Avevamo spazzato via intere colonie dalla superficie, come a Sheol, oppure (ed era stato il caso più frequente) i nostri soldati si erano infilati giù per le loro tane e non erano più risaliti alla superficie.
Perdite anche maggiori ci erano state inflitte durante le operazioni di rientro a bordo. Intere unità scese a terra si erano viste distruggere la loro nave. Che ne era stato di quegli uomini? Forse erano morti tutti, fino all’ultimo soldato. Oppure, più probabilmente, avevano combattuto fino a esaurire corrente e armi, e poi i sopravvissuti erano stati catturati.
Dai nostri nuovi alleati, i pelleossa, avevamo saputo che molti soldati dispersi erano ancora vivi fra le zampe dei ragni. Questi prigionieri si contavano sicuramente a centinaia, forse a migliaia. I servizi di intelligence erano certi che tutti i prigionieri venissero condotti su Klendathu. I ragni erano curiosi sul nostro conto quanto noi sul loro: una razza di individui capaci di costruire città, astronavi spaziali, eserciti, poteva risultare perfino più misteriosa per un’entità che viveva in alveari, di quanto essa poteva apparire a noi. Detto ciò, rivolevamo quei prigionieri!
Nella dura logica dell’universo una simile esigenza poteva rappresentare una debolezza. Forse qualche specie a cui non importa di salvare un individuo sarebbe in grado di sfruttare questo tratto umano per distruggerci. I pelleossa possedevano solo in parte questa caratteristica, mentre i ragni parevano non averla affatto. Nessuno aveva mai visto un ragno soccorrerne un altro ferito. Cooperavano perfettamente in combattimento ma le unità venivano abbandonate nel momento stesso in cui non risultavano più utili.
Noi ci comportavamo in modo diverso. Quante volte vi è capitato di vedere il titolo “Morte due persone mentre cercavano di salvare un bambino che stava affogando”? Se un uomo si perde in montagna, lo cercano in centinaia e spesso uno o due di coloro che si impegnano nelle ricerche restano uccisi. Ma dopo, quando qualcun altro si perde, compaiono altrettanti volontari.
Scarso senso aritmetico… ma molto umano. Pervade tutta la nostra tradizione, tutte le religioni umane, tutta la letteratura; è radicata nella specie l’idea che se un umano ha bisogno di soccorso, gli altri non devono tenere conto del prezzo che questo comporta.
Debolezza? Potrebbe anche essere l’unico punto di forza per conquistare una galassia.
Debolezza o forza, i ragni non ce l’hanno. Non c’era alcuna possibilità di scambiare combattenti con combattenti.
Ma nella poliarchia dell’alveare, alcune creature hanno un valore particolare, o perlomeno così speravano quelli delle Ricerche psichiche.
Se fossimo riusciti a catturare qualche ragno-cervello, forse avremmo potuto trattare a condizioni vantaggiose.
Pensate se fossimo riusciti a catturare una regina!
Qual era il valore di scambio di una regina? Forse si poteva restituirla in cambio di un reggimento di Fanteria spaziale mobile? Nessuno lo sapeva, ma il piano di battaglia ci ordinava di catturare la “nobiltà”, cioè cervelli e regine, a ogni costo, nella speranza di poterli scambiare con esseri umani.
Il terzo scopo dell’Operazione Nobiltà era quello di perfezionare i metodi operativi: come scendere, come stanare i ragni, come vincere senza utilizzare tutte le armi. Con la Fanteria spaziale mobile, in superficie potevamo avere la meglio; in un combattimento tra navi, la nostra Marina prevaleva. Finora, però, ogni tentativo di infilarci nelle loro tane si era rivelato un insuccesso.
Se non fossimo riusciti a scambiare i prigionieri a qualunque condizione, allora non ci restava che vincere la guerra, fare in modo di avere una piccola probabilità di salvare i nostri uomini oppure, potevamo anche ammetterlo, morire provandoci e uscirne sconfitti. Il pianeta P era un campo di prova per stabilire se potevamo imparare come eliminarli.
