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Gene Wolfe: L'artiglio del Conciliatore

Здесь есть возможность читать онлайн «Gene Wolfe: L'artiglio del Conciliatore» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 1983, ISBN: 88-429-0493-7, издательство: Nord, категория: Фантастика и фэнтези / Фэнтези / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Gene Wolfe L'artiglio del Conciliatore

L'artiglio del Conciliatore: краткое содержание, описание и аннотация

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Il ciclo del “Libro del Nuovo Sole” di Gene Wolfe è ambientato in un futuro estremamente remoto, su una Terra trasformata in modi misteriosi e meravigliosi, e in un tempo in cui la cultura attuale non è nemmeno un lontano ricordo. Nel primo romanzo della serie avevamo fatto la conoscenza di Severian, il giovane torturatore mandato in esilio per essersi innamorato di una delle sue vittime e aver disobbedito alle ferree regole della corporazione cui apparteneva. Entrato per caso in possesso dell’Artiglio del Conciliatore, una gemma dai poteri miracolosi appartenuta a una leggendaria figura di proporzioni mitiche, Severian continua il suo viaggio verso Thrax, la città del suo esilio, in compagnia della sua spada Terminus Est. Molte sono le meraviglie che l’attendono sul suo cammino: creature scimmiesche dotate di intelligenza umana e di corpi pelosi e lucenti; un bizzarro rituale cannibalesco che gli riporterà le memorie e i pensieri della sua amata e scomparsa Thecla; la stanza delle superfici specchianti in cui svanirà Jonas, il suo compagno strano e non del tutto mortale. Evocativo, profondo, ipnotico nella sua lirica potenza, L’artiglio del conciliatore si rivela un vero capolavoro di grandiosa e raffinata maestria letteraria. Vincitore del premio Nebula per il miglior romanzo in 1981. Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo fantasy in 1982. Nominato per i premi Hugo e World Fantasy in 1982. 

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— Allora tu pensi che dicesse la verità?

— Quando io ero rimasta con il dottor Talos e tu eri sparito, lui e Jolenta mi dicevano continuamente che ero una sempliciotta, perché credevo a tutto quello che mi veniva detto lungo la strada, oltre che a tutto quanto dicevano loro due e Baldanders. Comunque, io sono convinta che anche i bugiardi più famosi dicano la verità più spesso che le menzogne. È molto più semplice! Se la storia del tuo salvataggio non era vera, per quale motivo avrebbe dovuto raccontartela? Poteva solo spaventarti di più, quando ci avessi riflettuto. E se lei non nuota fra le stelle, perché dirlo? Ma qualcosa non ti convince, lo capisco benissimo. Di cosa si tratta?

Non intendevo parlarle del mio incontro con l’Autarca, così risposi: — Poco tempo fa ho visto un’illustrazione… in un libro… raffigurante un essere che vive nell’abisso. Si trattava di una donna alata. Le sue non erano ali di uccello, bensì immensi piani di una sostanza sottile e pigmentata. Ali che potevano muoversi con facilità nella luce delle stelle.

Dorcas mi fissò incuriosita. — L’hai visto nel tuo libro marrone?

— No, in un altro, ma ora non l’ho qui con me.

— Comunque, questo mi fa ricordare che avevamo deciso di consultare il tuo libro marrone a proposito del Conciliatore. Ce l’hai ancora?

L’avevo, e lo presi. Era bagnato, perciò lo aprii e lo sistemai in modo che il sole battesse sulle pagine, agitate dalle brezze di Urth. I fogli iniziarono a girare dolcemente e le immagini degli uomini e delle donne e dei mostri attrassero la mia attenzione, fra un discorso e l’altro, e in tal modo si impressero nella mia mente, dove sono tuttora. I miei occhi captarono anche qualche frase… e persino brevi brani, che luccicavano e sbiadivano a mano a mano che la luce li colpiva e li abbandonava: «guerriero privo di anima!», «giallo lucido», «per noyade». E più avanti: «Questi tempi sono antichi quanto il mondo.» «L’Inferno non ha limiti e non è circoscritto; dove noi viviamo è l’Inferno e dove è l’Inferno, là noi dobbiamo essere.»

— Non lo vuoi leggere, adesso? — domandò Dorcas.

— No, prima voglio sapere che cosa è successo a Jolenta.

— Non lo so. Stavo dormendo e sognavo… il solito sogno. Sono entrata in un negozio di giocattoli. Le pareti erano coperte da scaffali colmi di bambole e nel mezzo del pavimento c’era un pozzo, con altre bambole. Rammento di aver pensato che la mia creatura fosse troppo piccola per quelle bambole; ma erano talmente belle, e io non ne avevo più possedute da quando ero piccolina, così ho deciso di comperarne una e di tenerla per la mia creatura, e nel frattempo io avrei potuto tirarla fuori ogni tanto, guardarla e magari appoggiarla davanti allo specchio della mia camera. Ho scelto la più bella, una di quelle posate sulla vera del pozzo, ma quando il negoziante l’ha presa per darmela, ho visto che si trattava di Jolenta, e in quell’istante la bambola gli è caduta dalle mani. L’ho vista cadere a grande profondità verso l’acqua nera e mi sono svegliata. Logicamente, mi sono voltata per sincerarmi che stesse bene…

— E l’hai trovata in un lago di sangue.

