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Isaac Asimov: Nemesis

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Isaac Asimov Nemesis

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Sedeva solo, racchiuso. Fuori c'erano le stelle, e una stella particolare col suo piccolo sistema di mondi. Poteva vederla con l'occhio della mente; nemmeno se avesse deopacizzato la finestra l'avrebbe vista con tanta chiarezza. Una piccola stella, rosso-rosa, il colore del sangue e della distruzione, e con un nome appropriato! Nemesis! Nemesis, la Dea della Punizione Divina.

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Eugenia lo sperava. Marlene aveva già una strana fissazione per Eritro, anche se si era manifestata solo negli ultimi mesi e avrebbe potuto scomparire altrettanto in fretta.

Tutto sommato, lamentarsi sarebbe stato il colmo dell’ingratitudine. Nessuno avrebbe potuto immaginare l’esistenza di un mondo abitabile in orbita attorno a Nemesis. Le condizioni che creavano l’abitabilità erano eccezionali. Valutando le probabilità e aggiungendo la vicinanza di Nemesis al Sistema Solare, quello che era successo sembrava a dir poco incredibile.

Eugenia rivolse la propria attenzione ai rapporti giornalieri, che il computer si accingeva a trasmetterle con la pazienza infinita di una macchina.

Ma prima che Eugenia potesse richiederli giunse il segnale della segretaria, e una voce bassa scaturì dal minuscolo altoparlante fissato alla spalla sinistra del suo vestito. «Aurinel Pampas desidera vederla. Non ha appuntamento.»

Eugenia fece una smorfia, poi ricordò di averlo mandato in cerca di Marlene. «Fallo entrare» rispose.

Lanciò una rapida occhiata allo specchio, e vide che aveva un aspetto discreto. Secondo lei, non dimostrava i suoi quarantadue anni. Si augurava che anche gli altri avessero quell’impressione.

Forse poteva sembrare sciocco preoccuparsi del proprio aspetto perché un diciassettenne stava per entrare, ma Eugenia Insigna aveva notato con che espressione la povera Marlene guardava quel ragazzo, un’espressione rivelatrice. Per Aurinel, che era tanto orgoglioso del proprio corpo, Marlene, che non era riuscita ancora a liberarsi del suo aspetto adolescenziale paffuto, avrebbe rappresentato sempre e soltanto una bambina divertente. Eugenia ne era convinta. Tuttavia, se era destinata a provare una delusione, a fallire, Marlene non doveva pensare che sua madre avesse contribuito a quel fallimento in qualche modo, magari non sfoggiando tutto il suo fascino di fronte al ragazzo.

"Darà la colpa a me, in ogni caso" rifletté Eugenia sospirando, mentre il ragazzo entrava con un sorriso che rivelava ancora una certa timidezza adolescenziale.

«Be’, Aurinel, hai trovato Marlene?»

«Sì, signora. Proprio dove aveva detto lei. E le ho detto che lei voleva che venisse via.»

«E come sta?»

«Ecco, dottoressa Insigna… non so se sia depressione o qualcos’altro, ma Marlene ha un’idea abbastanza strana in testa. Forse non dovrei parlargliene… Marlene non sarebbe d’accordo, credo.»

«Be’, nemmeno a me piace farla spiare, ma spesso ha delle strane idee e mi preoccupa. Raccontami cos’ha detto, per favore.»

Aurinel scosse la testa. «Va bene, però non le dica che ho parlato, eh? È proprio una cosa assurda. Ha detto che la Terra sarà distrutta.»

Il ragazzo si aspettava che la dottoressa scoppiasse a ridere.

Eugenia non rise. Invece, sbottò: « Cosa? Perché ha detto una cosa del genere?»

«Non lo so, dottoressa Insigna. È una ragazzina molto intelligente, ma a volte le vengono delle idee così strampalate. O può darsi che mi abbia preso in giro.»

«Già, molto probabile. Ha uno strano senso dell’umorismo. Ascolta, questa cosa deve rimanere tra noi. Non voglio che comincino a circolare delle stupidaggini. Capito?»

«Certo, signora.»

«Parlo seriamente. Nemmeno una parola, mi raccomando.»

Aurinel annuì deciso.

«Ma grazie per avermi informata. Era importante mettermi al corrente. Parlerò a Marlene e scoprirò qual è il problema… e non le dirò che sei stato tu a riferirmi tutto.»

«Grazie… Solo una domanda, però, signora…»

«Sì?»

«La Terra sarà distrutta?»

Eugenia Insigna lo fissò e si sforzò di ridere. «Certo che no! Adesso puoi andare.»

