— Non posso dirle questo — replicò Human.
— Perché no?
— Lascia fare a me — disse Ouanda. — Human, vuoi dire che non puoi parlarle così perché hai paura, oppure perché non ci sono le parole?
— Nessuna parola. Né quelle di comando da un fratello a una moglie, né quelle di supplica da una moglie a un fratello. Sono parole che non vanno in queste direzioni.
Ouanda sorrise a Ender. — Non ostacoli di costume, Araldo. Ostacoli di linguaggio.
— Human, loro non capiscono la tua lingua? — chiese Ender.
— La Lingua dei Maschi non può essere parlata nel posto della nascita — disse il maiale.
— Dille che le mie parole non possono essere dette nella Lingua delle Mogli, ma soltanto in quella dei maschi. E dille che io… uh, supplico che tu abbia il permesso di tradurre ciò che dirò nella Lingua dei Maschi.
— Tu rischi un grosso guaio, Araldo — disse Human. Si volse e parlò ancora a Urlatrice.
D’improvviso la radura fu piena di versi acuti nella Lingua delle Mogli, una dozzina di voci diverse che salivano nell’aria come le prove di un coro caotico e disarmonico.
— Araldo — disse Ouanda, — lei ha violato più o meno tutte le regole dell’antropologia pratica.
— Non ne ho rispettata neppure una?
— La sola che mi viene in mente è che lei non ha ancora sparato a nessuno di loro.
— Quello che stai dimenticando — disse Ender, — è che io non sono uno scienziato venuto a studiarli, ma un ambasciatore che deve trattare con loro.
Di colpo come avevano cominciato, le mogli si azzittirono. Urlatrice uscì dalla casa e avanzò nella radura, fermandosi accanto al grande albero centrale. Cantò qualcosa.
Human le rispose, stavolta nella lingua dei fratelli, e Ouanda ne fece una sintetica traduzione: — Le sta riferendo la tua proposta, sul fatto di essere uguali.
Le mogli eruppero di nuovo in una cacofonia di note.
— Cosa credi che risponderanno? — domandò Ela.
— Come posso saperlo? — disse Ouanda. — È la prima volta che vengo qui, esattamente come voi.
— Penso che capiranno, e che mi accetteranno a queste condizioni — disse Ender.
— E cosa glielo fa credere? — chiese Ouanda.
— Perché io vengo dal cielo. E perché sono l’Araldo dei Defunti.
— Non cominci a recitare la parte del Grande Dio Bianco — commentò Ouanda. — Di solito non funziona troppo bene.
— Io non sono Pizarro — disse Ender.
Nel suo orecchio destro Jane mormorò: — Sto cominciando a vedere più chiaro nella Lingua delle Mogli. Gli elementi basilari di quella dei maschi erano nelle note di Pipo e di Libo. La traduzione di Human mi è stata d’aiuto. La Lingua delle Mogli è strettamente collegata a quella dei maschi, salvo che sembra molto più arcaica. Stesse radici, stessi fonemi. Tutte le forme femmina-a-maschio sono imperative, e tutte quelle maschio-a-femmina sono al vocativo. La parola femminile per «i fratelli» sembra correlata alla parola maschile per «macio», i vermi degli alberi. Se è il linguaggio dell’amore, c’è da chiedersi come facciamo a riprodursi.
Ender sorrise. Era piacevole sentire di nuovo Jane che gli parlava, ed era bello sapere che avrebbe avuto il suo aiuto.
S’accorse che Mandachuva doveva aver chiesto qualcosa, perché Ouanda s’era chinata a rispondergli sottovoce: — Sta ascoltando il gioiello che ha all’orecchio.
— È la Regina dell’Alveare? — domandò Mandachuva.
— No — disse Ouanda. — È un… — Si sforzò di trovare la parola. — È un computer. Una macchina con la voce.
— Posso averne uno? — chiese Mandachuva.
— Un giorno o l’altro — disse Ender, salvando così Ouanda dal problema di studiare una risposta diplomatica.
Le mogli tacquero, e la voce di Urlatrice cantò un paio di frasi nel silenzio. Subito i maschi mostrarono una certa agitazione, mettendosi a saltellare su e giù nervosamente.
