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John Shirley: La musica della città vivente

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John Shirley La musica della città vivente

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Il tema della città è stato più volte sfruttato in fantascienza, da quelle volanti di James Blish a quelle del lontano futuro di Clifford Simak. Ma nessuno, prima di John Shirley, aveva esplorato con tanta efficacia il mito della città vivente, organismo tipico del XX secolo e dintorni. Se le città hanno davvero un’anima, è possibile che sia maligna? E ammesso che si tratti di organismi senzienti, è concepibile che il rock sia l’equivalente della loro musica delle sfere? Lo scoprirà il lettore in questo thriller metropolitano ante-litteram, il libro che alla fine degli anni Settanta consacrò John Shirley come uno dei più promettenti autori di fantascienza moderna.

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Lo disse senza esitazioni. Lo avesse detto chiunque altro, Cole si sarebbe messo a ridere. Nessuno può dare un’occhiata a uno sconosciuto e conoscerlo come se avesse trascorso con lui tutta la vita. Nessuno tranne Catz. Catz possedeva un dono. Una volta, un ricercatore della Duke University le aveva offerto valanghe di soldi se avesse accettato di sottoporsi a test sulla percezione extrasensoriale. Ma Catz aveva rifiutato. Catz vede solo quando lo vuole, quando l’intuizione le dice che è il momento giusto. Quindi, Cole sapeva di potersi fidare del suo giudizio: era il giudizio del suo dono. E così Cole seppe chi era lo sconosciuto. Ed ebbe paura.

Catz tornò sul palco. D’improvviso, il club Anestesia parve soffocante. Il fumo della droga e il fumo delle sigarette e la miriade di uomini esagitati afferrarono Cole alla gola. Era sul punto di stare male. Disse a Bill di badare al banco e uscì.

Si fermò sul marciapiede, respirò l’aria frizzante della primavera.

Non riusciva a stare fermo. L’energia in eccesso lo costringeva a passeggiare in su e in giù davanti al locale.

Non era uscito solo per prendere una boccata d’aria. Era uscito per accertarsi di qualcosa.

Guardò la città.

Il traffico era intenso: gente in cerca di prostitute da due soldi, ragazzi in macchina. I clacson gemevano e ululavano, i fari abbagliavano, i ragazzi urlavano frasi senza senso dai finestrini delle auto. Qualcuno tirò una bottiglia a Cole. La bottiglia rimbalzò sul muro alla sua destra. — Stronzo — mormorò lui, distratto. I piani dei palazzi erano stratificazioni di luce: l’azzurro chiaro dei televisori nei soggiorni bui. il bianco accecante dei bagni, le luci multicolori dei party. Insegne rosa al neon reclamizzavano i locali porno, e una brezza lieve smuoveva la sporcizia accumulata nelle grondaie.

— Fratello, posso chiederti un piacere…

Cole lanciò al barbone la sua carta dell’Interfondo, restò a guardarlo mentre raggiungeva la cabina del Tif all’angolo, mentre inseriva la carta di credito nel terminale. — Non più di un dollaro o ti rompo il muso! — urlò Cole. Il barbone, senza sorridere, gli restituì la carta. Adesso aveva un dollaro sul suo conto, poteva permettersi mezzo litro di vino.

Il barbone trottò via. Cole infilò le mani nelle tasche dei calzoni, fece una smorfia. Il grembiale che portava ancora svolazzava al vento. Dal locale all’angolo uscivano fumi putridi, e l’odore di vino rancido e di pizza ancora più rancida, quella che vendevano a cinquanta centesimi al taglio. Il marciapiede ospitava prostitute, qualche punk, accattoni, e una donna che portava a passeggio un barboncino con la sinistra infilata nella borsa, probabilmente serrata sul calcio di una pistola.

Dal club continuava a uscire la disco music. Catz non aveva ancora attaccato la seconda parte dello spettacolo. Cole sorrise, ricordando le discussioni sulla disco che aveva avuto con lei. Catz diceva che ormai erano solo i computer a produrre disco music, sulla base di studi psicologici, di rilevamenti di tendenza, per cui la disco risultava conforme allo status quo, cioè era uno strumento della repressione, un sedativo sociale che aiutava a mantenere l’ordine esistente. Il rock ’n ’roll come forma di potere. E Cole si metteva a ridere e ribatteva che ogni tipo di musica popolare riflette lo status quo o il desiderio di esserne parte, e che lui cercava solo di mandare avanti il club secondo i gusti dei clienti. Due volte l’anno faceva svolgere un’indagine dalle cameriere, per esempio chiedeva che genere di musica preferissero ascoltare i clienti negli intervalli dello spettacolo dal vivo, e quasi tutti volevano la disco. Era per quello che Cole ogni tanto poteva ingaggiare band strane, band radicali come quella di Catz Wailen; perché giungeva a compromessi in altre cose. E perché la maggioranza dei gruppi che ingaggiava erano gruppi normalissimi, band che eseguivano i pezzi alla moda. Ma Catz rispondeva che lui faceva il ruffiano con una mentalità fascista, e aggiungeva: — In ultima analisi, mio caro Cole, tu sei un collettivista. Vai matto per la volontà del popolo. Io sono un’individualista. — E Cole ribatteva qualcos’altro e le discussioni non finivano mai, continuavano a girare su se stesse come la disco music.

