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Lloyd Biggle Jr.: Ai margini della Galassia

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Lloyd Biggle Jr. Ai margini della Galassia

Ai margini della Galassia: краткое содержание, описание и аннотация

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“Lo scatto di rabbia che Forzon quasi si aspettava non venne. Il re, evidentemente, considerava l’Intendente Jef Forzon come un enigma da risolvere più che come un prigioniero da castigare. Inclinò il capo di lato e considerò Forzon con un’espressione di grande perplessità. Improvvisamente scattò in piedi, guardando fisso verso le feritoie… Sopra la città, alto, squillante e morbido, destando mille echi rifrangenti, veniva dalontano il suono delle trombe.” Che cosa accade ai margini della Galassia, oltre confine, dove l’Ente per le relazioni interplanetarie non riesce a creare nel continente Kurr del pianeta Gurnil le condizioni per l’ammissione alla Federazione? “La Democrazia imposta dall’esterno è la più grave forma di tirannia”: questa è la legge numero uno dell’Ente, che deve perciò svolgere la sua opera come un Servizio Segreto. Ma in Kurr i suoi uomini si trovano di fronte a un popolo gentile, prospero e felice del proprio stato. E forse il male è all’interno dell’Ente stesso.

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CAPITOLO II

Le due stanze sommariamente arredate che erano state assegnate a Forzon avevano tristi pareti rivestite di plastica d’un grigio sbiadito e per unico ornamento, in ogni stanza, il motto, dell’ERI incorniciato di nero: LA DEMOCRAZIA IMPOSTA DALL’ESTERNO È LA PIÙ GRAVE FORMA DI TIRANNIA. Le finestre guardavano sul lago calmo e profondo di un antico cratere vulcanico. Oltre l’orlo del cratere si ergevano maestosamente i picchi annebbiati di altissime montagne. In mezzo a tanto splendore naturale, l’Ente aveva scaraventato un casermone senza carattere, e l’aveva circondato di una zona desolata: capannoni, rimesse, campo di volo, vari ettari di terreno incolto… Forzon guardò irritato quell’offesa al paesaggio e pensò con commozione al leggendario uccello dello spazio che si era ammaccato le ali contro il vuoto totale.

La base ERI di Gurnil era un vuoto culturale totale.

Nel contemplarne la sterile bruttezza, Forzon si sentì avvilito. Depresso dalla tristezza di quelle stanze, disgustato dal paesaggio circostante, si mise a passeggiare con rabbia in lungo e in largo per la sua stanza. All’improvviso, uscì nel corridoio e intraprese il giro dell’edificio.

Aveva già notato che, per un fabbricato così grande, la gente in giro era pochina. L’edificio, costruito a forma di H, consisteva di due ali-dormitorio, a un piano, unite da un corpo centrale, a pianterreno, che ospitava l’amministrazione e le sale di ritrovo. Forzon attraversò l’atrio senza neanche guardarlo e percorse tutto il corridoio inferiore del dormitorio situato all’opposto del suo.

Mentre si voltava per tornare, udì della musica.

Più che udirla, ne ebbe la sensazione. Un suono così morbido, così delicato, così indescrivibilmente fragile, che non pareva percepito da un senso determinato. Si fermò, incantato, rapito, davanti a una porta, e quando la musica cessò credette a lungo di udirla ancora.

Attese, e poiché la musica non riprendeva, bussò timidamente.

La porta si aprì e Forzon si trovò di fronte a una ragazza dall’aspetto fragile e femminile, con lunghi capelli luminosi come l’oro, una veste multicolore in vivace contrasto con l’austerità della camera che le faceva da sfondo.

«Scusate» disse Forzon «non sapevo che questi alloggi fossero riservati alle donne. Ho sentito la musica e ho provato curiosità.»

Con una grande meraviglia, la ragazza diede un’occhiata di qua e di là nel corridoio, trasse Forzon dentro la stanza e chiuse la porta. Come per magia, la sua espressione accigliata si raddolcì e sorrise. Forzon si sedette nella poltrona che gli offriva e non si rese conto, sin quando il sorriso divenne ancora più marcato, che la stava fissando con insistenza.

«Scusate» le disse «tutte le donne che ho veduto dal mio arrivo a Gurnil, sembravano giocare ai soldati.»

Il riso della ragazza, quasi etereo, gli ricordò la musica che aveva testé udito. Ma quando parlò la sua voce divenne un sussurro. «Sono le impiegate della base. Devono giocare ai soldati. Io faccio parte della Squadra B.»

«Squadra B?» ripeté lui, piano come lei.

«In congedo di convalescenza» continuò la ragazza. «Mi sono presa un’infezione virale.»

A un tratto Forzon notò lo strumento posato su un tavolino accanto al letto. Era simile a quello che aveva visto nel ritratto, ma era lungo solo mezzo metro e pareva un giocattolo anziché il tramite di una grande arte. Il telaio di legno era disadorno ma nobilmente lucidato.

