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Isaac Asimov: Nemesis

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Isaac Asimov Nemesis

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Sedeva solo, racchiuso. Fuori c'erano le stelle, e una stella particolare col suo piccolo sistema di mondi. Poteva vederla con l'occhio della mente; nemmeno se avesse deopacizzato la finestra l'avrebbe vista con tanta chiarezza. Una piccola stella, rosso-rosa, il colore del sangue e della distruzione, e con un nome appropriato! Nemesis! Nemesis, la Dea della Punizione Divina.

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Si girò. «Ciao, Aurinel» farfugliò, cercando di non arrossire.

Lui le sorrise. «Stai fissando Eritro, vero?»

Marlene non rispose alla domanda. Logico che stesse osservando Eritro. Tutti sapevano che era attratta da Eritro. «Come mai sei qui?» ("Dimmi che mi stavi cercando" pensò.)

«Mi ha mandato tua madre.»

("Oh, be’…") «Perché?»

«Ha detto che eri di cattivo umore e che, quando sei depressa, vieni quassù. Mi ha incaricato di venire a prenderti perché restando qui diventi solo più scontrosa. Perché sei di cattivo umore?»

«Non sono di cattivo umore. E se lo sono, c’è un motivo.»

«Quale? Su, non sei più una bambina. Sarai capace di esprimerti.»

Marlene aggrottò le ciglia. «Mi esprimo benissimo, grazie. Il motivo è semplice, mi piacerebbe viaggiare.»

Aurinel rise. «Hai viaggiato, Marlene. Hai viaggiato per più di due anni luce. Nella storia del Sistema Solare nessuno ha mai percorso nemmeno una piccola parte di anno luce… Tranne noi. Quindi non puoi lamentarti. Tu sei Marlene Insigna Fisher, Viaggiatrice Galattica.»

Marlene soffocò una risatina. Insigna era il nome da nubile di sua madre; ogni volta che la chiamava così, pronunciando il suo nome per intero, Aurinel salutava militarmente con una smorfia, ed era da un pezzo che non lo faceva. Probabilmente perché ormai era un adulto e doveva abituarsi ad assumere un atteggiamento dignitoso, rifletté Marlene.

Disse: «Non ricordo affatto quel viaggio. Non posso ricordarmelo. E se non lo ricordo, non conta. Siamo qui, a oltre due anni luce dal Sistema Solare, e non torneremo più».

«Come lo sai?»

«Via, Aurinel. Hai mai sentito parlare di un nostro ritorno? Non ne parla nessuno.»

«Be’, anche se non torneremo, che importa? La Terra è un mondo affollato, e tutto il Sistema Solare ormai non aveva più nulla da offrire. Stiamo meglio qui… padroni di tutto quello che osserviamo.»

«Non è vero. Osserviamo Eritro, però non scendiamo laggiù a dominarlo.»

«Sì, invece. Abbiamo una Cupola che funziona perfettamente su Eritro. Lo sai.»

«Non è per noi. Solo per qualche scienziato. Sto parlando di noi. Non ci permettono di andare in quel posto.»

«Questione di tempo» disse allegro Aurinel.

«Già, quando sarò vecchia. O morta.»

«Dai, la situazione non è poi così brutta. Comunque, vieni via da questo posto, tuffati nel mondo e fai felice tua madre. Non posso stare qui. Ho delle cose da fare. Dolorette…»

A Marlene ronzarono le orecchie. Non sentì le parole successive di Aurinel. Le era bastato sentire… Dolorette!

Marlene odiava Dolorette, che era alta e… e vacua.

Ma tanto era inutile. Aurinel le stava attorno, e guardandolo Marlene capì subito quali fossero i suoi sentimenti per Dolorette. E adesso lo avevano mandato lì, a cercare lei… uno spreco di tempo. Marlene glielo leggeva in faccia: era ansioso di tornare da… da quella Dolorette. (Perché riusciva sempre a intuire tutto? A volte era così sgradevole!)

All’improvviso, Marlene provò il desiderio di ferirlo, di trovare le parole giuste per farlo soffrire. Parole vere, però. Non voleva mentirgli. «Non torneremo più nel Sistema Solare» disse. «Io so perché.»

«Oh, perché?» Vedendo che Marlene esitava, Aurinel aggiunse: «Qualche mistero?»

Marlene rimase indecisa. Non avrebbe dovuto parlarne. «Non voglio dire nulla» rispose. «È una cosa che io non dovrei sapere.» Ma voleva dirla. In quel momento, voleva che tutti soffrissero.

«Però a me la dirai. Siamo amici, no?»

