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Isaac Asimov: Nemesis

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Isaac Asimov Nemesis

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Sedeva solo, racchiuso. Fuori c'erano le stelle, e una stella particolare col suo piccolo sistema di mondi. Poteva vederla con l'occhio della mente; nemmeno se avesse deopacizzato la finestra l'avrebbe vista con tanta chiarezza. Una piccola stella, rosso-rosa, il colore del sangue e della distruzione, e con un nome appropriato! Nemesis! Nemesis, la Dea della Punizione Divina.

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Isaac Asimov

NEMESIS

(Nemesis, 1989)

Nota

Questo libro non fa parte della serie della Fondazione, della serie dei Robot, o della serie dell’Impero. È a sé stante. Ho pensato di avvisarvi per evitare equivoci. Certo, può darsi che un giorno scriva un altro romanzo che colleghi questo agli altri… ma non è detto. Dopo tutto, per quanto tempo potrò continuare a spremermi il cervello per tessere queste trame complesse di storia futura?

Altro punto. Ho deciso da un pezzo di seguire una regola fondamentale nel mio lavoro di scrittore: essere chiaro. Ho rinunciato a scrivere poeticamente, o simbolicamente, o sperimentalmente, o in qualsiasi altro stile narrativo che (se fossi abbastanza in gamba) potrebbe farmi vincere un premio Pulitzer. Ho sempre voluto scrivere semplicemente in modo chiaro, instaurando così un rapporto cordiale coi miei lettori, e con i critici di professione… Be’, loro possono fare quello che vogliono.

Tuttavia, le mie storie si scrivono da sole, temo, e in questo caso mi sono accorto, sgomento, che stavo seguendo un doppio filo conduttore. Una serie di eventi si svolgeva nel presente della storia, e un’altra serie nel passato, ma avvicinandosi progressivamente al presente. Sono certo che questo intreccio non vi creerà alcun problema, ma dato che siamo amici ho pensato di avvertirvi.

Prologo

Sedeva solo, racchiuso.

Fuori c’erano le stelle, e una stella particolare col suo piccolo sistema di mondi. Poteva vederla con l’occhio della mente; nemmeno se avesse deopacizzato la finestra l’avrebbe vista con tanta chiarezza.

Una piccola stella, rossorosa, il colore del sangue e della distruzione, e con un nome appropriato.

Nemesis!

Nemesis, la Dea della Punizione Divina.

Pensò di nuovo alla storia che aveva sentito una volta quand’era giovane… una leggenda, un mito, la storia di un Diluvio Universale che aveva spazzato via un’umanità degenere e peccaminosa, risparmiando un’unica famiglia con cui ricominciare.

Nessun diluvio, questa volta. Solo Nemesis.

La degenerazione dell’umanità era ritornata e la Nemesis che l’avrebbe colpita era un castigo adeguato. Non si sarebbe trattato di un Diluvio Universale. Nulla di così semplice.

E se anche ci fossero stati dei superstiti… Dove sarebbero andati?

Come mai lui non provava dispiacere? L’umanità non poteva continuare così. Stava morendo lentamente per i propri misfatti. Invece di una morte lenta e atroce, una morte molto più rapida… Perché rammaricarsi?

Lì, in orbita attorno a Nemesis, un pianeta. Un satellite che ruotava attorno al pianeta. E Rotor attorno al satellite.

Quell’antico Diluvio aveva condotto in salvo alcuni uomini in un’Arca. Lui aveva solo un’idea molto vaga di cosa fosse l’Arca, ma Rotor era l’equivalente dell’Arca. Trasportava un campione di umanità, che sarebbe rimasto al sicuro e avrebbe costituito la base per la costruzione di un mondo nuovo e molto migliore.

Ma per il vecchio mondo… soltanto Nemesis!

Pensò ancora alla stella. Una nana rossa, che seguiva inesorabile la sua rotta. La stella e i suoi mondi erano al sicuro. La Terra no.

Nemesis stava avanzando, Terra!

Per infliggere la Punizione Divina!

1 Marlene

I

L’ultima volta che aveva visto il Sistema Solare, Marlene aveva poco più di un anno. Non lo ricordava, naturalmente.

Aveva letto parecchio sull’argomento, ma malgrado le letture aveva sempre avvertito il Sistema Solare come qualcosa di estraneo a lei, che non le apparteneva.

