Però scattò immagini meravigliose della sottoscritta, specialmente una in cui me ne stavo sdraiata su un divanetto con cinque micini che mi passeggiavano su petto e gambe e pancia. Chiesi se potevo averla, e saltò fuori che Georges possedeva l’attrezzatura per fare copie.
Poi Georges ne scattò un po’ a me e a Janet assieme, e di nuovo io chiesi la copia di una foto perché facevamo un bel contrasto e Georges era capace di farci apparire meglio di ciò che eravamo. Poi cominciai a sbadigliare e Janet disse a Georges di smetterla. Io presentai le mie scuse, dicendo che avere sonno era del tutto imperdonabile, visto che nel fuso orario da cui ero partita quel giorno erano le prime ore della sera.
Janet espresse sdegno. Secondo lei, avere sonno non c’entrava niente con gli orologi e i fusi orari: signori, si va a letto. Mi portò via.
Ci fermammo in quel bagno meraviglioso e lei mi circondò con le braccia. — Marjie, vuoi compagnia o vuoi dormire sola? So da Betty che hai avuto una notte movimentata. Forse preferiresti una notte di pace da sola. O forse no. Dillo tu.
Le risposi sinceramente che non sceglievo mai di dormire da sola.
— Nemmeno io — ammise lei — ed è bello sentirtelo dire, senza girarci attorno e fare la commedia come certi bacchettoni. Chi vuoi nel tuo letto?
Tesoro, tu hai tutti i diritti di questo mondo su tuo marito, la sera che torna a casa. — Forse bisogna girare la domanda. Chi vuole dormire con me?
— Be’, ma tutti quanti, ne sono certa. Oppure due soli. O uno. Fai tu.
Strizzai gli occhi, chiedendomi quanto avessi bevuto. — Quattro persone in un solo letto?
— Ti va?
— Non ci ho mai provato. Sembra divertente, ma il letto finirebbe piuttosto intasato. Credo.
— Non sei stata in camera mia. Il letto è molto grande. Perché tutti e due i miei mariti scelgono spesso di dormire assieme con me… e c’è tutto lo spazio per accogliere un ospite.
Sì, avevo bevuto; per due sere di fila, e molto più del solito. — Due mariti? Non sapevo che il Canada Britannico avesse adottato le tecniche australiane.
— Il Canada Britannico no; i suoi abitanti, sì. A migliaia e migliaia, per lo meno. I cancelli sono chiusi, sono solo affari nostri. Vuoi provare il letto grande? Se ti viene sonno, puoi scappare nella tua stanza. È il motivo che mi ha spinta a organizzare così queste due camere. Allora, tesoro?
— Be’… Sì. Però potrei vergognarmi un po’.
— Ti passerà. Andiamo…
Fu interrotta da un campanello del terminale.
Janet disse: — Oh, accidenti, accidenti! Novanta su cento significa che vogliono Ian al porto, anche se è appena tornato da un volo. — Raggiunse il terminale, lo accese.
— …Causa di allarme. Il confine con l’Impero di Chicago è stato chiuso e si stanno isolando i profughi. L’attacco da parte del Québec è piuttosto serio ma potrebbe essere l’errore di un comandante locale; non c’è stata dichiarazione di guerra. È stato dichiarato lo stato d’emergenza, per cui non scendete in strada, mantenete la calma, e tenetevi sintonizzati su questa lunghezza d’onda per le notizie e le istruzioni ufficiali.
Era iniziato il Giovedì Rosso.
Immagino che tutti abbiano più o meno in mente la stessa immagine del Giovedì Rosso e di ciò che seguì. Ma per spiegarmi (per spiegare a me stessa , se è possibile!) debbo dirvi come l’ho visto io, compresi la confusione totale e i dubbi.
Noi quattro finimmo nel letto grande di Janet in cerca di compagnia e mutuo conforto, non di sesso. Tutti quanti tenemmo le orecchie aperte alle notizie, gli occhi incollati allo schermo del terminale. Più o meno, vennero ripetute di continuo le stesse informazioni: attacco abortito dal Québec, il presidente dell’Impero di Chicago ucciso a letto, il confine con l’Impero chiuso, rapporti di sabotaggio non verificati, non scendete in strada, mantenete la calma; ma per quanto venissero ripetute sempre le stesse cose, tutti noi chiudevamo il becco e ci mettevamo in ascolto, in attesa di una notizia che desse un senso alle altre notizie.
