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Isaac Asimov: Le correnti dello spazio

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Isaac Asimov Le correnti dello spazio

Le correnti dello spazio: краткое содержание, описание и аннотация

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Verrà un giorno in cui i mondi che circondano il nostro pianeta saranno facilmente raggiungibili e gli uomini si moveranno nell’universo con astronavi? I viaggi interplanetari diventeranno in futuro una cosa all’ordine del giorno? Come sarà organizzato l’universo quando non esisteranno più difficoltà di spostamento? Sarà un bene o un male per l’umanità? Correnti dello spazio, un romanzo ardito, organicamente costruito, verosimile e nello stesso tempo assurdo, risponde a tutte queste domande tratteggiando il fantastico quadro di un mondo futuro, un mondo in cui il progresso della scienza e della tecnica abbia del tutto mutata la struttura e le abitudini della nostra società e completamente rivoluzionato i concetti di spazio e di tempo.

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Rik mormorò: «Non te la posso dire.»

«Eppure a qualcuno dovresti dirla. Potresti dimenticartela di nuovo.»

Lui l’afferrò per un braccio. «Hai ragione. Però non ne parlerai con nessuno, vero, Lona?»

«Te lo prometto, Rik.»

Rik si guardò intorno. Il mondo era bellissimo. Valona gli aveva spiegato una volta che vi era nella Città Alta, miglia e miglia al di sopra di essa, una immensa insegna luminosa che diceva: “Di tutti i Pianeti della Galassia, Florina è il più bello.” E mentre si guardava intorno capiva che non era difficile crederlo.

Disse: «È terribile ricordare, ma, quando ricordo, ricordo sempre con esattezza. Mi è venuto in mente questo pomeriggio.»

«Sì?»

Lui la guardò con orrore: «Tutti nel mondo dovranno morire; tutti gli abitanti di Florina.»

2

Myrlyn Terens stava togliendo dal suo posto sullo scaffale un libro-film quando suonò il segnale della porta d’ingresso. La sua faccia gonfia era assorta in meditazione, ma immediatamente ogni traccia di concentrazione sparì. Il Borgomastro si passò una mano sui capelli radi, rossicci, e gridò: «Un momento.»

Ripose il film e premette il contatto che faceva tornare automaticamente a posto il pannello di copertura rendendolo indistinguibile dal resto della parete. Per gli umili contadini e operai dell’opificio con i quali aveva a che fare era oggetto di vago orgoglio che uno di loro, per nascita almeno, possedesse dei film.

Ma la loro vista avrebbe guastato le cose, avrebbe raggelato le loro lingue già non troppo articolate. Potevano vantarsi dei libri del loro Borgomastro, ma l’effettiva presenza di essi sotto i loro occhi avrebbe fatto troppo assomigliare Terens a un Signore.

Vi erano naturalmente anche i Signori. Era molto improbabile che qualcuno di loro lo venisse a trovare socialmente in casa sua, ma se uno di costoro fosse entrato per una ragione o per l’altra sarebbe stato poco prudente lasciare esposta una serie di film. Egli era un Borgomastro e la consuetudine gli consentiva alcuni privilegi, ma non era opportuno ostentarli.

Infine Terens spalancò la porta. «Entra, Valona. Siedi. Dev’essere certamente passata l’ora del coprifuoco. Spero che i pattugliatori non ti abbiano vista.»

«Non credo, Borgomastro.»

«Be’, speriamo. Purtroppo, come sai, hai dei pessimi precedenti.»

«Sì, Borgomastro, e le sono molto grata per quanto ha fatto per me in passato.»

«Lascia perdere. Su, siedi. Vuoi qualcosa?»

Valona sedette, impettita, sull’orlo di una seggiola e scosse la testa. «No, grazie, Borgomastro» disse. «Ho già mangiato.»

Terens le domandò: «Che cosa c’è, Valona? Si tratta un’altra volta di Rik?»

Valona annuì ma sembrava ammutolita e incapace di fornire ulteriori spiegazioni.

«Ha avuto dei guai all’opificio?» domandò Terens.

«No, Borgomastro.»

Terens attese, mentre i suoi occhi chiari si rimpicciolivano e assumevano un’espressione severa. «Insomma, Valona, parla, altrimenti non potrò aiutarti. Perché vuoi che io ti aiuti, immagino.»

Valona disse: «Sì, Borgomastro» quindi proruppe «ma come posso dirlo, Borgomastro? Mi sembra così assurdo.»

«Qualunque cosa sia, ti ascolto.»

«Ricorda, quando sono venuta a riferire della mia visita al dottore della Città e le ho ripetuto quel che lui mi aveva detto?»

«Sì, ricordo, Valona. E ricordo soprattutto di averti raccomandato di non fare mai più una cosa simile senza prima consultarmi. Questo lo ricordi?»

