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James White: L'astronave del massacro

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James White L'astronave del massacro

L'astronave del massacro: краткое содержание, описание и аннотация

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A non pochi lettori, l’apparizione in un’orbita vicina al nostro pianeta di questa gigantesca e silenziosa astronave, ricorderà l’arrivo, in una sperduta baia sudamericana, del misterioso veliero di Benito Cereno. Anche qui — come nel famoso romanzo di Herman Melville — gli uomini mandati a prendere contatto con l’equipaggio si trovano di fronte a una enigmatica situazione: chi comanda, in realtà, a bordo? Chi sono i “buoni” e chi i “cattivi” ? Ma questo classico tema marinaresco si complica presto di tutte le snervanti, contraddittorie, confusionarie difficoltà che possono affliggere una moderna missione spaziale: la burocrazia militare, l’opinione pubblica, la televisione, l’impotenza tecnologica, la responsabilità di decidere — per chi è prigioniero nei labirinti della nave — sulla vitale questione: massacrare o lasciarsi massacrare?

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— Giusto — concordò McCullough.

— Era logico! — scattò Walters con voce stridula, quasi isterica. — Voi siete sempre d’accordo. Non sapete far altro!

— Io penso che Morrison volesse fare qualcosa — intervenne Berryman. Spostò con apprensione gli occhi da Walters a McCullough. Poi tornò a guardare Walters. — Il dottore è una persona accomodante, anche se a volte è difficile capirlo. Io stesso vorrei vederlo di tanto in tanto comportarsi in modo più clinico, e magari sentirlo parlare in modo un po’ volgare. Se non altro, avrebbe dovuto sezionarci mentalmente per qualche giorno e spiegarci le vere relazioni tra noi e il nostro primo orsacchiotto, e mostrarci quale mostruosa perversità ci sia sotto la nostra calda e cordiale facciata esteriore. Ma lui non vuole parlare come uno psicologo, né lo vuole sembrare, né tanto meno vuole ammettere di esserlo. Berryman stava tentando il possibile per appianare le cose. C’era quasi riuscito e girò lo sguardo, come per chiedere un po’ di collaborazione da parte del dottore.

— Ecco — disse McCullough — voi, se non altro, dovreste anzitutto capire che io sarei uno psicologo eisenckiano, piuttosto che freudiano, e che quindi non avrei mai occasione di usare il divano per i consulti. Però c’è stato un periodo in cui ho fatto valide ricerche, se posso dirlo, sul comportamento e sulla psicologia dei vermi. Alcuni fatti mi hanno lasciato assai perplesso — continuò. — Avevano numeri al posto dei nomi, quindi non esiste il problema della rivelazione immorale di informazioni private e intime. Avevano inoltre un grado di intelligenza tanto bassa da costringerci all’uso di leggere scariche elettriche per stimolarli sessualmente.

Berryman scosse la testa.

— Be’, io ho tentato — disse McCullough mostrandosi offeso. Poi continuò: — In quanto al blaterare come uno psicologo e a premere i vostri pulsanti mentali, sarebbe stata una perdita di tempo. Voi siete molto equilibrati, autocoscienti, intellettualmente e sentimentalmente onesti, e già molto padroni della terminologia. Un qualsiasi problema che si presenta, viene immediatamente riconosciuto, classificato e risolto con la persona in questione. Quindi, io non ho niente da fare, anche se in teoria dovrei fare qualcosa.

Ci fu un silenzio che durò circa un minuto, poi Walters disse: — Mi spiace di essermela presa con voi, dottore. Se avessi usato il cervello mi sarei reso conto che chi vuole litigare con uno psicologo, finisce sempre col venire lusingato.

— Proprio quello che intendevo — disse McCullough a Berryman. — È riuscito anche a capire il mio sottile tentativo di mantenere la concordia per mezzo dell’adulazione.

Berryman fece un cenno affermativo.

— Se solo gli stranieri dell’Astronave fossero dei vermi…

Su un piano più ampio, più obiettivo, la situazione non era decisamente normale. All’interno del P-Due lo spazio non occupato dagli apparecchi di controllo, di comunicazione e tutto il resto, non lasciava possibilità di fare movimenti, né di trovare solitudine. I passeggeri dovevano vivere in uno spazio di due metri e dieci per un metro e venti, spazio ridotto ancora dalle cuccette, dai quadri di comando e dalle apparecchiature. Nessuno si poteva muovere per più di pochi centimetri, senza urtare un gomito o un ginocchio contro la faccia o lo stomaco di qualcuno. A causa poi delle limitate riserve di ossigeno, le passeggiate fuori dallo scafo non potevano superare il totale di due ore alla settimana, e quindi quegli uomini non potevano restare soli per un periodo di tempo necessario ai normali introversi. Rimanevano così sdraiati nelle loro cuccette per qualche ora al giorno, a fare esercizi, massaggiandosi i muscoli, parlando o no, e ascoltando i segnali in arrivo.