La disco s’interruppe quando Catz urlò nel microfono: — Spegnete subito quella musicaccia idiota! — La sua voce amplificata risuonò su e giù per la strada. Le puttane risero, la gente accelerò il passo.

La musica di Catz aggredì la strada, fece vibrare i lampioni. Cole aveva la mano contro un lampione, sentì il basso vibrare nella colonna d’acciaio. Assalito dal desiderio di sfuggire per un po’ al rumore, di sottrarsi al tono d’accusa della voce di Catz che quella sera sembrava diretto, sotto sotto, proprio a lui, Cole si allontanò dal club. Le mani in tasca, passeggiò in direzione sud, fermandosi ogni tanto a parlare con qualcuno, con gli sfaccendati che alla luce dei lampioni tessevano discorsi grandiosi, discorsi inutili… Cole che annuisce e dice: — Sul serio? Mi pare una buona idea, se riesci a trovare il capitale — quando Mario gli racconta che sta per avere un successo bestiale nel campo dell’abbigliamento perché la sua vecchia ha inventato i jeans senza fondelli, i jeans che sul sedere hanno un pezzo di stoffa trasparente, e così gli basterà trovare qualcuno disposto a investire per farla finita coi debiti. E Cole che dice: — Ti è sempre piaciuto guardare i sederi, Mario. — Gli altri ridono: filippini di Mission Street che hanno voglia di menare le mani. Cole offre sigarette, rifiuta l’offerta di Mario di diventare il finanziatore della sua fabbrica di jeans, finge di tirare una boccata dallo spinello che qualcuno gli offre, e infine se ne va.

Parla col nero dal piede deforme che lavora al negozio di film porno iridi, guarda gli ultimi visori che gli mostrano coiti ripresi dal vero, osserva con scarso interesse gli schermi su cui passano i film: le figure, nella moltitudine di accoppiamenti, si fondono in un unico grumo di carne. Pensandoci, sospetta di essere andato a trovare il nero perché sperava di provare un po’ di desiderio, magari anche solo una briciola, davanti ai riti olografici di fertilità. Così, per controllare, per vedere se le cose sono cambiate. E invece no, nessun desiderio, nemmeno una mezza erezione… Ride cortesemente davanti alla catasta di vecchi libri che il nero, sogghignando, gli mostra nella stanza sul retro. Nessuno legge più libri pornografici. Vanno solo le riviste e i trivisori e i film e i multistimolatori. — Sono cinque anni che tengo qui questi fottuti libri. Pensavo che li avrei venduti — dice il vecchio, tornando in negozio col suo passo claudicante. — Venduti un corno. Be’, almeno quest’inverno posso bruciarli se mi tolgono di nuovo il riscaldamento. In merda anche il razionamento dei combustibili.

Cole disse che era d’accordo e tornò in strada. Superò tre prostitute nere. L’unica che non lo conosceva gli fece l’offerta di rito: — Vuoi venire con me? — Le altre due finsero, per scherzo, di volerlo sedurre, e Cole finse interesse. — Ma voi non chiedete abbastanza, signore. Per gambe così belle io non pago meno di 737.000 crediti. Però non posso farvi una cosa del genere. Quelli delle tasse vi spellerebbero vive.

— Merda. Io ci sto per un bicchiere gratis nella tua fogna.

— In una fogna non ti servono da bere, puttana.

— Volevo dire in quel meraviglioso locale pubblico di tua proprietà, tesoro.

— Tesoro, eh? Meraviglioso locale pubblico, eh? Se fai un salto a mezzanotte, per un complimento del genere ti offro un brandy e tutto quello che vuoi.

Le altre si unirono immediatamente alle lodi. — Ne ho sentito parlare su Bon Appetit. Ehi, uomo, ma io ho visto di recente la tua foto su una rivista, giuro.

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