Jane sussurrò a Ender: — Sta parlando anche lei nella Lingua dei Maschi.
— Davvero un grande giorno — disse Freccia. — Le mogli che parlano la Lingua dei Maschi in questo posto. Mai successo prima.
— Lei ti invita a entrare — tradusse Human. — Ti parla come a un fratello… no, voi direste come una sorella a un fratello.
Immediatamente Ender si avviò nella radura, verso la femmina. Pur essendo più alta dei maschi era cinquanta centimetri buoni più bassa di lui, cosicché preferì poggiare un ginocchio al suolo. La osservò, faccia a faccia.
— Ti sono molto grato per la tua gentilezza — disse Ender.
— Io non posso dire questo nella Lingua delle Mogli — si lamentò subito Human.
— Diglielo nella tua lingua, per favore.
Il maiale eseguì. Urlatrice alzò una mano e toccò la fronte liscia di Ender, poi la mandibola che cominciava a irruvidirsi di barba non rasata. Gli sfiorò ciglia e sopracciglia, e lui chiuse gli occhi ma non allontanò il dito che gli passava delicatamente su una palpebra.
Urlatrice disse qualcosa, e Human tradusse: — Tu sei il santo Araldo? — Ma Jane corresse quella versione: — Lui ha aggiunto la parola «santo».
Ender si volse a guardare Human. — Io non sono santo — disse.
Il maiale s’irrigidì.
— Diglielo.
Human si mostrò agitato per qualche istante, poi evidentemente decise che il meno pericoloso dei due era Ender. — Lei non ha detto «santo».
— Ripetimi quel che ha detto, con la maggior esattezza possibile — lo esortò Ender.
— Se tu non sei un santo — obiettò Human, — come fai a sapere che lei non ha detto quella parola?
— Per favore — disse Ender, — sii sincero nel tradurre, e preciso.
— Con te posso essere sincero — protestò Human. — Ma quando parlo a lei è la mia voce che lei sente dire le tue parole. Io devo dire… con prudenza.
— Sii preciso — ripeté Ender. — Non aver paura. È importante che lei sappia esattamente quel che dico. Dille questo. Dille che la prego di perdonarti se tu parli con poca educazione, ma io sono un rozzo framling e tu devi tradurre alla lettera le mie parole.
Human roteò gli occhi nelle orbite, ma si volse a Urlatrice e le spiegò il concetto.
Lei rispose brevemente, e il maschio tradusse: — Dice che non ha la testa scavata dalle radici di nerdona. Naturalmente questo l’aveva capito.
— Dille che noi umani non avevamo mai visto prima un albero così grosso. Chiedile di spiegarci cosa fanno lei e le altre mogli con questo albero.
Ouanda era sbigottita. — Di lei si potrà dire tutto, ma non che mena il can per l’aia quando ha qualcosa da chiedere.
Ma quando Human ebbe tradotto la domanda di Ender, Urlatrice si accostò immediatamente all’albero, vi poggiò le mani e cominciò a cantare.
Avvicinatisi anch’essi al tronco, i tre esseri umani poterono vedere la massa di creaturine che strisciavano sulla corteccia. Molte di loro non superavano i quattro o cinque centimetri di lunghezza. Avevano un vago aspetto fetale, benché sui corpi rosati si scorgesse un velo di peluria scura. I loro occhi erano aperti. Si arrampicavano l’una sull’altra, sforzandosi di conquistare un posto su una delle particelle di sostanza pastosa disseccata che chiazzavano il tronco.
— Pasta d’amaranto — constatò Ouanda.
— Bambini — fu il sussurro di Ela.
— Non bambini — disse Human. — Questi sono quasi abbastanza cresciuti da saper camminare.
Ender avvicinò una mano alla corteccia. Urlatrice interruppe all’istante la sua canzone, ma lui la ignorò e appoggiò le dita sul legno a pochi millimetri di distanza da un giovane maiale.
La piccola creatura continuò ad arrampicarsi, gli salì sul dito e vi si aggrappò saldamente. — Conoscete il nome di questo? — chiese Ender.
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