Il piano operativo era a disposizione di ogni fante che lo ascoltava innumerevoli volte nel sonno, durante la preparazione ipnotica. Quindi, eravamo tutti consapevoli che se da una parte l’Operazione Nobiltà aveva lo scopo di preparare il terreno per l’eventuale salvataggio dei nostri compagni, dall’altra sul pianeta P non si trovava nessun prigioniero umano, dal momento che non aveva mai subito incursioni da parte nostra. Quindi non c’era ragione di fare gli spavaldi per cercare di guadagnarsi una medaglia nell’assurda speranza di essere personalmente coinvolti in un salvataggio. Si trattava solo di un’altra battuta di caccia al ragno, ma condotta con un impiego massiccio di forze e nuove tecnologie. Dovevamo pelare quel pianeta come una cipolla, fino a raggiungere la certezza che non un solo ragno ci era sfuggito.
La Marina non solo aveva ridotto le isole e la parte di continente non occupata da noi a una distesa di vetro radioattivo per cui potevamo stanare i ragni senza preoccuparci di venire assaliti alle spalle, ma manteneva in orbita attorno al pianeta una discreta quantità di piccoli mezzi di perlustrazione volti a proteggerci, a scortare le unità da trasporto e a tenere d’occhio la superficie per essere certi che il nemico non ci giocasse qualche brutto scherzo, sbucando dal terreno nonostante il bombardamento.
Le guardie nere di Blackie avevano l’ordine di coprire le truppe già sbarcate, qualora fosse stato necessario, dando il cambio a qualche altra compagnia, proteggendo le unità degli altri corpi, mantenendo i contatti con le altre unità e facendo la festa a tutti i ragni che osavano mettere il naso fuori dalle buche.
Così atterrammo comodamente e senza incontrare resistenza. Portai fuori il mio squadrone di corsa. Blackie andò avanti per incontrarsi con il comandante di compagnia al quale doveva dare il cambio, mettersi al corrente della situazione ed esaminare il terreno. Schizzò via come la folgore nella sua tuta potenziata e sparì.
Ordinai a Cunha di mandare gli esploratori della sua prima squadra a individuare gli angoli più lontani dell’area che dovevo pattugliare, e spedii il mio sergente di squadrone a prendere contatti con un’unità del Quinto reggimento che si trovava alla nostra sinistra. Noi del Terzo dovevamo tenere una zona larga quattrocentocinquanta chilometri e profonda centoventi. Il pezzo assegnato a me era un rettangolo di sessanta chilometri per trentacinque. I lupi erano dietro di noi, a destra avevamo lo squadrone del tenente Khoroshen, oltre il quale c’era Rusty Graham.
Il Primo reggimento aveva già dato il cambio a un reggimento della Quinta divisione e si trovava davanti a noi. “Davanti”, “dietro”, “a destra” e “a sinistra” si riferivano ai sistemi di orientamento cieco inseriti in tutte le tute di comando e regolati in modo da corrispondere alla mappa del piano di battaglia. Non avevamo un vero e proprio fronte, ma solo un’area, e al momento l’unica battaglia stava avvenendo a parecchie centinaia di chilometri di distanza, e precisamente molto indietro e sulla destra, secondo i nostri punti d’orientamento convenzionali.
Più o meno da quella parte doveva essere il Secondo squadrone, Compagnia G, Secondo battaglione, Terzo reggimento. Più comunemente noto come “i Rompicollo”.
Oppure, i Rompicollo potevano anche trovarsi a una quarantina di anni-luce di distanza. L’organizzazione tattica non riproduce mai fedelmente lo schema teorico. Dal piano di battaglia mi risultava solo che un certo Secondo battaglione si trovava alla nostra destra oltre i ragazzi del Normandy Beach. Ma poteva trattarsi di un battaglione preso a prestito da un’altra divisione. Il maresciallo dello spazio muove i suoi scacchi senza consultare i singoli pezzi.
In ogni modo, non avrei dovuto preoccuparmi dei Rompicollo: avevo già abbastanza problemi come guardia nera. Al momento il mio squadrone non correva pericoli, relativamente al fatto di trovarsi in territorio nemico, ma avevo molte cose da fare mentre la prima pattuglia di Cunha raggiungeva l’angolo più lontano. Dovevo:
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