dio a lei superiore: Aldones.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1963.

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«Sì, la legge di Cherillys», rammentai. «“Una matrice è il solo oggetto unico dello spazio-tempo, e poiché esiste autonomamente, senza bisogno della sua copia a farle da punto di equilibrio, può trasferire l'energia da una forma all'altra.”»

Callina annuì.

«Il tentativo di costruire un esatto duplicato molecolare di una matrice complessa come quella che controlla Sharra — e che deve essere almeno di nono o decimo livello — rischierebbe di scagliare fuori dall'ordinario spazio-tempo una buona metà del pianeta.»

«Ne avevo l'impressione», annuii, «ma soltanto una Guardiana poteva saperlo con certezza.»

«Una Guardiana!» esclamò lei, ridendo. Tacque per qualche istante, poi riprese. «Suppongo che Linnell ti abbia detto tutto», disse. «Lew, non è solo l'alleanza a preoccuparmi. Se hanno deciso di allontanarmi, di assicurarsi che non venga ad avere troppo potere in Consiglio, riusciranno a farlo. Non posso combattere contro l'intero Consiglio, Lew. E se pensano che l'alleanza con Aldaran possa essere utile ai Comyn, come posso obiettare? Il Reggente Hastur non è uno sciocco, e può darsi che abbiano ragione: non so nulla di politica. Se non fossi una Guardiana, non mi avrebbero neppure chiesto il mio consenso; mi avrebbero dato ordine di sposarmi, e io avrei obbedito! Credo che un marito valga l'altro.»

Anche adesso ebbi la curiosa impressione di avere davanti a me una ragazzina ingenua e sprovveduta nel corpo di una donna. Parlava del suo matrimonio come una bambina avrebbe potuto parlare del matrimonio della propria bambola. Eppure era una donna bella e desiderabile. Era un'esperienza che mi metteva a disagio.

«Non capisco come sia potuto succedere», disse poi, cambiando discorso. «Non credo che dei semplici uomini delle foreste possano avervi attaccato proprio in quel momento, e che abbiano rubato la matrice di Sharra. Chi li guidava?»

La fissai con stupore.

«Il Reggente Hastur non te lo ha detto?» chiesi. «Credo che non lo sapesse neanche lui.» «Gli uomini della foresta», dissi, con irritazione, «rubano armi, cibo, vestiti, e magari gioielli, ma non oserebbero toccare una matrice. Soprattutto quella matrice! Mi chiedo perché sono ancora vivo.» La guardai negli occhi. «Callina, io ero in fase con quella matrice, corpo e cervello! Anche quando era isolata, se una persona non in fase la toccava, sentivo dolore ! Ci sono tre sole persone, sull'intero pianeta, che possono toccarla senza che io muoia in conseguenza dello shock. Non ti hanno detto che è stato lo stesso Kadarin?»

Callina impallidì.

«Non credo che il Reggente sia in grado di riconoscere Kadarin», disse. «Ma come poteva sapere, quel bandito, che tu avevi la matrice?»

Vero: da chi l'aveva saputo? Non potevo credere che fosse stato Rafe Scott a tradirmi a Kadarin. I fuochi di Sharra avevano colpito anche lui. Preferivo pensare che Kadarin fosse ancora in grado di leggere nella mia mente, anche da lontano. All'improvviso mi resi conto di quel che significava la perdita di Marjus, per me: adesso ero completamente solo.

«Cerca di non pensarci», disse Callina. «Non addolorarti così.»

Ma sapevo perché lo diceva. Per lei, Marjus era solo un estraneo, un mezza-casta, disprezzato per la sua origine. Come poteva capire? Eravamo stati in rapporto mentale completo, io e Marjus, per quasi tre ore, con tutto ciò che ne consegue. Ero giunto a conoscere Marjus meglio di me stesso, con le sue forze e le sue debolezze, i suoi desideri e le sue speranze e le sue delusioni. Era come se fossimo vissuti insieme per anni. Fino al momento in cui ero entrato in rapporto con lui, non mi ero mai reso conto di avere un fratello, ma dal momento del contatto a quello della sua morte non avevo più conosciuto la solitudine. Però, non sapevo come spiegarlo a Callina.

Dopo qualche tempo, fu lei a riprendere la parola.

