Ben Bova - Giove chiama Terra

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Giove chiama Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che in orbita attorno a Giove c’è qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile, dal momento che nessuna astronave terrestre è mai ancora arrivata laggiù. Ma...
Ma queste non sono praticamente le stesse parole con cui abbiamo presentato nello scorso numero
di Zach Hughes?
Il fatto è che Ben Bova e Zach Hughes per una straordinaria coincidenza hanno scritto e pubblicato contemporaneamente due romanzi che partono dalle stesse premesse pur arrivando a conclusioni diversissime. Veda dunque il lettore quali delle due preferisce e tenga conto d’altra parte che il complesso, ricchissimo romanzo di Bova è quasi tre volte più lungo di quello di Hughes e negli USA costa più del doppio, mentre in URANIA costa naturalmente lo stesso. Un’occasione da non perdere.

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Alzando gli occhi sul russo, Stoner disse: «Cavendish era un agente… Una spia…»

«No.»

«Me l’ha detto lui. Un agente doppio. Lavorava per voi, per il KGB, però in realtà lavorava per il controspionaggio inglese.»

Markov spalancò la bocca in una smorfia di stupore.

«Me l’ha detto lui» ripeté Stoner. «Subiva pressioni da entrambe le parti.»

«E adesso è scomparso» sussurrò Markov. «Sarà morto, senz’altro.»

«Ieri sera Schmidt tenta di uccidermi» rifletté ad alta voce Stoner «e Cavendish scompare. La stessa sera.» Fissò Markov. «Kirill, cosa dobbiamo concludere?»

Il russo gli restituì lo sguardo, senza una parola.

«Credi che i tuoi stiano cercando di fermare la missione di rendez-vous?»

«Io…» Markov esitò. «Io penso che potrebbe essere vero» disse, in un sussurro quasi impercettibile.

«Gesù Cristo.»

Markov si scosse, come per allontanare un brutto sogno. «Lasciami controllare. Lasciami vedere cosa posso scoprire.» Fece per uscire.

Ma Stoner lo bloccò. «Forse dovresti restarne fuori, Kirill. Potresti finire in guai grossi, se t’intrometti in questa faccenda.»

«Ci sono già in mezzo» ribatté Markov, con voce durissima. «Hanno cercato di uccidere il mio amico.»

«E hanno già ucciso Cavendish.»

«Forse.»

Stoner si alzò, fece il giro della scrivania. «Restane fuori, Kirill. Non metterti nei guai.»

Markov rise. «Siamo tutti nei guai, amico mio. Tutti quanti.»

Markov camminava automaticamente, quasi senza vedere, nel sole cocente del pomeriggio. Superò le antenne del radiotelescopio, gli uffici, l’Alloggio Ufficiali Scapoli, l’hotel, le case su ruote. Raggiunse la zona dei bungalow e marciò verso il suo.

«Maria Kirtchatovska!» urlò, sbattendo la porta.

Sua moglie, una padella sfrigolante in mano, spuntò dalla cucina. «Cosa ci fai a casa?»

«Mettila giù e vieni qui» disse Markov. Le indicò il divano.

Lei lo fissò corrucciata, però tornò in cucina e riapparve un attimo dopo con una salvietta.

«Stavo preparando la cena» disse.

«Siediti.»

«Non ho raccontato a nessuno la tua esplosione di ieri sera…»

«Il dottor Cavendish è morto» scattò Markov, completamente furibondo. «Annegato, con ogni probabilità.»

Maria cadde a sedere sul divano. «Annegato?»

Ancora in piedi, Markov aggiunse: «E ieri sera Schmidt è andato in overdose di droga e ha tentato di uccidere Stoner. Vedi qualche rapporto tra questi due fatti?»

Maria distolse gli occhi, senza rispondere.

Markov torreggiava su di lei. «Quella macchina che stavi usando ieri sera. Aveva qualcosa a che fare con Cavendish, vero? Oppure con Schmidt?»

«Kir, abbiamo deciso tanti anni fa che non avremmo mai discusso di certe parti del mio lavoro.»

Lui provò la tentazione di schiaffeggiarla. «L’accordo non vale più. Avrei dovuto tirarmi indietro già quando hai rovinato la vita di quella studentessa. E ora hai ucciso Cavendish, giusto?»

«No!»

«Non raccontarmi bugie, Maria Kirtchatovska! Cavendish era un informatore del KGB, ed è morto. L’hai ucciso tu con quella macchina infernale.»

Lei scosse la testa. «Era solo un impianto di comunicazione, una specie di radio…»

«Balle! Tu comunichi con Mosca attraverso quelle lettere stupide che spedisci ogni settimana. Questo lo so. In un modo o nell’altro, quella macchina ha ucciso Cavendish.»

