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John Sladek: Il sistema riproduttivo

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John Sladek Il sistema riproduttivo

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Classico romanzo d’automazione, ma anche di indiavolato divertimento, ha considerato John Sladek fra i grandi della fantascienza e la sua pubblicazione in questa collana non poteva mancare. Molte volte la SF si è occupata di macchine, ma mai con il vigore e l’astuzia di questo grande libro: infatti, che cosa accadrebbe se un giorno venisse inventata la macchina capace di figliare? Un interrogativo che quando il romanzo fu scritto sembrava del tutto utopico e futuribile, ma che oggi, in tempi di robot industriali, ha assunto un nuovo, sinistro colorito senza perdere nulla dell’originario divertimento. Se le macchine di tutto il mondo trovassero davvero il sistema di riprodursi da sole, qualcuno, sulla Terra, sarebbe di troppo…

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Ma poi la scena si immobilizzò, come un film bloccato nel proiettore. E, come avviene quando una pellicola si blocca, tutto si raggrinzì, bruciò e svanì, lasciando solo un vuoto luminoso e bianco.

Capitolo Quinto

M.I.T.

«O buone usanze di quei tempi antichi, in cui la spada serviva il diritto.»

SPENSER

Cal era cresciuto in una fattoria del Minnesota. Suo padre, Codman Potter, era taciturno persino per un contadino. In effetti, Cal ricordava di avere sentito parlare suo padre due sole volte in vita sua. Codman sembrava un pozzo senza fondo di saggezza: tutte le volte che parlava, la famiglia veniva presa dal panico.

La voce terribile si era fatta udire la prima volta quando Cal aveva otto anni. Sua madre gli aveva regalato un libro delle favole di Esopo, e una sera lui stava sdraiato sul pavimento del soggiorno, leggendo la storia delle rane che volevano un re. Suo padre lo guardò e disse a voce alta:

«C’è un mucchio di cose che non s’imparano sui libri. I libri servono solo a rovinarti gli occhi. È la vita che è importante, non gli stramaledetti libri.»

Atterrita, la madre di Cal gli aveva portato via il libro e l’aveva bruciato. Lui non si era mai sognato di fare obiezioni. Da quella volta in poi, si era limitato a sfogliare le lezioni, a scuola, e aveva evitato di portare a casa gli odiati libri. A casa, il suo unico peccato consisteva nello sbirciare le diciture sulle scatole dei fiocchi di cereali: «Niacina, Tiamina, Riboflavina…» Senza dubbio, pensava, poteva leggere, purché non ci capisse niente.

L’idea di leggere solo le cose illeggibili gli era rimasta fino a quando aveva chiesto al padre il permesso di studiare latino e greco.

«Cosa? Se vuoi andare all’università, per Dio, ci andrai per diventare ingegnere. Altrimenti te lo darò io il latino!»

Allora Cal andò al Miami Institute of Technocracy per diventare ingegnere. Alla stazione, Codman gli rivolse un cenno del capo per tutto saluto.

L’M.I.T. era piccolo. C’erano solo venti studenti e un professore, e nella classe di Cal c’erano solo altri tre allievi. L’intera scuola occupava un grande stanzone sopra una lavanderia a secco. Negli anni che seguirono, Cal avrebbe sempre associato l’odore dei prodotti chimici e il sibilo del vapore al dottor Elwood Trivian.

«Tu nutri un interesse per gli inimicabili classici? Lo lodo, giovanotto. Ahimé, qui non abbiamo tempo di insegnarli. Cogita: sono inutili. Debbo deplorarti a studiare la scienza, e la scienza soltanto.

«Io stesso ebbi una meticolosa istruzione nei classici, e oggi altro non sono che un umile pedagodo. Oh, guadagno meno qui in un intero anno di quel che percepirei in una sola settimana nelle ferrovie, a guidare un treno! E questo non richiede affatto erudizione!»

A metà del corso, Cal cambiò la materia fondamentale, passando da Arte dell’Ingegneria all’Arte della Biofisica. Scrisse a suo padre che questa aveva più a che fare con la vita. In un certo senso, diceva la verità, perché gli permetteva di sedere accanto a Mary Junes, che egli amava.

Mary non ricambiava il suo amore; probabilmente non l’avrebbe mai amato; non sapeva nemmeno come si chiamasse. Sembrava che lei amasse Harry Stropp, il loro compagno di classe alto, robusto e bruno, che aveva scelto di laurearsi in Educazione Fisica.

Mary era una ragazzotta cicciottella, dall’aria dura, con una gran massa di capelli gialli che sembravano cotone sudicio. Indossava sempre maglioncini presi a prestito, assortiti e combinati con calzoni e calzoncini presi in prestito. Aveva la mania delle pastiglie nere per la tosse. Il suo alito sapeva di mentolo, le sue mani erano sempre appicciccose, e la sua bocca larga e sciatta era macchiata di nero. Cal sognava di imprimere un bacio su quelle labbra gommose.

