— Con quegli abiti non ne avete proprio l’aria.
— Un telepatico, vero? — disse Glaustrab e si passò imbarazzato una mano sui pantaloni. — Be’, io non ci faccio caso. Fortunatamente ho la coscienza pulita.
— Vi invidio. Pochi possono dire la stessa cosa.
L’altro si accigliò, perché la frase gli era parsa ironica. — Che cosa posso fare per voi?
— Avete un cliente che si chiama Arthur Kayder?
— Sì, la sua causa verrà discussa domani mattina. — Scosse lentamente la testa. — Dovrò difenderlo con tutta la mia abilità, ma temo che la mia fatica andrà sprecata.
— Perché?
— È accusato di aver fatto pubblicamente minacce d’omicidio, e dato che la parte lesa è assente l’accusa verrà sostenuta dal pubblico ministero. Questo rende il mio compito molto più difficile. Le minacce sono registrate su nastro audiovisivo. Questo nastro verrà presentato alla Corte, e io non potrò negare l’evidenza. — Guardò Raven con aria triste. — Siete un suo amico?
— Sono il suo peggior nemico, per quanto mi risulta.
Glaustrab fece una risatina forzata. — Immagino che stiate scherzando.
— Vi sbagliate, Sammy. Sono l’uomo che lui voleva uccidere.
— Eh? — Spalancò la bocca, poi si piegò sulla scrivania e sfogliò nervosamente alcune carte.
— Vi chiamate David Raven?
— Esatto.
Glaustrab pareva completamente sconvolto. Si tolse gli occhiali, li appoggiò sulla scrivania, se li rimise e li cercò sulla scrivania.
— Li avete sul naso — lo informò Raven.
— Come? — Si scosse di colpo, poi rimase un attimo impacciato. — Già. Che sciocco. — Si rialzò, e infine tornò a sedersi. — Bene, voi siete il signor Raven. Il testimone d’accusa!
— Chi ha detto che voglio testimoniare contro il vostro cliente?
— Lo immagino. Essendo tornato alla vigilia del processo io…
— Supponiamo che non mi presenti al processo… Cosa succederebbe?
— Niente. Le prove registrate saranno più che sufficienti per farlo condannare.
— Già, ma solo perché si presume che io confermi i capi d’accusa. Cosa succederebbe se dicessi di sapere che Kayder stava scherzando?
— Signor Raven, volete dire che… — Le mani di Glaustrab cominciarono a tremare. — Credete veramente che lui…
— Non lo credo affatto. Parlava seriamente. Kayder avrebbe voluto sdraiarsi su cuscini di seta e gioire delle mie grida mentre gli insetti mi divoravano.
— Allora perché… Perché? — chiese Glaustrab, confuso.
— Preferisco uccidere un uomo con le mie mani piuttosto che fargli perdere anni in una prigione. In ogni modo, non penso che Kayder debba essere rinchiuso soltanto perché ha gridato delle minacce. — Guardò fisso Glaustrab. — Che ne pensate?
— Chi? Io? No… No di certo! — Glaustrab si mosse a disagio. — Avete intenzione di comparire al processo per difendere il mio cliente?
— No, se c’è un sistema più semplice.
— Potreste rilasciarmi una dichiarazione giurata — suggerì l’avvocato, con un tono misto di dubbio, sospetto, e speranza.
— Per me va bene. Dove devo giurare?
Glaustrab afferrò il cappello, cercò gli occhiali sulla scrivania, li trovò sul naso e fece segno a Raven di seguirlo. Scesero di due piani ed entrarono in un altro ufficio dove c’erano quattro uomini. Col loro aiuto preparò il documento, e Raven, dopo averlo riletto attentamente, firmò.
— Eccovi a posto, Sam.
— È stato molto generoso da parte vostra, signor Raven. — Strinse il foglio tra le dita e con la mente vide la scena che si sarebbe svolta al processo, quando si sarebbe alzato in mezzo alla sala silenziosa per presentare il documento. Un vero colpo di scena. Per una volta tanto, Glaustrab era felice. — Molto generoso — ripeté. — Il mio cliente apprezzerà il vostro gesto.
— È quello che voglio — disse Raven cupo.
