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Charles Sheffield: Le guide dell'infinito

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Charles Sheffield Le guide dell'infinito

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Solo una minima parte dell’umanità riuscì a sfuggire alla catastrofe nucleare che nel 21° secolo devastò la Terra, rifugiandosi in primitive colonie orbitali attorno al pianeta. Ma una volta vinta la battaglia per la sopravvivenza, cominciò il grande esodo verso nuovi mondi nelle zone più remote dello spazio. Dopo vari millenni ecco incombere su questi mondi la presenza degli Immortali, esseri che possiedono strani legami con la vecchia Terra, apparentemente in grado di estendere la propria vita all’infinito e di superare distanze di anni luce in pochi giorni. Sul pianeta Pentecoste, alcuni lontanissimi discendenti dell’umanità cercano di scoprire la vera natura degli Immortali, intuendo appena che il contatto con tali creature li porterà ad acquisire conoscenze inimmaginabili, tra cui il segreto dell’S-spazio normale. Ma si tratta solo del principio, perché seguono altre rivelazioni sull’intera storia dell’umanità, dall’origine alla distruzione della Terra e alla secolare diaspora nello spazio, che scatenano nuove inquietudini e rilanciano appassionanti interrogativi. Qual è infatti il segreto dell’enigmatico Punto di Convergenza, una zona lontanissima da ogni stella conosciuta? E fino a dove si estendono i poteri degli Immortali e la loro conoscenza del passato e del futuro dell’umanità? E quali sono, infine, le loro reali intenzioni? Un epico e illuminante viaggio che interroga il destino dell’uomo nella vastità del cosmo, tra grandiose intuizioni ed ipotesi inedite che esaltano le virtù della miglior fantascienza. Внимание! Attention! Attenzione!

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— Potrebbe darsi che stia lavorando.

— Balle, ci vuole qualcuno per conoscere qualcun altro. È in fregola quanto me.

Hans scrollò le spalle. La sua impressione se l’era formata quando aveva visto per la prima volta la sua fotografia. — D’accordo. Allora è in fregola quanto te. Che Dio l’aiuti. Ma se non è plasmata del tutto e sta ancora cambiando, come sarà una volta plasmata?

Il volto di Wolfgang Gibbs assunse un’espressione diversa. Rimase silenzioso per qualche istante.

— Potrebbe essere qualsiasi cosa — rispose infine. — Proprio qualsiasi cosa. Lo ammettono perfino i più presuntuosi che lavorano all’Istituto. In campo tecnico li batte di gran lunga.

— Perfino te, cugino? E da quando? Pensavo che lo specchio delle tue brame dicesse che eri tu il più scaltro del reame.

Wolfgang aveva appoggiato il suo bicchiere di birra sul davanzale della finestra. Aveva un’espressione molto seria. — Perfino il sottoscritto, cugino. Ti ricordi cosa disse uno dei vecchi generali francesi quando uscì dopo il suo primo incontro con Napoleone? «Ho capito subito di aver incontrato il mio maestro». È una centrale elettrica. Quando vuole qualcosa è difficile fermarla.

— Ne ho incontrato più di uno del genere. Ma dove attinge le sue energie? Se raggiungeremo un accordo ho bisogno di capire le sue motivazioni.

Ma a quel punto Wolfgang Gibbs si era limitato a scuotere la testa e aveva preso di nuovo in mano il suo bicchiere di birra. E adesso, pensò Hans, guardando il volto imperscrutabile di Judith, siamo uno a uno, e io stesso mi sento sotto pressione. Un incontro con Salter, dice lei, o niente accordo. Cominciò ad avviarsi lentamente verso l’uscita.

— D’accordo, Judith, ci proverò. Salter Wherry è qui alla Stazione, e devo comunque vederlo a proposito di qualche altra faccenda. Dammi mezz’ora, se non riuscirò a fare qualcosa adesso, non riuscirò a farlo mai più. Aspetta qui, e telefona ai Servizi Centrali se ti dovesse servire qualcosa mentre sono via. Ma non crearti false speranze. La sola cosa che posso dirti è che lui vuole talmente l’Istituto quassù da poterne sentire il sapore, dice che il problema della narcolessia ha la priorità assoluta. Forse questo lo indurrà a infrangere le sue stesse regole.

Judith Niles si ritrovò sola con i propri pensieri. Le parole di Jan de Vries continuavano a ritornarle alla mente. — Salter Wherry è un manipolatore, il migliore del sistema. — E adesso lei sperava di manipolare il sistema che lui stesso aveva creato. Wherry non lo sapeva, ma lei aveva poca scelta. Aveva le proprie urgenze. Gli esperimenti che voleva fare non potevano venir condotti sulla Terra. Se Salter Wherry avesse sospettato questo…

Guardò di nuovo fuori dall’oblò concavo panoramico. La Stazione Salter era la prova possente di quell’energia manipolante. Dal punto in cui sedeva, Elmo era visibile in permanenza. Era il primo degli asteroidi che incrociavano l’orbita della Terra ad essere stato guidato in un’orbita stabile di sei ore intorno alla Terra stessa: ma, come Salter Wherry aveva promesso alle Nazioni Unite, la storia non era finita lì.