«Davvero?» chiese Marlene. «D’accordo, parlerò. Non torneremo più perché la Terra sarà distrutta.»

Aurinel ebbe una reazione che la sorprese. Scoppiò in una risata fragorosa. Si calmò solo dopo alcuni istanti, e lei lo fissò torva, indignata.

«Marlene, dove hai sentito questa storia? Hai guardato qualche thriller, eh?»

« No

«Ma allora come puoi dire una cosa del genere?»

«Perché lo so. Lo capisco. Da quello che la gente dice e non dice, da quello che fa senza rendersene conto. E dalle informazioni che mi fornisce il computer quando lo interrogo nel modo giusto.»

«Quali informazioni? Sentiamo un esempio.»

«Non ho intenzione di dirtelo.»

«E se fosse tutto frutto della tua immaginazione?» osservò Aurinel, alzando due dita. « Forse la spiegazione è questa. È possibile, non credi?»

«No, impossibile. La Terra non sarà distrutta subito… magari accadrà solo tra migliaia di anni… però sarà distrutta.» Marlene annuì, l’espressione serissima. «E nulla potrà impedirlo.»

Quindi si girò e si allontanò, infuriata con Aurinel perché dubitava di lei. E non dubitava soltanto. No. Pensava che fosse pazza. Ecco! Lei aveva parlato troppo ed era stato inutile; non aveva ottenuto nulla. Era tutto sbagliato.

Aurinel la stava seguendo con lo sguardo. Sul suo bel volto non c’era più traccia di riso, e una certa inquietudine stava increspando la pelle tra le sopracciglia.

II

Eugenia Insigna aveva raggiunto la mezz’età durante il viaggio verso Nemesis e la lunga permanenza dopo l’arrivo. Nel corso degli anni si era detta periodicamente, come monito: "Siamo qui per restarci tutta la vita… la nostra vita, e quella dei nostri figli che hanno di fronte a sé un futuro ignoto".

Quel pensiero la opprimeva continuamente.

Perché? Sapeva che era la conseguenza inevitabile di quel che avevano fatto dal momento in cui Rotor aveva lasciato il Sistema Solare. Tutti su Rotor (tutti volontari) lo sapevano. Chi non aveva avuto il coraggio di affrontare la separazione definitiva aveva abbandonato Rotor prima della partenza, e tra le persone rimaste indietro c’era…

Eugenia non terminò il pensiero. L’assillava spesso, e lei cercava sempre di lasciarlo in sospeso.

Adesso erano lì su Rotor, ma Rotor era la loro «casa»? Per Marlene sì; non aveva mai conosciuto nient’altro. Ma per lei, Eugenia? La sua casa erano la Terra, la Luna, il Sole e Marte, e tutti gli altri mondi che avevano accompagnato l’umanità attraverso la storia e la preistoria, che avevano accompagnato la vita fin dagli albori. Lì su Rotor Eugenia non si sentiva nel proprio ambiente naturale, nemmeno ora.

Del resto, aveva trascorso i primi ventotto anni della sua vita nel Sistema Solare, e dal ventunesimo al ventitreesimo anno era stata addirittura sulla Terra per gli studi di specializzazione.

Strano che di tanto in tanto si soffermasse a pensare alla Terra. La Terra non le era mai piaciuta. Non le piacevano quelle folle, la sua organizzazione scadente, l’anarchia nelle cose importanti e il rigore governativo nelle cose di poco conto. Non le piacevano gli scoppi di maltempo della Terra, le cicatrici che deturpavano il territorio, l’oceano desolato. Era tornata su Rotor colma di gratitudine, e con un nuovo marito al quale aveva cercato di far accettare il suo caro piccolo mondo orbitante… perché anche lui, pur essendo nato in un ambiente diverso, imparasse ad apprezzarne l’ordine e il benessere.

Ma lui aveva notato solo le ridotte dimensioni di Rotor. «In sei mesi l’hai visto tutto» aveva commentato.

E anche Eugenia aveva smesso di interessargli, ben presto. Oh, be’…

Tutto si sarebbe risolto. Non per lei, Eugenia Insigna, per sempre alla deriva tra mondi differenti. Ma per i figli, sì. Eugenia era una creatura di Rotor e poteva vivere senza la Terra. Marlene era una creatura esclusivamente di Rotor, in pratica, e poteva vivere senza il Sistema Solare, a parte la sensazione vaga di avere avuto origine in quel luogo. I suoi figli non avrebbero avvertito neppure quella lieve sensazione, e non avrebbero avuto alcun problema. Per loro, la Terra e il Sistema Solare sarebbero stati soltanto una specie di mito, mentre Eritro sarebbe diventato un mondo in rapido sviluppo.

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