Arthur Clarke - Culla

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Un missile top secret che svanisce in volo. Un tridente d’oro che cambia sorprendentemente forma. Una caverna subacquea custodita da balene... Qualcosa si nasconde nel fondo marino al largo di Key West, un mistero in parte umano ma nello stesso tempo terribilmente alieno. Il suo potere è immenso e terrificante e potrebbe distruggere ogni forma di vita sulla Terra. Ma qualcuno ha deciso di scoprire il terribile segreto. E da quel momento non esiste più alcuna certezza, nessun luogo sicuro in cui nascondersi, nessuna alleanza su cui poter contare. Intorno a una giornalista bella e ambiziosa, disposta a correre qualsiasi rischio pur di arrivare alla verità, si stringe la rete di una cospirazione implacabile: spie militari, killer spietati, ma soprattutto una forza estranea e sconosciuta, le cui mosse nessuna mente umana potrebbe comprendere e prevedere... L’inesauribile immaginazione di Arthur C. Clarke spazia in questo nuovo romanzo dagli enigmi irrisolti del passato alle soglie indecifrabili del futuro, dagli infiniti oceani di stelle all’imperscrutabile fondo del mare. In un appassionante viaggio ai confini della realtà, Culla esplora i percorsi dell’avventura e dell’ignoto.

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«Rimane però il fatto» ripeté «che qui stiamo parlando di tradimento.» E, dopo aver atteso che venisse registrata stavolta questa sua minaccia, soggiunse: «E il tradimento, non occorre che glielo ricordi, signorina Dawson, è faccenda seria. Anche più del giornalismo». Una nuova esitazione ad effetto, poi, con voce grave: «Se uno qualunque di voi, a conoscenza della posizione in cui si trova questo missile, ha comunicato tale conoscenza a un membro di un qualsiasi governo straniero, e più particolarmente a uno considerato ostile ai nostri interessi nazionali, costui vi ha reso tutt’e tre colpevoli di tradimento».

«Ma che razza di droga fuma, lei, comandante?» replicò Carol. «Noi ammettiamo liberamente di aver cercato il vostro missile: il che non ci rende affatto delle spie! Voi non avete proprio niente da imputarci.» Un’occhiata a Nick, che stava ammirando la sua esibizione, poi: «In quanto a me, io sono semplicemente una giornalista che sta lavorando a un servizio. Quindi, questa faccenda del tradimento è una balla spudorata fabbricata di sana pianta da voi!».

«Ma sicuro, come no!» intervenne il tenente Todd, incapace di dominarsi più a lungo. «E queste foto, allora, dov’è che sono state scattate?» Ciò dicendo, esibì la foto di Troy in muta subacquea nella prima sala sottomarina dalle pareti rosse e azzurre. Poi, voltatosi, indicò gli zaini posati nell’angolo opposto del vano. «E che ci facevano i suoi due amici con ventidue chili d’oro al loro ritorno dall’immersione di stanotte?»

«Va bene, amico, va bene» fece Troy, calcando sul tono e facendo un passo verso di lui. «Tu hai capito tutto, vero? Noi avremmo trovato il missile e l’avremmo venduto ai russi per ventidue chili d’oro.» Quindi, sbarrandogli gli occhi in faccia: «E adesso il missile sta a bordo di un sottomarino in viaggio per Mosca o per chissà dove… Ma via, amico, sii serio: mica siamo tanto scemi!».

Il tenente Todd si lasciò prendere la mano. «Tu, bastardo nero» farfugliò prima che Winters scattasse a mettersi in mezzo. Winters aveva bisogno di tempo per pensare, perché, in fin dei conti, le domande di Todd non avevano ancora avuto risposta — e, anche se l’avessero avuta, e valida, non era difficile capire come, sulla base delle foto, uno avesse potuto concludere a una probabile cospirazione.

S’aggiungeva la questione della difesa degli atti degli ufficiali subalterni e della squadra investigativa. Mettere subito in libertà questi tre equivarrebbe sostanzialmente ad ammettere un errore da parte nostra… , stava pensando. Ramirez gli stava facendo dei segni, indicando con un cenno del capo l’uscita. Lui sulle prime non capì e Ramirez ripeté.

«Scusateci un secondo» disse Winters, uscendo con lui sulla veranda e lasciando Todd col terzetto. «Cosa c’è, tenente?» chiese.

«Signor comandante,» rispose Ramirez «la mia carriera è la Marina. Se adesso rilasciamo questi tre senza interrogatorio formale…»

«Più che d’accordo» lo interruppe bruscamente Winters. «Vorrei proprio che non fosse successo niente di tutto questo. Ma siccome lo è, ora dobbiamo metterci una toppa che si deve, o non avremo scusanti per ciò che abbiamo fatto.» Rifletté un minuto. «Quanto le ci vorrà per preparare le apparecchiature video e audio per un interrogatorio formale?»

«Trenta minuti circa» rispose Ramirez. «Quarantacinque al massimo.»

