«Cittadino Abbot, non sono sorte contraddizioni in una dottrina l’atta con diversi credi religiosi?»
«C’erano. Ma i fondatori di questa nostra chiesa hanno eliminato tutte le materie controverse. Noi vogliamo l’intesa, non il dissenso. Nella nostra religione non ci sono mai stati scismi perché noi accettiamo tutto. Si può credere in ciò che si vuole purché si conservi la fede nello spirito dell’Umanità Incarnata. La nostra fede è l’adorazione dell’Uomo. Lo spirito che noi riconosciamo è quello del divino e sacro Bene.»
«Volete darmi una definizione del Bene, Padre Abbot?»
«Certo. Il Bene è quella forza che abbiamo in noi e che ci ispira ad agire in conformità e nell’osservanza. L’adorazione del Bene è essenzialmente adorazione di se stessi, quindi è la sola e vera fede. L’Io che si adora è l’essere sociale ideale. L’uomo è felice di essere nella sua nicchia nella società, tuttavia è sempre pronto a migliorare il suo status. Il Bene è dolce, dato che è la pura riflessione dell’universo amorevole e pietoso. Il Bene cambia continuamente di aspetto, benché venga a noi in… Ma avete una strana espressione.»
«Scusate, Cittadino Abbot. Credo di aver già sentito questo sermone. Almeno, uno molto simile.»
«Ma è la verità. Ovunque la si ascolti.»
«Certo. Un’ultima domanda. Potete dirmi qualcosa sull’istruzione religiosa dei bambini?»
«Questo è un incarico svolto dai robot-confessori.»
«Sì?»
«Il metodo ci è giunto dall’antico Trascendentale Freudiano. Il robot-confessore istruisce i bambini e gli adulti alla stessa maniera. Ascolta i loro problemi ed è il loro amico costante e il loro istruttore religioso. Essendo robot, i confessori sono in grado di dare una risposta esatta a ogni domanda.»
«Capisco. E cosa fanno i preti umani?»
«Osservano i robot-confessori.»
«Questi robot-confessori sono presenti nelle classi chiuse?»
«Non sono competente per rispondere a questa domanda.»
«Ma esistono?»
«Veramente, non so. Le classi chiuse sono proibite ai preti come agli adulti.»
«Per ordine di chi?»
«Per ordine del capo della Polizia Segreta.»
«Capisco…»
( Cittadino Enyen Dravivian, 43 anni, professione: impiegato statale. Magro, occhi sottili, invecchiato e stanco oltre la sua età. )
«Buona sera, signore. Avete detto di essere un impiegato statale?»
«Esatto.»
«Nell’amministrazione dello stato o in quella federale?»
«In tutte e due.»
«Capisco. Occupate da molto tempo il vostro impiego?»
«Da circa diciotto anni.»
«Capisco. Volete dirmi esattamente in cosa consiste il vostro lavoro?»
«Certo. Sono il capo della Polizia Segreta.»
«Siete… ma certo, signore. Molto interessante. Io volevo…»
«Non cercate di impugnare la pistola, ex Cittadino Barrent. Vi posso assicurare che nella zona attorno a questa casa non funzionerebbe. E se cercaste di usarla ferireste voi stesso.»
«Come?»
«Anch’io ho i miei mezzi di protezione.»
«Come fate a sapere il mio nome?»
«So di voi fin quasi dal momento in cui avete messo piede sulla Terra. Non siamo completamente privi di risorse, dovreste saperlo. Potete entrare per discutere con maggiore comodità. Non volete entrare?»
«Preferirei di no.»
«Mi spiace, ma dovete farlo. Venite, Barrent. Non morsico.»
«Sono in arresto?»
«No. Entrate a far quattro chiacchiere. Accomodatevi.»
Dravivian lo fece accomodare in una grande sala rivestita con pannelli di legno. I mobili erano scuri, pesanti, di stile medioevale.
A una parete era appeso un arazzo rappresentante una scena di caccia.
«Vi piace?» chiese Dravivian. «I mobili sono dei miei genitori. Mia moglie ha copiato l’arazzo da un originale che si trova al Metropolitan Museuni. E i miei due figli hanno curato l’arredamento. Volevano mobili che ricordassero l’antica Spagna. Il mio contributo non è visibile. Mi occupo solo della musica barocca.»