— Sono sicuro che potrete contare su di lui e… — Improvvisamente Glaustrab cambiò espressione. Gli era venuto il terribile sospetto che la dichiarazione firmata da Raven avesse un prezzo. — Come avete detto?
— Voglio che il vostro cliente apprezzi il mio gesto. Voglio che mi consideri una specie di Babbo Natale, capite? — Puntò l’indice contro il petto dell’avvocato. — Quando un branco di tipacci vuole la tua pelle, basta un po’ di gratitudine per creare discordia nelle loro file.
— Davvero? — Glaustrab osservò che quella mattina certi concetti gli sfuggivano. Si portò una mano alla tempia.
— Questa volta li avete in tasca — disse Raven, e uscì.
La casa era piacevolmente silenziosa, e Leina lo stava aspettando. Raven lo sapeva con certezza. La vostra donna , aveva detto Thorstern in tono di riprovazione. Tuttavia la loro unione, per quanto non convenzionale, era perfettamente priva di immoralità.
Si fermò vicino al cancello a osservare la specie di cratere che si era aperto nel campo vicino. Era abbastanza grande per contenere un taxi antigravità. A parte la strana buca, i dintorni della casa erano esattamente come li aveva visti l’ultima volta. Alzò lo sguardo verso il cielo per osservare la scia bianca di un’astronave da carico diretta verso Marte.
Avviandosi alla porta girò la maniglia e scostò il battente servendosi della forza telecinetica, come aveva fatto Charles per aprire il cancello della fortezza di Thorstern. Leina lo stava aspettando in soggiorno. Teneva le mani intrecciate sulle ginocchia e aveva gli occhi scintillanti di gioia.
— Sono leggermente in ritardo. — Raven non disse altro, né la baciò. La loro felicità era evidente e non aveva bisogno di futili espressioni fisiche. Non l’aveva mai baciata, non aveva mai desiderato di farlo, né l’avrebbe mai fatto. — Mi sono trattenuto per togliere Kayder dai guai. Prima della mia partenza era necessario metterlo in condizioni di non nuocere. Ora non è più necessario. Le cose sono cambiate.
— Le cose non cambiano mai — disse Leina.
— Mi riferivo alle piccole cose, non alle grandi.
— Sono le grandi che contano.
— Hai ragione, Occhi Lucenti, ma non sono d’accordo su quanto vuoi dire. Anche le piccole cose hanno una loro importanza. — Sotto lo sguardo fermo di Leina, Raven giudicò opportuno giustificarsi — Non vogliamo che si scontrino coi Deneb… ma non vogliamo neanche che si distruggano da soli.
— La seconda soluzione sarebbe il minore dei due mali… Spiacevole, ma non disastrosa. I Deneb non apprenderebbero niente.
— Non potranno mai essere più edotti di quanto sono.
— Può darsi — disse Leina. — Ma tu hai gettato alcuni semi di conoscenza proibita. Prima o poi, sarai costretto a estirparli.
— Intuizione femminile, vero? — Raven sorrise come un bambino malizioso. — Anche Mavis la pensa come te.
— E ha ragione.
— Quando arriverà il momento, i semi potranno venire distrutti, dal primo all’ultimo. Lo sai benissimo.
— Certo. Tu sarai pronto e io sarò pronta. Dove andrai tu verrò anch’io — disse Leina con fermezza. — Tuttavia penso ancora che il tuo intervento non sia stato opportuno. Hai corso un grosso rischio.
— A volte è necessario. Comunque, la guerra è finita. E in teoria l’umanità è ora in condizioni di concentrarsi e di proseguire il suo cammino.
— Perché dici in teoria ?
Raven si accigliò. — Può darsi che si scateni un nuovo e diverso conflitto.
— Capisco. — Leina andò alla finestra e rimase a osservare il paesaggio. — David, in un caso simile, intendi intervenire una seconda volta?
— No, decisamente no. Questa guerra verrebbe scatenata contro quelli che sono della nostra stessa specie e contro quelli ritenuti come noi. Non mi sarà data la possibilità di intervenire. Verrò colpito senza il minimo avvertimento. — Si avvicinò a Leina e le mise una mano sulla spalla. — Potranno colpire anche te, nello stesso modo e nello stesso momento. Ti preoccupa?
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