«Allora sotto. Mentre lei prepara gli aggeggi, io stenderò l’elenco delle domande.»

Vacca merda , si disse, osservando Ramirez dirigersi a passo sostenuto verso il proprio ufficio, all’altro capo della base. Qui finisce proprio che mi va via la notte. Pensò all’occasione perduta con Tiffani. Meglio chiamarla e spiegarle, mentre stendo l’elenco di ’ste domande. Poi, in un improvviso empito d’ira contro il tenente Todd: In quanto a te, se ne usciremo senza danni, farò personalmente in modo che ti trasferiscano in Bassa Cazzonia!

Erano le undici passate. Il tenente Todd stava vicino alla porta d’ingresso, con un manganello in pugno. L’aveva già usato una volta, quella sera: sulla schiena di Nick, all’arrivo suo e di Troy al parcheggio di Pelican Resort, per constrigerlo a montare in macchina.

E Nick sentiva ancora il bozzo.

«E quanto ci vorrà?» chiese Troy, in piedi accanto alla scrivania. «Non possiamo tornare a casa a dormire, adesso, e tornare lunedì mattina…?»

«Hai sentito cos’ha detto, no?» rispose Todd, chiaramente gongolante. «Sono andati a preparare un interrogatorio formale. Quindi sarà meglio che sfruttiate l’attesa a preparare una versione che stia in piedi.» E si batté il manganello sulla palma.

Troy si rivolse ai compagni e disse, strizzando l’occhio: «Bene, ragazzi: io sono per battercela. Leviamoci dai piedi ’sto coglione e filiamo».

«Provateci solo, stronzi!» riattaccò Todd, menando una manganellata ad effetto a una sedia vuota. «Niente mi piacerebbe di più che un vostro tentativo di fuga!»

Nick, che non aveva detto molto dall’uscita di Winters e Ramirez, gli si rivolse dall’altro capo del vano. «Sa cosa mi dà più fastidio in tutta la faccenda, tenente? Il fatto che gente come lei giunga in posizioni di potere o di autorità in ogni parte del mondo» continuò, senza attendere risposta. «Ma si guardi un po’: lei si crede di esser qualcuno solo perché ci ha in suo potere. Ebbene, si lasci dire una cosa: lei non vale una merda.»

Todd, la cui antipatia per lui era evidente, replicò sarcastico: «Se non altro, io, gli amici me li scelgo fra i bianchi».

«Ma senti, senti» intervenne rapido, con voce flautata, Troy. «Vuoi vedere che il nostro associato, tenente Todd, è magari un fanatico? E che noi si stia parlando con un autentico bianco-che-più-bianco-non-si-può! Vediamo se la sua prossima parola sarà “negraccio”…»

«Ragazzi, ragazzi,» intercedette Carol, mentre Todd stava per muovere verso Troy «basta una buona volta, su!» Nessuno aprì più bocca. Troy tornò a sedere accanto agli amici.

Un minuto dopo, si sporgeva verso di loro e bisbigliava, col braccialetto d’oro accanto alle labbra: «Sapete, gente, se non ce ne andiamo alla svelta, c’è caso che restiamo qui tutta la notte. Le domande, m’immagino, dureranno tre o quattro ore, e questo significa che la Marina arriverà prima di noi al punto d’immersione».

«Ma che possiamo fare?» domandò Carol. «Sarebbe un miracolo se ci lasciassero andare così, senza domande.»

«Ed è proprio quello che ci occorre, angelo: un miracolo» sorrise a tutta faccia Troy. «Un bel miracolo vecchio stampo, tipo fata turchina.»

«Ehi, stronzi, che avete da parlottare?» fece il truculento Todd, avviandosi all’estremità sinistra de! lungo vano verso il gabinetto. «Piantatela, e levatevi dalla testa di tentare qualcosa. La porta è chiusa dall’esterno, e la chiave ce l’ho io.» Entrò nel gabinetto lasciandone aperto l’uscio, ma, per fortuna, la tazza era fuori vista, sulla destra.

Il fondo del piccolo gabinetto era scarsamente illuminato. Mentre terminava di orinare, Todd avvertì una strana sensazione in tutta la destra del corpo, come di mille spilli che lo pungessero. Sconcertato, si volse verso l’angolo. E vide una cosa che lo scioccò di terrore.

Nell’angolo, semicelata dalla poca luce, c’era quella che poteva definirsi solo come una carota alta un metro e ottanta. La parte più grossa si reggeva in equilibrio su quattro zampe palmate aperte sul pavimento. Non c’erano braccia, ma, a un metro e mezzo circa da terra, e immediatamente al di sotto di un groviglio di spaghetti azzurri dalla funzione ignota che spiccava sopra la “testa”, c’era una “faccia” con quattro fessure verticali lunghe trenta centimetri ciascuna, dalle quali pendeva qualcosa di inidentificabile (Troy avrebbe spiegato più tardi a Nick e a Carol che si trattava di sensori, ossia di estensioni pendule usate dalla carota per vedere, udire, odorare e gustare).

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