Fritz Leiber - Novilunio

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Perduta in uno spazio brulicante di stelle, sola in una nera giungla di vuoto cosmico, la Terra ha sognato per migliaia d'anni la propria solitudine. Come in una grande casa abitata da vecchi abitudinari, nella quale nessuno viene mai a rendere visita, così gli abitanti della Terra pensano che nessuno possa venirli a trovare da quel nero abisso scintillante di punti luminosi che splende sopra le nostre teste, di notte.
Come la Luna è stata una fedele compagna della Terra nella sua solitudine celeste, così le stelle sono state soltanto immagini remote, indistinte, piccole fiamme sospese nel cielo, inaccessibili e straniere e incorporee. Ma un giorno qualche viaggiatore, lasciando la strada lontana, potrebbe venire a bussare alla porta della vecchia casa; un giorno qualcosa potrebbe avvicinarsi, strisciando, nella giungla nera degli spazi cosmici. Quel giorno potrebbe essere vicino, in un cosmo dove le forze del tempo e del caso si muovono secondo schemi che la mente umana non riesce neppure a intuire. E cosa accadrebbe, se uno dei punti luminosi nel cielo… una delle stelle lontane… apparisse d'un tratto enorme, come un globo sanguigno e minaccioso, nei cieli notturni della Terra? Se la fedele compagna delnostro pianeta, la Luna, fosse risucchiata e cancellata dal cielo? Inizierebbe allora una lunga, infinita notte di novilunio. Un grande cielo color ardesia, dove le stelle brillano rade e fievoli, sopra coste battute da gigantesche maree, tra grandi cataclismi ed eventi ancor più bizzarri, una notte di novilunio che opera strani prodigi sulla mente e sul cuore degli uomini, facendo emergere tutto ciò che di migliore, e di peggiore, di nobile, e di volgare, costituisce l'essenza della natura umana. In questa notte di novilunio, forse il genere umano comincerebbe a conoscere se stesso…
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1965.

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«E noi che pensavamo di tirarne fuori una commedia,» disse Sally, sommessamente.

«Già,» le fece eco Jake. «Pensavamo proprio questo… di farne uno spettacolo senza precedenti, un supercolosso. Ma stavamo ancora pensando al coperto.»

Sally si guardò intorno, guardò le acque nere e increspate che coprivano Manhattan, e le rare torri basse, solitarie che spuntavano qua e là.

«Ma pensa!… ce ne sono alcune ancora illuminate,» commentò.

«Motori a gas nell'attico,» spiegò Jake. «O forse batterie.»

«Qual è quello di fronte, là?» domandò Sally. «L'Irving Trust, o il Singer Building?»

«E quale differenza fa?»

«Ma io voglio ricordare esattamente… o comunque, saperlo esattamente, se non potrò ricordare.»

«Lascia perdere, Sal. Dimentica queste cose. Ho portato una bottiglia di Napoleon, guarda. Che ne diresti di bere qualcosa?

«Sei molto caro,» gli disse, sfiorandogli la mano fredda con la sua, ancora più fredda. E poi cominciò a cantare, sommessamente, come se avesse temuto di disturbare le piccole onde sempre più alte:

«Oh, io sono la Ragazza della Zattera di Noè,

E tu sei il mio Re in Esilio, qui con me.

Il nostro amore non è grande come scintilla,

O un palpito di stella in una sera tranquilla…

Ma sei rimasto con me, e mi hai trovato da bere,

È molto grande questo nostro amore.»

Richard Hillary e Vera Carlisle erano sdraiati, a poca distanza l'uno dall'altra, su del fieno ancora verde, preso da un piccolo covone che avevano trovato in alto, sulle Malvern Hills. Richard pensò, irrequieto: Ieri notte paglia, questa notte fieno. Paglia, sterile e secca, per la morte. Fieno, acerbo e dolce, per la vita.

Il Vagabondo li guatava torvo da occidente, mostrando di nuovo la gonfia X. Il pianeta stava diventando spaventosamente familiare, come la faccia di un orologio. Tre quarti d'ora prima, Vera aveva detto: «Guarda, è già mezza D passata.»

Non era freddo. C'era una brezza quasi tiepida che spirava da sud-ovest… spettrale, innaturale, sconvolgente.

Sarebbe stato facile pensare che, osservando la gonfia massa della Severn riempire le sue valli e traboccare, come una bianca muraglia tonante scatenata dall'apertura di un ottavo sigillo nel Libro dell'Apocalisse, i sensi non avrebbero potuto resistere, sarebbero stati soffocati e confusi e soggiogati. Ma, come Richard stava scoprendo, i sensi non funzionavano a questo modo. Sperimentare l'inimmaginabile li rendeva soltanto più vivi, più acuti, più aspri.

O forse erano entrambi troppo stanchi, troppo intorpiditi dai veleni della fatica, troppo assonnati.

Vera gli aveva raccontato, prima, la sua storia. Era una dattilografa di Londra, che era stata salvata dal tetto di un palazzo a uffici durante la seconda alta marea, ed era arrivata nella valle della Severn a bordo di una piccola barca a motore, che aveva navigato nell'alta marea mentre Richard aveva camminato tra il fango della bassa marea, solo per naufragare vicino a Deerhust; solo Vera, tra coloro che erano stati a bordo, era sopravvissuta, almeno per quello che ne sapeva.