In un abitacolo che non si poteva nemmeno confrontare con le celle dei peggiori istituti penali, l’equipaggio del P-Due, e forse anche quello del P-Uno, viveva in un clima non sempre pacifico. Ognuno cercava di essere cortese e riguardoso con gli altri, ma non troppo. La costrizione di tenere continuamente a freno la lingua e di essere sempre cortese, poteva procurare uno sforzo emotivo che avrebbe portato inevitabilmente alla violenza.

Gli uomini erano quasi sempre di cattivo umore e si mantenevano sensibili ai cambiamenti potenzialmente pericolosi dell’atmosfera. Se si accorgevano che il motivo del loro malcontento o del loro sarcasmo cominciava a incrinarsi, lasciavano che le loro battute assumessero proporzioni ridicole. Si abituarono a questo genere di cura psicologica, ma erano sempre soggetti anche alle violente pressioni esterne.

La Terra aveva deciso di affidare la missione a un gruppo di astronauti bene addestrati, anziché a un gruppo di ottimi scienziati, a indagare nell’Astronave straniera; e questa, considerata la situazione, era stata un’ottima idea. Però la Terra desiderava disperatamente che nei confronti dell’Astronave tutto si svolgesse nel migliore dei modi: voleva che si stabilissero dei cordiali contatti sociali e culturali e che si scoprissero più cose possibili sulla scienza e sulla tecnologia degli stranieri. Insomma, stava facendo di tutto per trasformare gli astronauti in scienziati.

La debolezza dei segnali e il fragore dei disturbi durante certe lezioni erano a volte irritanti. Il vero guaio era che le lezioni stesse erano un continuo promemoria di ciò che aspettava gli astronauti alla fine del viaggio.

Qualunque persona normale sarebbe stata pronta ad affrontare un problema ben definito. Ma non sapendo niente di niente, tranne che si trattava di una questione di vita o di morte, e che si doveva in qualche modo risolverla, anche la persona più equilibrata avrebbe mostrato segni di tensione.

Ora gli astronauti si trovavano a tre settimane dall’Astronave straniera…

Dopo una lezione del tutto incomprensibile, tanto da essere quasi pura fantascienza, Walters disse: — Sarebbe bello potere semplicemente stendere le mani nel gesto universale di pace. Ma quale può essere il gesto universale di pace per un polpo o un vegetale intelligente?

“Noi, di solito, non facciamo gesti di pace agli animali o alle piante, e il loro comportamento verso di noi può essere ostile oppure difensivo. Le tartarughe si ritirano nel loro guscio, i polpi spandono inchiostro, e molte piante si coprono di spine. Io direi che se un animale o un essere si comporta normalmente all’avvicinarsi di uno straniero, se non compie nessuna azione offensiva o difensiva, allora significa che, o è fondamentalmente pacifico, o soffre di una diminuzione degli apparati sensori, o forza cerebrale che sia. Ma questa è una risposta non del tutto soddisfacente, dato che possiamo trovarci di fronte a degli esseri le cui reazioni normali possono sembrarci strane quanto lo sono quelle anormali. Non so.”

— Supponiamo — ipotizzò Berryman — che l’Astronave, a parte le zone destinate ai reattori e alle apparecchiature di comando, sia zeppa di una sostanza sabbiosa ricca di vitamine, e che questa sostanza sia adatta a rigenerare gli elementi per la nutrizione e a eliminare gli scarti. L’arredamento, le cuccette, e via dicendo sarebbero virtualmente mancanti, e le leve di comando e i… pedali dovrebbero essere disposti tutto attorno, e forse anche all’interno del meccanismo stesso da controllare. La creatura potrebbe attorcigliarsi e insinuarsi dentro la macchina che opera…

— Non torniamo a parlare dei vermi! — lo fermò Walters.

— Io parlo di una creatura intelligente e vermiforme — ribatté il comandante pilota. — Un verme che è rimasto fuori dal suo buco il tempo sufficiente per guardare in alto e meravigliarsi delle stelle.

— Poetico! — disse Walters.

— Chiudete il becco, voi. Parlo di un verme che ha sviluppato un’intelligenza e un grado di cooperazione da permettergli una civiltà e un progresso tecnologico. E ora dottore, supponiamo che voi vi veniate a trovare di fronte a un individuo di questa specie. Con la vostra particolare conoscenza sulla fisiologia e sulle cause che ci portano ai primitivi antenati di questi esseri, potreste arrivare a una comprensione con loro?

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