Lui aveva combinato le cose per sederle vicino in tutti i corsi: Attualità (in cui il dottor Trivian leggeva a voce alta il suo quotidiano del mattino), Prassi Fonica e Valutazione della Termodinamica. Lei, comunque, continuava a passare le notti con Harry.

Barthemo Beele, il quarto allievo della classe e studente di Giornalismo, pubblicava la rivista ciclostilata della scuola, The MIT Worker’s Torch. E lamentava energicamente che Mary e Harry si facessero vedere a baciarsi in pubblico, in editoriali intitolati: «Non c’è più pudore?»

Un giorno Harry si buscò un raffreddore. Dopo aver resistito durante le lezioni del mattino, si arrese e andò a casa. Mary si gettò deliziosamente in bocca una pastiglia nera per la tosse e strizzò l’occhio a Cal. «Come ti chiami?»

Dopo una settimana Harry si alzò dal suo letto di dolore, e scoprì che Cal gli aveva portato via la ragazza.

«Non me ne importa,» disse lui, flettendo il braccio robusto e studiandosi il bicipite. «Non è l’unico sasso sulla spiaggia. Ci sono tanti altri pesci nel mare.» Si isolò da tutto e da tutti, andò a nuotare e a pescare da solo, e fece una quantità di footing sul tetto sopra l’aula scolastica. Cal si sentiva terribilmente colpevole ogni volta che sentiva il suono delle tristi e gigantesche scarpe da tennis che correvano instancabili sul tetto.

The MIT Worker’s Torch assegnò a Cal il compito di pronunciare il discorso di chiusura dell’anno scolastico. Lo stesso giorno, annunciò il fidanzamento di Miss Mary Junes con Barthemo Beele.

«Quando è successo?» chiese Cal a Mary, levando il foglio ciclostilato con mano tremante.

«Oh, sai, quella notte della settimana scorsa, quando tu avevi da studiare?»

«Ma… fidanzati

«Già. Subito dopo la laurea, io e Barty andremo a vivere da qualche parte nel West, dove lui ha già un ottimo posto di direttore d’un giornale. Non è magnifico?»

Magnifico. Nei giorni che seguirono, Cal non sapeva più quello che faceva. Pianse senza vergognarsene, strappò tutti i biglietti di lei («Posso prendere a prestito la tua maglietta, tesoro? Grazie, M.»), e fece lunghe passeggiate, qualche volta evitando tutti i luoghi che gli ricordavano il suo amore, altre volte cercandoli. Cominciò a pensare che avrebbe potuto diventare uno scienziato impegnato, dedito alla ricerca della verità.

Quasi tutti i cento e più laboratori, fondazioni e accademie cui aveva fatto domanda per ottenere uno stanziamento di ricerca gli risposero che non avevano bisogno di detentori della laurea piuttosto insolita in Arti Biofisiche. Ma il Laboratorio di Ricerche Wompler inviò una lettera piena d’interesse e una scheda IBM da compilare e da rendere. Nel minuscolo riquadro della scheda dove doveva scrivere il nome della sua scuola c’era posto solo per la sigla MIT. A stretto giro di posta gli arrivò la lettera d’assunzione.

The MIT Worker’s Torch continuò la sua campagna moralizzatrice (ora diretta contro il direttore e la sua fidanzata) fino all’ultimo giorno. Il dottor Trivian tenne un discorso commovente ai suoi quattro nuovi laureati, anche se in gran parte le sue parole furono sommerse dai sibili del vapore provenienti dal piano di sotto, dove vivevano le camicie.

«Oh, non preoccupatevi,» disse Cal. Gli sembrava di stare ancora cercando di acchiappare la cellula fuggiasca, ma continuava a trovarsi in mezzo a nubi bianche. Vapore?

All’improvviso si accorse che le nuvole erano vere: lui stava guardando il cielo. Rotolò su se stesso e si levò a sedere, con le mani affondate nell’erba fresca.

Un cassetto di schedario con la scritta «Segreto» gli passò davanti, inseguito da una torma di individui in camice bianco. «Fermatelo! Acchiappatelo!»

Che strano, pensò Cal con un sorriso tollerante. Inseguire i cassetti degli schedari. Si avviò intorno all’edificio. Altre scatole, fatte di bidoni della spazzatura, armadietti, cartelli piegati, brulicavano sul prato, inseguite da figure umane. Presso la recinzione un gruppo di Marines aveva montato una mitragliatrice leggera. Adesso si stavano difendendo metodicamente dai lenti, ottusi, metodici attacchi di un fornello e di una piccola cassaforte che operavano in tandem. Finalmente un carrello elevatore a forcone arrivò a precipizio, afferrò la mitragliatrice e, apparentemente, la divorò.

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