Guardando il panorama che si andava sviluppando sopra di lei, Judith Niles fu costretta a meravigliarsi. L’estrazione dei minerali dall’asteroide aveva fornito i metalli di base per creare ed espandere la Stazione Salter. Ma allo stesso tempo, soltanto come prodotti secondari, erano stati estratti abbastanza platino, oro, iridio, cromo e nichel da costituire quasi metà dell’intera disponibilità della Terra. I divieti d’importazione di prodotti della Stazione Salter emanati dalla maggior parte dei Paesi erano stati del tutto inutili. L’invio dei metalli veniva reso pulito operando attraverso spazioporti neutrali nelle Zone di Libero Mercato, e alla fine arrivavano dov’erano necessari, più cari del cinquanta per cento rispetto a quanto sarebbero stati se acquistati direttamente.

Le operazioni di Wherry erano robuste a sufficienza da reggere a una sfida da parte di qualsiasi governo, correva voce che i suoi sistemi difensivi fossero in grado di resistere a un attacco congiunto di tutta la Terra. L’Istituto avrebbe potuto venir trasferito quassù al sicuro da tagli azzoppanti e da cambiamenti di direttive. Ma ne sarebbe valsa la pena? Soltanto se lei e il resto dello staff avessero avuto davvero la libertà di portare avanti il loro lavoro. Era quella la promessa che doveva estorcere a Salter Wherry. E questa doveva essere accompagnata da un contratto legale a prova di bomba. Quando si aveva a che fare con un maestro manipolatore, non ci si poteva permettere di lasciare aperti degli spiragli.

Si abbandonò sullo schienale della poltrona, fissando lo sguardo in alto. Un debole bagliore, che stava passando attraverso il suo campo visivo, attirò la sua attenzione. Si rese conto di essere testimone di uno degli infrequenti passaggi di Eleonora , la sesta e più ambiziosa delle gigantesche arcologie. Si trovava su un’orbita quasi mille chilometri più in alto, e doppiava la stazione soltanto una volta ogni tre giorni. Soprannominata all’inizio la «Follia di Salter» dai media più scettici, la costruzione della prima arcologia aveva avuto inizio quattordici anni prima e si era sviluppata costantemente. Fino a quando la grande stazione spaziale non era stata completata, Salter Wherry era parso soddisfatto che questo appellativo derisorio fungesse da nome ufficiale. Poi l’aveva ribattezzata Amanda , aveva aiutato la sua popolazione di quattromila individui a insediarvisi, e in apparenza aveva perso ogni interesse alla cosa. La sua mente era concentrata sulla costruzione della seconda arcologia, poi della terza…

Incuriosita, Judith formò il numero del computer centrale della Stazione e chiese un’immagine ad alta risoluzione di Eleonora. L’arcologia semicompletata comparve con tutti i suoi colori sullo schermo. Adesso lo scheletro era terminato, un’intelaiatura sferica di travi metalliche, di settecento metri di diametro. I pannelli delle pareti erano stati montati su metà della struttura, cosicché Judith fu in grado di valutare le dimensioni delle stanze e dei corridoi interni che sarebbero esistiti nella nave una volta terminata. Tenendo conto delle aree adibite a dispensa, manutenzione, ricreazione e di quelle che avrebbero ospitato le centrali, l’Arca finale avrebbe ospitato comodamente dodicimila persone, la più grande e popolosa che fosse stata costruita finora. E c’erano più servizi e spazio abitabile per persona di quanti una famiglia media avrebbe potuto avere sulla Terra. La costruzione di altre due arcologie era cominciata in orbite più alte, ancora più grandi, si diceva, di questa.

Judith guardò fuori dell’oblò, immaginandosi il proprio ufficio laggiù nell’Istituto, sulla Terra. Il trasferimento del gruppo lassù (se fosse davvero avvenuto: Hans Gibbs se n’era andato ormai da parecchio tempo) le era parso una cosa talmente enorme quando le era stato proposto la prima volta… Ma a paragone di ciò che Salter Wherry stava progettando per le arcologie, non era nulla. Le arcologie erano progettate per essere autosufficienti per un periodo di molti secoli, e anche più. in grado di vagare liberamente attraverso il Sistema Solare e oltre se avessero scelto di farlo, indipendenti perfino dalla luce del sole. Da un chilogrammo o due d’acqua, gli impianti a fusione autoconfinata avrebbero fornito energia sufficiente per anni. Come ausiliario ai sistemi di riciclaggio, ogni arcologia avrebbe rimorchiato un asteroide di parecchie centinaia di metri di diametro, da cui estrarre i minerali se fosse stato necessario.

Judith scosse la testa pensierosa. Sollevò la poltrona in bilico per guardar fuori dagli oblò rivolti verso la Terra. Là sotto era giorno e poteva vedere la grande chiazza che avvolgeva la maggior parte dello Zaire e dell’Africa Centrale. Parte delle disseccate foreste pluviali equatoriali era ancora in fiamme, proiettando un’ombra scura sulla metà del continente. L’area tormentata della siccità si stendeva dal Mediterraneo fin oltre l’equatore e nessuno poteva prevedere quando sarebbe finita. Era difficile immaginare come fosse la vita là sotto, a mano a mano che i mutamenti climatici rendevano impossibili gli antichi stili di vita africani. E sull’altro lato dell’Atlantico il vasto bacino delle Amazzoni si stava anch’esso inaridendo in modo costante, diventando lo stoppaccio che si sarebbe incendiato nell’arco di pochi mesi a meno che il clima non avesse subito immediati e drastici mutamenti.

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