«È così piccolo!» Forzon esclamò. «Quello del ritratto era enorme!»

La ragazza si mise un dito sulla bocca, ammonendolo di non alzare la voce. «Quello era un torril » disse piano. «Uno strumento da uomo. Uno strumento da concerto. Il telaio è finemente intagliato, e viene costruito su misura, secondo la statura del musicista. Il giovane suonatore di torril in periodo di sviluppo deve cambiare strumento ogni anno. Questo è un torru , lo strumento delle donne. Il timbro è adatto a un salotto, ma troppo tenue per i concerti.»

«È un timbro meraviglioso, sussurrante» disse Forzon. Si alzò e si chinò sul torru. Le corde sottili erano di una fibra bianca molto ritorta, con una corda nera ogni quattro corde bianche. Le pizzicò piano, una per volta. «È una scala pentatonica inflessa. Curioso!» esclamò. «Primitiva e nello stesso tempo molto raffinata.»

La ragazza sorrideva. «Mi ero sempre chiesta come fossero quelli della SC. Ora lo so. Sentono la musica.»

Poteva essere una presa in giro, ma Forzon le rispose seriamente. «La cultura è un concetto così vasto che la Sovrintendenza ha più campi di specializzazione di quanto voi possiate immaginare. La mia specialità è quella delle arti e mestieri, e m’intendo di tutte le rarità in quel campo. Questo strumento, per esempio, la disposizione circolare delle sue corde… sapete che sfida ogni definizione?»

«Non ho mai pensato a definirlo. È uno strumento delizioso da suonare.»

«Suonate qualcosa» suggerì Forzon.

La ascoltò assorto e affascinato, guardando le sue dita agili, finché l’ultimo arpeggio di note sussurrate non svanì.

«Meraviglioso» disse in un soffio. «La sua comodità tecnica è incredibile. Le corde vengono a trovarsi tutte esattamente sotto le dita. Mentre nella maggior parte delle arpe…»

Tacque. Nel corridoio risuonavano dei passi, proprio davanti alla porta, e la ragazza si agitò, inquieta.

«Dev’essere quasi ora di colazione» disse Forzon. «Posso invitarvi?»

Scosse il capo gravemente. «Sarà meglio che nessuno sappia che ci siamo parlati. Per piacere, non ditelo a nessuno.» Lo spinse verso la porta, l’aprì con cautela e guardò fuori. «Non tornate qui» gli mormorò, «Cercherò io di vedervi prima di partire.»

Forzon si ritrovò solo nel corridoio e mentre si allontanava la porta si chiuse silenziosamente alle sue spalle. Aveva già voltato l’angolo quando gli venne in mente che la ragazza non gli aveva detto il suo nome.

Un forte odore di cucina lo attirò verso il salone da pranzo. Si dirigeva verso il dispensiere quando gli sbarrò il passo una delle soldatesse del Coordinatore Rastadt. «Gli ufficiali vengono serviti in camera» gli disse.

«Grazie» rispose Forzon, distrattamente. «Preferisco mangiare qui.»

La ragazza arrossì, confusa, ma non si diede per vinta. «Il Coordinatore ha ordinato che…»

«Ditegli» mormorò Forzon «che l’Intendente moriva di fame.»

L’aggirò, si servì da solo e portò il suo vassoio all’estremità di un lungo tavolo dove molte ragazze in uniforme e giovanotti in tuta stavano già mangiando. Lo accolse un silenzio generale, I commensali evitavano il suo sguardo e risposero a monosillabi quando tentò di attaccare discorso. Uno per volta se ne andarono, e Forzon rimase solo un bel po’ prima di aver terminato il pasto.

Tornò nel suo alloggio e vi trovò una meravigliosa colazione servita sul suo scrittoio. Nauseato gettò nel cestino il cibo freddo. Contemplava tristemente dalla finestra l’arido paesaggio quando udì bussare. Gli bastò un’occhiata per giudicare il suo visitatore. Pensò: non può essere altri che il Vice-Coordinatore.

L’uomo scattò sull’attenti e lo salutò militarmente. «Vice-Coordinatore Wheeler. Agli ordini.»

Forzon gli disse di lasciar perdere e di entrare a sedersi. Quando rispose «Sissignore» gli disse di lasciar perdere anche il «sissignore». «Mi chiamo Jef. E tu, hai un nome di battesimo?»

«Blagdon» disse Wheeler, con un sorriso sciocco. «I miei amici mi chiamano Blag.»

«Meglio. Mi verrebbe l’esaurimento, a chiamarti Vice-Coordinatore Wheeler.»

Wheeler sorrise nuovamente, porse a Forzon un grosso libro e si adagiò comodamente nella poltrona. Forzon gli sorrise. Dopo aver conosciuto il Coordinatore Rastadt, il suo vice era come si poteva prevedere: un uomo bonario, grande e grosso, il cui compito principale presso la base consisteva probabilmente nel calmare le ire suscitate dai modi bruschi del suo superiore.

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