Invece le cose continuarono a peggiorare tutta la notte. Alle quattro del mattino sapevamo che omicidi e sabotaggi si stavano svolgendo nel mondo intero; all’alba giungevano rapporti incontrollati di guai a Elle-Cinque, a Base Tycho, a Stazione Stazionaria, e (messaggio interrotto) a Cerere. Impossibile indovinare se la catastrofe avesse raggiunto Alpha Centauri o Tau Ceti… Ma una voce ufficiale dal terminale tirò a indovinare rifiutandosi di tirare a indovinare e invitando tutti a non lanciarsi in pericolose speculazioni.
Verso le quattro, Janet, con un po’ d’aiuto da me, preparò panini e servì il caffè.
Mi svegliai alle nove perché Georges si muoveva. Scoprii che stavo dormendo con la testa sul suo petto e un braccio avvinghiato attorno a lui. Ian era dall’altra parte del letto, sdraiato-seduto sui cuscini, con gli occhi ancora attaccati allo schermo; però gli occhi erano chiusi. Janet era scomparsa: fuggita nella mia stanza, si era infilata in quello che teoricamente era il mio letto.
Scoprii che, muovendomi con estrema lentezza, potevo districarmi e scendere dal letto senza svegliare Georges. Lo feci, e scivolai in bagno, dove mi sbarazzai dei residui di caffè e mi sentii meglio.
Con un’occhiata nella «mia» camera vidi la padrona di casa svanita. Era sveglia; agitò le dita nell’aria, poi mi fece cenno di entrare. Si spostò e io mi coricai con lei. Mi baciò. — Come stanno i ragazzi?
— Dormono tutti e due. O dormivano tre minuti fa.
— Bene. Hanno bisogno di sonno. Tendono tutti e due a preoccuparsi. Io no. Ho deciso che presentarmi all’Armageddon con occhi iniettati di sangue era inutile, così mi sono trasferita qui. Tu dormivi, mi pare.
— Può darsi. Non so a che ora mi sono addormentata. Ho l’impressione di aver sentito le stesse brutte notizie un migliaio di volte. Poi mi sono svegliata.
— Non ti sei persa niente. Ho abbassato l’audio, ma ho lasciato acceso il televideo. Hanno continuato a ripetere la solita brutta storia. Marjorie, i ragazzi si aspettano che cadano le bombe. Secondo me non ci sarà nessuna bomba.
— Spero che tu abbia ragione. Ma perché no?
— Chi sgancia bombe H su chi? Chi è il nemico? Tutti i maggiori blocchi di potere sono nei guai, da quanto intuisco dalle notizie. Però, a parte quello che sembra uno stupido errore di un generale del Québec, nessuna forza militare è entrata in azione. Omicidi, incendi, esplosioni, sabotaggi di ogni tipo, rivolte, terrorismo di tutti i generi, ma senza uno schema preciso. Non è l’Est contro l’Ovest o il marxismo contro il fascismo o i neri contro i bianchi. Marjorie, se qualcuno fa partire i missili, vuol dire che il mondo intero è impazzito.
— E non è quello che sembra?
— Secondo me, no. Il senso di questa faccenda è che non c’è nessun senso. I bersagli sono dappertutto. Tutti quanti i governi, allo stesso modo, sono un obiettivo.
— Anarchici? — suggerii.
— Nichilisti, forse.
Ian apparve con gli occhi cerchiati, la barba di un giorno, un’espressione preoccupata, e un vecchio accappatoio troppo corto per lui. Aveva le ginocchia molli. — Janet, non riesco a mettermi in contatto con Betty e Freddie.
— Tornavano a Sydney?
— Non è questo. Non posso parlare né con Sydney né con Auckland. Mi risponde sempre quella maledetta voce sintetica di computer. «Al-momento-non-ci-sono-circuiti-disponibili. Vi-preghiamo-di-riprovare-più-tardi-e-grazie-per-la-vostra-comprensione.» Hai presente?
— Ahi. Altri sabotaggi?
— Può darsi. Ma forse anche peggio. Dopo quella solfa ho chiamato il controllo traffico del porto e ho chiesto che diavolo avesse il collegamento via satellite Winnipeg-Auckland. Alla fine, sfruttando il mio grado, mi sono fatto passare il supervisore. Mi ha detto che i problemi col telefono sono niente. Loro sì sono nei guai sul serio. Tutti gli Sb sono bloccati a terra, perché due sono stati sabotati in volo. Il Winnipeg-Buenos Aires delle venti e nove e il Vancouver-Londra dell’una.
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