Lo seguì con lo sguardo. Non era stata una smentita troppo convincente, rifletté con rammarico.

III

Janus Pitt aveva un aspetto imponente, che lo aveva aiutato nella sua ascesa al potere come Commissario di Rotor. Nella fase iniziale della formazione delle Colonie si era insistito molto sulle persone di statura non superiore alla media, preoccupandosi di ridurre le esigenze di spazio e risorse pro capite. Alla fine, quella precauzione era stata giudicata supeflua e accantonata, ma il condizionamento era ancora presente nei geni delle prime Colonie, e il rotoriano medio era tuttora più basso di un paio di centimetri rispetto al cittadino medio delle Colonie sorte in un secondo tempo.

Pitt era alto, però, con capelli grigio ferro, una faccia lunga, occhi azzurro cupo, e un corpo ancora in buona forma malgrado i cinquantasei anni d’età.

Pitt alzò lo sguardo e sorrise all’ingresso di Eugenia, ma avvertì la solita lieve sensazione di inquietudine. C’era sempre qualcosa di inquietante in lei, di logorante perfino. Le sue Ragioni (con la «R» maiuscola) non erano facili da affrontare.

«Grazie per avermi ricevuta senza preavviso, Janus» esordì lei.

Pitt bloccò il computer e si appoggiò allo schienale della sedia, assumendo un’aria rilassata.

«Via, niente formalità tra noi» disse. «Ci conosciamo da un pezzo.»

«E abbiamo vissuto parecchie esperienze insieme» osservò Eugenia.

«È vero. Come sta tua figlia?»

«È proprio di lei che voglio parlarti. Siamo schermati?»

Pitt inarcò le sopracciglia. «Perché schermati? Cosa dobbiamo nascondere? E a chi?»

Mentre glielo chiedeva, Pitt si rese conto della strana posizione in cui si trovava Rotor. In pratica, era solo nell’universo. Il Sistema Solare era a oltre due anni luce, e forse non esistevano altri mondi con forme di vita intelligenti nel raggio di centinaia di anni luce… o miliardi di anni luce, magari.

I rotoriani potevano anche avere qualche crisi di solitudine e di insicurezza, però non dovevano temere alcuna interferenza esterna. Be’, quasi, pensò Pitt.

«Lo sai cosa dobbiamo nascondere» rispose Eugenia. «Sei stato tu a insistere sempre sulla segretezza.»

Pitt attivò lo schermo. «Dobbiamo ancora tirare in ballo quell’argomento? Per favore, Eugenia, è tutto sistemato, da quando siamo partiti quattordici anni fa. Lo so che ogni tanto tu ci pensi e rimugini…»

«Rimugino? Perché no? È la mia stella.» Eugenia agitò le braccia, quasi a indicare Nemesis. «La responsabilità è mia. »

Pitt contrasse la mascella. "Di nuovo questo discorso trito e ritrito?" rifletté.

«Be’, siamo schermati. Allora, qual è il problema?»

«Marlene. Mia figlia. Non so come, ma lo sa.»

«Sa, cosa?»

«Sa di Nemesis e del Sistema Solare.»

«Impossibile. A meno che non gliel’abbia raccontato tu.»

Eugenia Insigna allargò le braccia in un gesto di impotenza. «Io non le ho detto nulla, figurati… ma con lei non c’è bisogno di parlare. Non so come, ma a quanto pare Marlene sente e vede tutto. E dalle piccole cose che sente e che vede ricava il quadro completo. Ha sempre avuto questa capacità, ma nell’ultimo anno l’ha sviluppata moltissimo.»

«Be’, fa delle supposizioni e a volte indovina, mi sembra. Dille che si sbaglia, e fai in modo che non ne parli.»

«Ma lo ha già detto a un ragazzo, che è venuto e riferirmelo. Ecco come l’ho saputo. Da Aurinel Pampas. È un amico di famiglia.»

«Ah, sì. So chi è… più o meno. Basta che tu gli dica di non dare retta alle fantasie di una bambina.»

«Non è una bambina. Ha quindici anni.»

«Per lui è una bambina, te lo assicuro. Ho detto che un po’ lo conosco, il giovanotto. Ho l’impressione che abbia molta fretta di diventare adulto, e ricordo che quando avevo la sua età le ragazzine di quindici anni non erano degne della minima attenzione, soprattutto quelle…»

«Capisco» fece Eugenia sarcastica. «Soprattutto quelle basse, grassocce e bruttine. Il fatto che sia intelligentissima non ha nessuna importanza?»

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