«Non è possibile…»

«Ho visto la tua espressione quando ti ho sorpresa! Tu stavi trasmettendo solo dolore e morte! Non cercare di negarlo.»

«Kirill, io…» Maria si passò una mano nei capelli, improvvisamente agitata, sull’orlo delle lacrime. «Cosa potevo fare? Dovevo seguire gli ordini. Che altro potevo fare?»

«Assassinio. Torture. È questo che fai da sempre, eh? In tutti questi anni non hai fatto altro.»

Adesso lei stava piangendo. Le lacrime le solcavano le guance. «No. L’ho fatto solo adesso. E non volevo. Sono stata costretta. Era l’unico modo per sopravvivere…»

«E in tutti questi anni io ho tenuto gli occhi chiusi. “Sapevo” che tutte le storie che si sussurrano sono vere, ma continuavo a ripetermi: “Non la mia Maria. Non farebbe mai cose del genere. Lei lavora alla sezione crittografica. Non è coinvolta in arresti e interrogatori e omicidi…”»

«È vero!» gemette lei. «Non l’ho mai fatto fino a che questa… questa… “cosa” ci è piombata addosso.»

«Non hai mai fatto arrestare qualcuno? Non sei mai stata coinvolta in interrogatori? Omicidi?»

«No! Non direttamente!»

Markov si mise a passeggiare nella stanza, agitando le mani. «Merda. Non direttamente. Hai le mani pulite… Più o meno. Disgustoso. Disgustoso! Pensare che io ho vissuto con te tutti questi anni e ho tenuto gli occhi chiusi.»

Lei sollevò la testa. «Io ho tenuto gli occhi chiusi sulle tue avventure. Se tu…»

«Le mie avventure!» Markov si girò a guardarla. «Io facevo “l’amore”, donna! Cercavo bellezza e dolcezza e piacere! Non facevo l’elettroshock a qualche poveraccio chiuso nei sotterranei di un ospedale-prigione.»

«Non ho mai…» La voce di Maria affogò tra i singhiozzi.

«È finita» disse Markov, secco. «Mi senti? È tutto finito. Non dividerò la mia vita con una torturatrice, un’assassina.»

«Cosa vuoi dire?»

«O lasci il KGB, o lasci me. A te la scelta.»

Maria strabuzzò gli occhi. «Non posso dare le dimissioni! Non è permesso.»

«Mettiti in pensione, dai le dimissioni, trovati un altro lavoro. Se no, io non vivrò più con te. Mai più! Non potrei!»

«Kir, se tu mi lasci ci saranno domande, un’inchiesta…»

«Digli che mi hai piantato per le mie avventure. Ti crederanno.»

«Non voglio lasciarti» disse lei. «Non voglio che tu mi lasci.»

«Allora devi rinunciare al tuo lavoro.»

«Non posso…»

Lui andò a sedere sul divano, accanto alla moglie. Maria aveva smesso di piangere, ma le lacrime le avevano rigato il viso.

«È vero che non volevi fare quello che hai fatto? Che ti hanno costretta?»

«Mi hanno dato ordini, e io ho obbedito. Non avevo scelta.»

«Ti hanno ordinato di fare cosa? Di uccidere Stoner?»

Lei uscì in un gemito di sorpresa. «No… Vogliono impedire a Stoner di comandare la missione di rendez-vous. Vogliono fermarlo, a qualunque costo.»

«Ma il nostro governo collabora con gli americani, adesso!» disse Markov. «Zworkin, l’accademico Bulacheff, lo stesso segretario generale…»

Maria scosse la testa, piano. «Io so solo quali sono i miei ordini. Vogliono fermare Stoner.»

Markov sospirò. «Maria… Come posso vivere con qualcuno che… che segue questi ordini? È impossibile!»

«La colpa è tua quanto mia» disse lei. «Io non ho mai voluto trovarmi coinvolta in questa storia.»

Markov era disperato. «Cosa dobbiamo fare, Maria? Cosa dobbiamo fare?»

35

Washington

Se i nostri scienziati dovessero veramente entrare in contatto diretto con la nave aliena, qualunque cosa sia, e se tutto dovesse andare per il meglio, se il mondo intero ne beneficiasse, il presidente diventerà un santo, e la sua aureola getterà una luce molto favorevole sul nostro partito nelle prossime elezioni.

Però, se la nave aliena porterà problemi, che Dio ci aiuti.

Diario personale dell’onorevole Walden C. Vincennes, Segretario di Stato

Jo fissava lo schermo del terminale. Numeri e lettere non avevano significato; non riusciva a concentrarsi. Si alzò, raggiunse la balconata che correva attorno agli uffici. Giù nel Pozzo, il computer ronzava, accendeva e spegneva luci secondo uno schema complicato, troppo veloce per essere comprensibile all’uomo.

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