Roger Zelazny - Io, Nomikos, l'immortale

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Io, Nomikos, l'immortale: краткое содержание, описание и аннотация

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Anche pubblicato como “Io, l’immortale”.
“Io, Nomikos, l’immortale” è la secca risposta che Conrad Nomikos dà a chiunque voglia indagare sull’enigma del suo passato oscuro e misterioso. Tuttavia l’unica cosa che si sa con certezza sul suo conto è forse proprio questa: che il suo vero nome non è Conrad. Chi egli sia in realtà è una domanda cui è impossibile rispondere. Secondo alcuni egli ha avuto un tempo un nome diverso, quello del liberatore della Terra, l’uomo che ha combattuto contro l’impero stellare di Vega conquistando l’indipendenza del nostro mondo; secondo altri egli è invece Karaghiosis l’assassino; l’ipotesi più ardita è che si tratti di un essere vecchio quanto la storia della Terra, forse addirittura del mitico e temibile dio Pan! Per il momento Conrad deve fare da guida a un inviato del pianeta Vega, Cort Myshtigo, e condurlo a visitare le bellezze della Grecia antica e dell’antico Egitto rimaste ancora intatte dopo la breve guerra atomica che ha popolato di crateri radioattivi e di mostri mutanti il nostro pianeta.
Ma i fini dell’ambasciatore vegano in realtà sono ben diversi da quelli dichiarati: da questa visita dipende il futuro stesso dei Terrestri e la posizione che la Terra avrà tra i pianeti della Galassia, e il ruolo di Conrad Nomikos sarà molto più importante di quello di semplice accompagnatore.
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1966.

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— Tutti questi uomini si sono offerti volontari per il lavoro, con un salario simbolico; e l’Equità degli Attori non ci permetterebbe di usare le fruste, anche se gli uomini fossero d’accordo. Ci è permesso solo farle schioccare nell’aria vicino alle loro schiene.

— L’Equità degli Attori?

— Il loro sindacato. Vuol vedere un po’ di macchinari? — Gesticolai. — Guardi su quella collina.

Guardò.

— Cosa succede lassù?

— Stiamo registrando tutto su videonastro.

— A che scopo?

— Quando avremo finito metteremo in circolazione il film a velocità normale, ma proiettandolo dalla fine all’inizio. Lo chiameremo «La Costruzione della Grande Piramide». Dovrebbe servire a fare qualche risata, e un po’ di soldi. I vostri storici si sono messi a discutere su come avessimo fatto a costruirle dal primo giorno che ne hanno sentito parlare. Questo dovrebbe renderli un po’ più felici. Personalmente ho deciso che un’operazione F.B.I.M. sarebbe stata la soluzione migliore.

— F.B.I.M.?

— Forza Bruta e Ignoranza di Massa. Dia un’occhiata a come si danno da fare, per piacere. Seguono gli spostamenti delle telecamere, mostrando il viso e alzandosi appena s’accorgono d’essere inquadrati. A prodotto finito li mostreremo tutti quanti stramazzati al suolo. D’altra parte è il primo film terrestre dopo anni e anni. Sono proprio eccitati.

Dos Santos scrutò i denti serrati di Parrucca Rossa, e i muscoli tirati sotto i suoi occhi. Gettò un’occhiata alla piramide.

— Sei pazzo! — stabilì.

— No — replicai. — A modo suo, anche l’assenza d’un monumento può essere un monumento.

— Un monumento a Conrad Nomikos — affermò.

— No — disse allora Parrucca Rossa. — È indubbio che esiste un’arte distruttiva, come esiste un’arte costruttiva. Penso che stia tentando una cosa del genere. Recita la parte del Caligola. Forse posso addirittura capire perché.

— Grazie.

— Niente prego. Ho detto «forse». Un artista lo fa con amore.

— L’amore è una forma negativa d’odio.

— Sto morendo, Egitto, morendo — disse Ellen.

Myshtigo rise.

— Lei è più duro di quanto pensassi, Nomikos — osservò. — Ma non indispensabile.

— Provi a far licenziare un impiegato statale. Specialmente me.

— Potrebbe essere più facile di quanto lei pensi.

— Vedremo.

— Può essere.

Ci girammo verso il restante 90 per cento della grande piramide di Cheofe-Khufu. Myshtigo ricominciò a prendere note.

— Ho preferito che la vedeste da qui, per adesso — dissi. — La nostra presenza distruggerebbe la credibilità del film e farebbe sprecare metri e metri di pellicola. Siamo degli anacronismi. Potremo scendere durante la pausa per il caffè.

— Sono d’accordo — assentì Myshtigo, — e sono sicuro di saper riconoscere un anacronismo, quando ne vedo uno. Ma qui ho già visto tutto quello che m’interessa. Torniamo alla locanda. Voglio parlare con gli indigeni.

Dopo un momento disse, pensoso: — Allora vedrò Sakkara prima del previsto. Non ha ancora cominciato a smantellare tutti i monumenti di Luxor, Karnak e della Valle dei Re, spero.

— Non ancora, no.

— Bene. Allora li visiteremo in anticipo.