Dorcas assentì e i suoi capelli d’oro chiaro luccicarono nel sole. Allora ti ho chiamato, due volte… e poi ti ho visto laggiù, vicino alla barena, e quell’essere è uscito dall’acqua per prenderti.

— Non c’è motivo perché tu impallidisca tanto — la rassicurai. — Jolenta è stata morsa da un animale, è chiaro. Non so di quale tipo si trattasse, ma a giudicare dal morso doveva essere piuttosto piccolo, e non più temibile di tutti gli altri animaletti dai denti appuntiti e dal temperamento iroso.

— Severian, rammento di aver sentito che più a nord vivono i pipistrelli-sanguisuga. Quando ero bambina, qualcuno me ne parlava per intimorirmi. E poi, quando ero più grandicella, penetrò in casa un banale pipistrello. Qualcuno lo uccise e io domandai a mio padre se si trattasse di un pipistrello-sanguisuga, e se esistesse veramente un animale del genere. Lui mi rispose che quelle bestie vivevano davvero, ma molto più a nord, nelle fumanti foreste del centro del mondo. Morsicavano le persone addormentate e gli animali che pascolavano, durante la notte, e avevano la lingua avvelenata, in modo che le ferite provocate dai loro denti continuassero a sanguinare.

Dorcas si fermò, guardando in mezzo alle piante. — Mio padre mi disse che la città si era estesa in continuazione verso nord, lungo il fiume, a partire da quel piccolo villaggio autoctono sorto là dove il Gyoll si getta nel mare che le aveva dato origine. Secondo lui sarebbe stato terribile quando avesse raggiunto la regione dove i pipistrelli-sanguisuga volano e si appoggiano sugli edifici abbandonati. Deve essere già tremendo per gli abitanti della Casa Assoluta. Non possiamo essere troppo lontani.

— L’Autarca ha tutta la mia comprensione — dissi. — Ma non penso di averti mai sentita parlare tanto dettagliatamente del tuo passato. Rammenti tuo padre, adesso? E la casa in cui venne ucciso quel pipistrello?

Lei si levò in piedi e nonostante si sforzasse di apparire coraggiosa, mi accorsi che stava tremando. — I ricordi sono sempre più chiari ogni mattina, dopo i sogni. Ma ora, Severian, dobbiamo andare via. Jolenta è molto debole, necessita di cibo e acqua pura da bere. Non possiamo fermarci qui.

Anch’io avvertii una fame terribile. Rimisi il libro nella borsa e rinfoderai la spada appena oliata. Dorcas rifece il suo fagottino.

Ci incamminammo, guadando il fiume molto più a monte della barena di sabbia. Jolenta non era in grado di camminare da sola, così la dovevamo sorreggere entrambi. Il suo viso era stanco e, nonostante avesse da poco ripreso i sensi, parlava raramente.

Quando lo faceva, profferiva solo una o due parole. In quel momento notai che le sue labbra erano molto sottili e quello inferiore aveva addirittura perduto la compattezza, pendendo lontano dai denti e rivelando le gengive livide. Mi sembrava che tutto il suo corpo, il giorno precedente tanto generoso, si fosse rilasciato come cera. Invece di far sembrare Dorcas una bambina, appariva come un fiore appassito, la fine dell’estate di fronte alla primavera di Dorcas.

Mentre avanzavamo cosi, lungo un angusto sentiero impolverato, in mezzo alle canne da zucchero già più alte di me, mi sorpresi a pensare che l’avevo veramente desiderata molto, nel breve tempo che avevo passato con lei. La memoria, tanto precisa e vivida da vincere ogni oppiaceo, mi faceva rivedere la donna che io credevo di aver visto per la prima volta quando insieme a Dorcas avevo aggirato il boschetto e avevo scoperto il palcoscenico del dottor Talos. Come mi era sembrato strano vederla perfetta il giorno dopo, quando ci eravamo avviati verso nord nel mattino più luminoso che io ricordi.

Si dice che amore e desiderio non siano altro che cugini, e io avevo verificato tale affermazione fino a quando non mi ritrovai a camminare con il braccio inerte di Jolenta intorno al collo. Ma la realtà è un’altra. O meglio, l’amore per le donne era l’aspetto oscuro di un ideale femminile che avevo coltivato sognando Valeria, Thecla e Agia, Dorcas e Jolenta e l’amante di Vodalus, con il suo volto ovale e la sua voce carezzevole, quella che ormai sapevo essere la sorellastra di Thecla, Thea. Ma mentre camminavo in mezzo alle muraglie di canne, dopo che il desiderio se ne era andato e io riuscivo a guardare Jolenta solo con pietà, capii che, nonostante avessi creduto di desiderare solo la sua carne rosea e la goffa grazia dei suoi movimenti, l’amavo.

XXIX

I MANDRIANI

Per gran parte della mattina avanzammo in mezzo alle canne senza incontrare nessuno. Jolenta non si riprese e non peggiorò, per quanto riuscivo a vedere; però avevo la sensazione che la fame e lo sforzo di sorreggerla, insieme alla crudele luce del sole, si facessero sentire, perché per due o tre volte, voltandomi verso di lei, ebbi l’impressione di non vedere affatto Jolenta ma un’altra donna, che ricordavo ma che non riuscivo a identificare. Quando voltavo il capo per guardare meglio, questa debole impressione spariva del tutto.

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