«Non oserei mai più fare una cosa del genere, Borgomastro. Solo voglio ricordarle che allora mi aveva detto che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi a conservare Rik.»

«Ed è quello che farò. Dunque, i pattugliatori hanno chiesto di lui?»

«No. Oh, Borgomastro! Potrebbero farlo?»

«Sono convinto di no.» Terens cominciava a perdere la pazienza: «Su, andiamo, Valona, raccontami che cosa è successo.»

Gli occhi di lei si velarono. «Borgomastro, Rik dice che mi deve lasciare. Io voglio che glielo impedisca.»

«Perché ti vuole lasciare?»

«Perché, dice, comincia a ricordare molte cose.»

Un vivo interesse si dipinse sul volto di Terens. Si protese in avanti, e si trattenne a stento dal prenderle la mano. «Comincia a ricordare molte cose? Quali cose?»

Terens rammentò il giorno in cui Rik era stato trovato. Aveva veduto alcuni ragazzini stretti intorno a uno dei canali d’irrigazione che scorrevano appena fuori del paese. Essi lo avevano scorto e avevano alzato le loro voci stridule per chiamarlo.

«Borgomastro! Borgomastro!»

Si era messo a correre. «Che cosa c’è, Rasie?» Si era prefisso, appena era giunto al villaggio, d’imparare a memoria i nomi di tutti i ragazzini. Questo era piaciuto alle madri e aveva facilitato il suo compito, durante quei primi mesi.

Rasie era pallido come se stesse per dare di stomaco. Disse: «Guardi laggiù, Borgomastro.»

Rasie, un ragazzino dodicenne, nerissimo di capelli, aveva sentito i lamenti e si era avvicinato cautamente, aspettandosi di avere a che fare con un animale, magari un topo campagnolo che avrebbe fornito loro il pretesto per una allegra caccia, e così aveva scoperto Rik.

Uno dei ragazzi era scoppiato a ridere. «Guardi, Borgomastro! Si succhia le dita.»

L’improvvisa risata aveva disturbato la figura prona la cui faccia si era arrossata contorcendosi. A quella vista Terens si era scosso dallo stupore. Aveva detto: «Va bene, sentite, ragazzi, non dovreste essere qui a correre in un campo di kyrt. Filate via subito, e non dite niente di quello che avete visto. Tu però, Rasie, corri dal signor Jencus e digli di venire qui al più presto.»

Ull Jencus era quel che di più prossimo a un medico poteva offrire il villaggio. Aveva seguito un certo apprendistato negli ambulatori di un dottore vero e in base a questo era stato dispensato dal lavorare nelle fattorie e negli opifici. Sapeva misurare la febbre, somministrare pillole, fare iniezioni e quel che più importava sapeva capire quando una malattia era abbastanza grave per autorizzare il trasporto dell’infermo all’ospedale cittadino.

Jencus aiutò Terens a sollevare l’infelice, a montarlo su una motoretta e a trasportarlo in città nel modo più discreto possibile. Insieme lo lavarono e lo ripulirono del sudiciume che gli si era accumulato addosso. Jencus lo rapò a zero e fece quanto era in suo potere per visitarlo dal punto di vista clinico. Infine concluse: «Per conto mio non è contagiato da nessuna malattia infettiva, Borgomastro. Per nutrito è nutrito. Le costole non gli escono poi tanto in fuori. Proprio non so che diavolo abbia. Come crede che sia capitato qui, Borgomastro?»

Terens rispose: «Francamente non lo so.»

«Non può camminare, non può muovere un passo. Qualcuno deve averlo messo qui. Per quel che ne capisco io potrebbe essere un bambino appena nato. Sembra che non ricordi proprio niente di niente.»

«C’è una malattia che produce questo effetto?»

«No, che io sappia. Però potrebbe essere un’alterazione mentale, ma di queste cose io non m’intendo. Quando si tratta di casi di alterazione mentale io li mando subito alla Città. Lei quest’uomo non lo conosce proprio, Borgomastro?»

Terens sorrise e rispose con dolcezza: «Io sono arrivato da un mese soltanto.»

Jencus sospirò e si tastò in cerca del proprio fazzoletto. «Già. Il vecchio Borgomastro, che brav’uomo! Come si occupava di noi! Io sono qui da quasi sessanta anni, invece, ma questo tipo non l’ho mai visto prima. Dev’essere di un’altra città. Non so proprio che cosa raccontare ai pattugliatori.»

I quali vennero, naturalmente. Era impossibile evitarli. I ragazzi avevano parlato coi loro genitori; i genitori si erano consultati tra loro. La vita della cittadina era sempre così tranquilla. Si trattava di un avvenimento troppo insolito perché restasse segreto e perciò era impossibile che non giungesse all’orecchio dei pattugliatori.

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