— Muoviamoci di qui — disse Ellen. — Il caldo è bestiale.

Così ritornammo.

— Credi davvero a tutto quello che dici? — mi chiese Diane mentre ripercorrevamo il cammino.

— A modo mio.

— Com’è che pensi a cose del genere?

— In greco, ovviamente. Poi le traduco in inglese. Sono un mago, per le traduzioni.

— Chi sei?

— Ozimandia. Considera le mie opere e dispera, o grande.

— Non sono grande.

— Mi chiedo… — dissi, e la lasciai con una buffa espressione sulla parte del suo viso che potevo vedere, mentre camminavamo.

— Mi lasci parlare del boadrillo — dissi.

La nostra feluca si muoveva lentamente sull’abbagliante sentiero d’acqua che si snoda di fronte ai grandi colonnati grigi di Luxor. Myshtigo mi dava la schiena. Fissava le colonne, dettando a tratti le sue impressioni.

— Quando prenderemo terra? — mi chiese.

— Tra circa un miglio, in linea retta. Forse è meglio che le dica qualcosa del boadrillo.

— So cos’è un boadrillo. Le ho spiegato che ho studiato il vostro mondo.

— Uh-huh. Una cosa è leggerne…

— Ho anche visto dei boadrilli. Ce ne sono quattro nel Giardino Terrestre di Taler.

— … e un’altra cosa è vederli dal vivo.

— Tra lei e Hasan siamo un vero arsenale ambulante. Vedo tre granate nella sua cintura, e quattro in quella di Hasan.

— Le granate non si possono usare quando quelle bestie sono troppo vicine; si rischia di finire spappolati. E se sono distanti, non si riesce a colpirli. Si muovono troppo in fretta.

Finalmente si girò.

Cosa usa , allora?

Frugai nel mio mantello (m’ero vestito da indigeno) ed estrassi l’arma che cerco sempre d’aver sottomano quando vengo da queste parti.

Lui l’esaminò.

— Che roba è?

— Un mitra. Spara proiettili al meta-cianuro, con un impatto di una tonnellata a carica. Non è molto preciso nel tiro, ma non è necessario. È costruito sul modello d’una pistola-mitragliatrice del ventesimo secolo, la Schmeisser.

— Piuttosto ingombrante. Può fermare un boadrillo?

— Con un po’ di fortuna. Ne ho un altro paio in una delle casse. Ne vuole uno?

— No, grazie. — Fece una pausa. — Ma può dirmi ancora qualcosa dei boadrilli. Quel giorno gli ho dato solo un’occhiata, ed erano ben nascosti sott’acqua.

— Be’… La testa è un po’ come quella dei coccodrilli, solo più grossa. Lunghi una dozzina di metri. Capaci di trasformarsi in una specie di palla con tanti denti. Veloci sulla terra e in acqua, e un gran numero di zampe da tutte le parti.

— Quante zampe? — m’interruppe.

— Mh. — Mi fermai. — A dirle l’assoluta verità, non le ho mai contate. Solo un secondo. Ehi, George — gridai. L’eminente primo biologo della Terra si faceva un sonnellino nell’ombra dell’imbarcazione. — Quante zampe ha un boadrillo?

— Huh? — La sua testa si girò.

— Ho detto «Quante zampe ha un boadrillo?».

Si alzò in piedi, si stiracchiò un po’ e ci venne vicino.

— Boadrilli — mormorò, ficcandosi un dito nell’orecchio e frugando nei cataloghi del suo cervello. — Appartengono indubbiamente alla classe dei rettili; di questo almeno siamo certi. Se siano dell’ordine dei coccodrilli, di un loro sottordine, o dell’ordine degli squamata, sottordine lacertilia, famiglia neopoda, come sostiene in maniera semi-seria un mio collega di Taler, di questo non siamo certi. Secondo me ricordano parecchio le foto-riproduzioni del fitosauro mesozoico eseguite da certi artisti prima dei Tre Giorni; con in più, naturalmente, le zampe in soprannumero e la capacità di provocare soffocamento. Sicché io stesso sono in favore dell’ordine coccodrilia.

Si appoggiò al fianco dell’imbarcazione e prese a fissare l’acqua scintillante.

Capii allora che non avrebbe detto più niente, così chiesi ancora: — E quante zampe ne ha uno?

— Eh? Zampe? Non le ho mai contate. Se siamo fortunati potremmo avere una possibilità qui. Ce ne sono un mucchio in giro. Il piccolo che avevo io non è durato molto.

— Cosa gli è successo? — chiese Myshtigo.

— Se l’è mangiato il mio megadornito.

— Megadornito?

— Una specie d’ornitorinco provvisto di denti — spiegai, — alto un tre metri. Provi ad immaginarselo. Per quello che sappiamo, sono stati visti tre o quattro volte. Australiani. Il nostro ce lo siamo procurato per un caso fortunato. Probabilmente non resisteranno, come specie; non come i boadrilli, voglio dire. Sono mammiferi ovipari, e le loro uova sono troppo grosse perché questo mondo affamato permetta la sopravvivenza della specie. Ammesso che sia una vera specie. Forse sono deviazioni isolate.

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