«Oltre al lavoro di polizia» osservò Barrent.
«Sì, oltre a quello.»
Dravivian tornò a voltarsi verso l’arazzo.
«Parleremo di questo fra poco. Prima di tutto mi dovete dire cosa ne pensate di questa stanza.»
«È molto bella» disse Barrent.
«Sì. E poi?…»
«Be’… non sono un buon giudice.»
«Dovete giudicare» disse Dravivian. «In questa stanza potete vedere le civiltà della Terra in miniatura. Ditemi quello che ne pensate.»
«Mi sembra senza vita» disse Barrent.
Dravivian si volse verso Barrent e sorrise.
«Sì, esatto. E questa è la stanza di una persona di condizione elevata. Un gran lavoro creativo si è reso necessario per dar vita a questi archetipi antichi. La mia famiglia ha voluto ricreare un pezzo di Spagna del passato, come altri hanno voluto ricreare angoli della civiltà Maya, di Vecchia America, di civiltà Oceanica. Tuttavia la vacuità di tutto questo è evidente. Le nostre fabbriche producono gli stessi beni di anno in anno. Dato che tutti hanno le stesse cose è necessario, per migliorare, per esprimere la nostra personalità, modificare e abbellire da noi questi prodotti. Ecco cos’è la Terra, Barrent. Tutte le nostre energie e le nostre abilità sono incanalate verso scopi decadenti. Copiamo gli oggetti antichi e intanto le frontiere dei lontani pianeti rimangono inesplorate, non conquistate. Da lungo tempo abbiamo cessato di espanderci. La stabilità ha portato il ristagno in cui saremo costretti a soccombere. Siamo ormai così altamente socializzati che la spinta individuale si è rivolta verso gli scopi più inutili e allontanata da qualsiasi realizzazione davvero significativa. Penso che abbiate visto qualcosa da quando siete giunto sulla Terra.»
«Sì. Però non avrei mai pensato di sentirlo dire dal Capo della Polizia Segreta.»
«Sono un uomo imprevedibile» rispose Dravivian con un sorriso. «E la Polizia Segreta è una istituzione altrettanto imprevedibile.»
«E molto efficiente. Come avete fatto a scoprirmi?»
«Per la verità è stato molto semplice. La maggior parte degli abitanti della Terra è condizionata alla sicurezza fin dalla fanciullezza. Quasi tutte le persone che avete incontrato hanno trovato in voi qualcosa di strano. Eravate fuori posto in maniera troppo evidente, come un lupo in mezzo alle pecore. La gente lo notava e lo veniva a riferire direttamente a me.»
«Molto semplice» disse Barrent. «E adesso?»
«Prima, voglio che mi diciate qualcosa di Omega.»
Barrent raccontò cos’era la vita sul pianeta-penitenziario, e vide Dravivian annuire e sorridere appena.
«Sì, è quello che mi aspettavo» disse. «Le stesse cose erano accadute nell’America del Nord e in Australia. C’è una differenza, naturalmente, voi eravate stato allontanato dalla madre patria in maniera più radicale.»
«Cosa farete ora?» chiese Barrent.
Dravivian si strinse nelle spalle.
«Non ha alcuna importanza. Potrei uccidervi. Ma non penso che questo fermerebbe il vostro Gruppo su Omega. E non appena gli Omegani dovessero muoversi in forza, scoprirebbero la verità.»
«Quale verità?»
«Dovrebbe essere ovvia ormai» disse Dravivian. «La Terra non ha più combattuto guerre da circa ottocento anni. L’organizzazione delle astronavi che girano attorno a Omega non è che una semplice facciata. Gli scafi sono completamente automatizzati, idonei ad affrontare condizioni possibili parecchi secoli fa. Un attacco diretto porterebbe facilmente alla cattura di una delle astronavi, e questo faciliterebbe la cattura di tutte le altre. A questo punto nessuno potrebbe fermare gli Omegani, e una volta sulla Terra non ci sarebbe niente con cui combatterli. Questa è la ragione per cui tutti i prigionieri in partenza vengono privati della memoria. Se essi ricordassero, la vulnerabilità della Terra sarebbe troppo evidente.»
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