«Lew», chiese, «come hai fatto a lasciarti coinvolgere in…» stava per dire “Sharra”, ma, nel vedere la mia smorfia di dolore, non pronunciò la parola, «… quelle trame di Kadarin? L'hai mai raccontato?»

«Sono avvenimenti a cui preferisco non pensare», dissi, sbrigativamente. E pensai: Ancora una volta… non la smetteranno mai di mettere il ferro nella piaga?

«So che non è facile per te», disse allora lei. «Ma anche per me non è facile lasciarmi consegnare all'Aldaran.»

Non mi guardò. Allungò la mano per prendere una sigaretta da una scatola di cristallo, e l'accese con la matrice che portava al dito. Anch'io feci per prenderne una; lei sollevò la testa si scatto e mi fissò con stupore.

Io la fissai a mia volta.

«Sugli altri pianeti», le dissi, «anche gli uomini fumano, e non solo le donne.»

«Non ci credo!»

«No, è come ti dico io.»

Con aria di sfida, prelevai una sigaretta e, ricordando che non avevo fiammiferi, le presi la mano e accostai alla sigaretta l'anello con la piccola pietra matrice.

«E nessuno», continuai, «ride di loro o li considera effemminati, “portatori di sandali”, “fratellini” o altro. È un'abitudine antichissima the non desta la minima attenzione. Anch'io ho preso questa abitudine, e talvolta, quando mi concentro, devo accendere una sigaretta. Credi di poter resistere allo spettacolo di un uomo che fuma, comynara Callina?» conclusi ironicamente.

Ci scambiammo uno sguardo carico di ostilità, che non aveva niente a che vedere con il battibecco su un particolare sciocco e trascurabile come quello delle sigarette.

Lei sorrise con aria sprezzante.

«C'era da aspettarselo, da un terrestre », disse, scuotendo la testa. «Fa' come vuoi.»

Le tenevo ancora la mano con l'anello. La lasciai andare e aspirai una boccata del fumo leggero e dolciastro.

«Mi hai fatto una domanda», dissi poi, avvicinandomi alla finestra. Fissai per qualche momento le vette dei monti, coperte di neve, in fondo alla valle, prima di voltarmi di nuovo verso di lei. «Cercherò di rispondere.

«Kadarin», proseguii, «era un fratello adottivo del signore di Aldaran, a quanto ho sentito dire. Nessuno sa chi fossero i suoi genitori, e neppure a che razza appartenessero. Alcuni dicono che sia figlio di un rinnegato terrestre, Zeb Scott, e di una donna della razza dei chieri , da lui incontrata nelle foreste degli Hellers. Però, deve avere fatto parte di quel Cerchio illegale che si è formato nel Castello di Aldaran, e lì deve essere stato addestrato come tecnico delle matrici.

«Sia come sia, resta il fatto che Kadarin è un uomo di straordinaria intelligenza. È stato per molti anni ad Aldaran e laggiù ha imparato la meccanica delle matrici, poi è stato per qualche tempo nello spionaggio dei terrestri e ha lasciato Darkover. Si è fatto allontanare da tre o quattro pianeti, e alla fine è ritornato al punto di partenza, ossia negli Hellers.

«Molti terrestri di quelle parti hanno una parte di sangue darkovano, e ci sono anche i discendenti dei vecchi incroci con razze non umane. Kadarin ha cominciato a raccogliere attorno a sé tutti i malcontenti e i ribelli, e alla fine ha incontrato me.»

Mi allontanai di qualche passo.

«Sai com'era la mia vita, qui su Darkover», dissi. «Per i Comyn ero un bastardo, uno straniero. Per i terrestri ero uno scherzo di natura, un lettore della mente. Tutt'e due diffidavano di me. Kadarin, invece, mi fece sentire a mio agio, mi fece pensare di avere trovato lo scopo della mia vita.»

Non volevo ammettere neanche a me stesso che a quell'epoca ero rimasto totalmente affascinato da lui. Sospirai.

«Prima», continuai, «ho fatto il nome di un rinnegato terrestre, Zeb Scott, che avrebbe incontrato uno degli ultimi chieri. »

Mi tornarono alla mente gli anni di ricerche, di avventure, ma li condensai in poche parole.

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