Nei suoi quindici anni di vita, ricordava solo Rotor. Lo aveva sempre considerato un mondo grande. Aveva un diametro di otto chilometri, in fin dei conti. Di tanto in tanto da quando aveva dieci anni (una volta al mese, quando poteva) lo percorreva per fare del moto, prendendo, a volte, le corsie a bassa gravità per poter galleggiare un po’. Era sempre divertente. Sia che lei galleggiasse, sia che camminasse, Rotor continuava interminabile, coi suoi edifici, i suoi parchi, le sue fattorie, e soprattutto i suoi abitanti.

Marlene impiegava un giorno intero a percorrerlo, ma sua madre non aveva nulla in contrario. Diceva che Rotor era perfettamente sicuro. «Non come la Terra» diceva. Però non spiegava come mai la Terra non fosse sicura. «Non importa» tagliava corto.

La cosa che a Marlene piaceva di meno erano le persone. Sessantamila abitanti su Rotor, stando al nuovo censimento. Molti. Troppi. Ognuno di loro mostrava una faccia falsa. Marlene detestava vedere quelle facce false, sapendo che sotto si nascondeva qualcosa di diverso. Né poteva fare commenti. A volte aveva provato, quand’era più giovane, ma sua madre si era arrabbiata e le aveva detto che non doveva mai dire certe cose.

Crescendo, la falsità degli altri le era apparsa in modo ancor più chiaro, ma le aveva dato meno fastidio. Marlene aveva imparato ad accettarla e a stare il più possibile da sola, coi propri pensieri.

Ultimamente, i suoi pensieri erano rivolti spesso a Eritro, il pianeta attorno a cui orbitavano da tanti anni, quasi da una vita per lei. Marlene non sapeva come mai quei pensieri le passassero per la testa, ma a tempo perso raggiungeva la piattaforma panoramica e fissava bramosa il pianeta. Le sarebbe piaciuto trovarsi là… proprio là, su Eritro.

Sua madre, spazientita, le chiedeva come mai desiderasse andare su un pianeta arido e deserto, ma Marlene non aveva mai una risposta. Non lo sapeva. «Lo desidero, e basta» diceva.

Lo stava osservando, ora, sola sulla piattaforma panoramica. I rotoriani non andavano quasi mai sulla piattaforma. Avevano già visto tutto quanto, probabilmente, e chissà perché non avevano lo stesso interesse di Marlene per Eritro.

Eccolo; in parte illuminato, in parte buio. Marlene ricordava in modo vago due braccia che la reggevano e le mostravano Eritro emergere dallo spazio; ricordava di averlo visto di tanto in tanto, sempre più grande, via via che Rotor si avvicinava lentamente tanti anni fa.

Era un ricordo vero? In fin dei conti, lei aveva quasi quattro anni allora, quindi forse lo era.

Ma adesso a quel ricordo, vero o falso che fosse, si sovrapponevano altri pensieri, la percezione sconcertante delle dimensioni di un pianeta. Eritro aveva un diametro di oltre dodicimila chilometri, non di otto chilometri. Erano dimensioni che Marlene non era in grado di afferrare. Eritro non sembrava così grande sullo schermo, e lei non riusciva a immaginare di trovarsi sulla sua superficie e di spingere lo sguardo per centinaia di chilometri, o addirittura migliaia. Però sapeva che voleva farlo. Lo desiderava moltissimo.

Ad Aurinel non interessava Eritro, purtroppo. Aurinel diceva di avere altro a cui pensare; prepararsi per l’università, per esempio. Aveva diciassette anni e mezzo. Marlene ne aveva appena compiuti quindici. Una differenza minima dal momento che le ragazze si sviluppavano e maturavano più in fretta, pensò con un moto di ribellione.

Almeno, avrebbero dovuto avere uno sviluppo più rapido. Marlene si guardò e, delusa e costernata come al solito, rifletté che il suo aspetto era ancora quello di una bambina, bassa e tozza.

Guardò di nuovo Eritro, grande, bello, e leggermente rosso nella zona illuminata. Era abbastanza grande da essere un pianeta, ma in realtà si trattava di un satellite. Ruotava attorno a Megas, ed era Megas (ancora più grande) il vero pianeta, anche se tutti si riferivano a Eritro usando quel termine. Megas ed Eritro, e Rotor, ruotavano attorno alla stella Nemesis.

«Marlene!»

Marlene udì la voce alle sue spalle e capì che si trattava di Aurinel. Negli ultimi tempi le era capitato sempre più spesso di ritrovarsi senza parole con lui, e per un motivo imbarazzante. Le piaceva il modo in cui lui pronunciava il suo nome. Lo pronunciava correttamente. Tre sillabe: MarLEne, facendo vibrare lievemente la «r». Le bastava sentirlo per provare un senso di eccitazione.

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