Poco prima Richard le aveva chiesto di narrargli la sua storia con maggiori particolari, ma lei aveva protestato, dicendo che era troppo stanca. Aveva ascoltato le interminabili scariche di statica nella sua radiolina a transistor per qualche tempo, e Richard aveva detto, «Getta via quell'ordigno.» Lei non lo aveva gettato via, ma lo aveva spento. Ora stava dicendo, sottovoce, «Oh, non riuscirò mai a dormire, mai. Ho la testa che scoppia, e pensa, e pensa…»

Richard si voltò, girò su se stesso, e le posò leggermente il braccio sulla vita, con il volto sopra quello di lei, poi esitò.

«Continua,» disse lei, guardandolo con un sorriso un po' amaro. «O hai delle pillole di sonnifero?»

Richard ci pensò per un momento, poi disse, piuttosto formalmente:

«Anche se le avessi, preferirei sempre, enormemente, te.»

Lei rise.

«Sei così rigido,» gli disse.

Richard l'attirò a sé, e la baciò. Il corpo della ragazza era teso, e non cedeva.

«Vera,» le disse. Poi, stringendola con decisione, «Come vezzeggiativo, ti chiamerò Veronal.»

Lei fece un'altra risatina, rise più di lui che della sua battuta, gli parve, ma il suo corpo si rilassò. Improvvisamente, le sue dita strinsero le spalle di Richard.

«Avanti, provami,» mormorò con voce calda nell'orecchio dell'uomo. «Io sono una medicina forte, fortissima, per dormire.»

Barbara Katz, all'inizio, era stata delusa dell'esiguità dell'unica cabina dell' Albatros , soffitto basso, pareti vicinissime; ma adesso era lieta di quelle dimensioni, perché significava che c'era sempre una superficie a portata di mano per puntellarsi, ogni volta che la barca rollava o beccheggiava più di quanto lei si aspettasse. E il fatto che il tetto lievemente arcuato fosse così basso le dava misteriosamente un senso di sicurezza, ogni volta che un'ondata si abbatteva fragorosamente su di esso.

La cabina era immersa nel buio, se non nei momenti in cui il livido bagliore di un lampo la rischiarava, apparendo nei quattro piccoli oblò, o quando Barbara accendeva la torcia elettrica.

Il vecchio KKK giaceva, legato con una coperta a una delle cuccette, mentre Hester era seduta precariamente accanto al capo del vecchio, cullando tra le braccia lo sconosciuto bambino. Helen era distesa sull'altra cuccetta, si lamentava e vomitava, in preda al mal di mare, mentre Barbara stava ai piedi di quella cuccetta, seduta precariamente come Hester. Di quando in quando, Barbara si abbassava a toccare il fondo, cercandovi l'acqua. Fino a quel momento, nulla di allarmante.

L' Albatros era quasi affondato, prima che la marea riuscisse a sollevarlo dalla stretta gelosa delle rizoforee. Poi c'era mancato poco che esso non venisse capovolto da un albero più alto. Dopo questi incidenti, era stato tutto divertente, fino a quando le onde di tempesta non si erano fatte così alte e minacciose da costringere tutti, a eccezione di Benjy, a rifugiarsi sottocoperta.

Dopo un lungo silenzio… cioè, un lungo periodo nel quale non si era udito nulla, all'infuori del pianto del bambino, del cigolio dei legni, delle onde e del vento che batteva la barca… Barbara domandò:

«Come sta il signor K, Hester?»

«È morto poco fa, signorina Barbara,» rispose l'altra. «Adesso zitto, bambino, hai già avuto il tuo latte in scatola.»

Barbara digerì l'informazione. Dopo qualche tempo, disse:

«Hester, forse dovremmo avvolgerlo in un telo, o qualcosa del genere, e metterlo di là… c'è spazio a sufficienza… in modo che tu possa distenderti su quella cuccetta.»

«No, signorina Barbara,» replicò con sicurezza Hester. «Non vogliamo che il suo fianco si rompa di nuovo, o qualcosa del genere. Adesso è in ottima forma, solo che è morto, e se rimarrà sdraiato non gli succederà nulla. Allora avremo la prova di avere fatto per lui tutto quello che abbiamo potuto.»

Helen si rizzò a sedere di scatto, gridando:

«Oh, Signore, c'è un morto nella cabina! Voglio uscire!»

«Sdraiati, pazza di una negra!» ordinò Hester. «Signorina Barbara, la tenga ferma!»

Non ve ne fu bisogno. Un nuovo attacco di mal di mare costrinse Helen a sdraiarsi.

Poco dopo i sussulti dell' Albatros si fecero meno violenti. Le solide masse d'acqua non si abbattevano più sulla cabina.

«Vado su, a portare un po' di caffè a Benjy,» disse Barbara.

«No, lei non può andare, signorina Barbara.»

«Sì, invece,» rispose Barbara a Hester.

Quando ebbe socchiuso cautamente il piccolo portello, sul fondo della cabina, e si fu affacciata fuori, la prima cosa che vide fu Benjy, acquattato a gambe aperte dietro il piccolo timone. Le nubi si erano aperte, in alto, e attraverso l'esigua breccia il Vagabondo mostrava la sua faccia di toro.

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