Lilo non fece commenti. Voleva parlarne. Con Cathay non c’era riuscita; forse Javelin sarebbe stata la persona giusta.
«Che succederà a Vaffa?» domandò.
«Non lo so. Se si comporta bene la porterò con noi. Ma non penserò di infrangere il contratto con Tweed se sarò costretta a eliminarla come un cane idrofobo, come una minaccia alla sicurezza della nave.»
«Sono preoccupata per lei. È a disagio quando ha a che fare con cose astratte. Posso spiegarle che comportarsi bene, non creare problemi, è ciò che il Capo vuole da lei. Altrimenti verrà uccisa e Tweed subirà un danno. Maledizione! Perché sto cercando di salvarle la vita? Ha minacciato di uccidermi un sacco di volte. Ha ucciso due miei cloni.»
«Per ucciderla,» osservò Javelin, «basta che lei non faccia niente. Vaffa si scontrerebbe con me e sarebbe la sua fine, giusto?»
«Penso di sì.» Lilo sospirò. «Non so se sia perché odio vedere qualcuno ucciso o perché ho paura che uccida me prima di scontrarsi con lei. Comunque è una situazione esplosiva. Ecco il mio progetto. Non credo che Vaffa riesca a disobbedire a un ordine diretto di Tweed. Vorrei aggiungere una richiesta al suo elenco. Lui deve ordinarle di non far nulla né a lei né a me, né a Cathay. Deve essere sollevata dei suoi compiti di guardiana. Lui deve convincerla che è la sua sola rappresentante su questa nave, che tutto è nelle sue mani. Deve restare viva per potergli fare un rapporto. E per far questo non deve esserci ostile.»
«D’accordo. Funzionerà?»
«Ne sono sicura. La calmerà, le farà accettare la situazione. E Tweed acconsentirà. Non sarà contento, ma non ha molta scelta, no?»
«È quello che stavo pensando.»
Lilo sorrise, e finalmente si abbandonò a credere di essere libera. Era confinata in quella nave, ma era libera.
«A proposito, quanto durerà il viaggio?»
«Per l’andata ci vorranno circa trecento milioni di secondi.»
«Le dispiacerebbe trasformarlo in mesi terrestri?»
«Circa centoventi. Vent’anni, andata e ritorno.»
Il viaggio verso Poseidone avrebbe potuto essere molto più rapido. Anche se doveva trasportare tutta la base da me costruita sugli Anelli, il rimorchiatore che Cathay aveva rubato non incontrava difficoltà; era stato fabbricato per spingere buchi neri con qualche problema.
Ma tutto dipendeva dall’arrivare su Poseidone esattamente al momento giusto e con l’esatta angolazione. Eravamo condizionati dalle posizioni relative di Giove e di Saturno all’atto della partenza, dalla velocità orbitale di Poseidone e da quella di rotazione.
Non mi ero mai preoccupata di dare un nome al mio nascondiglio di rocce. Quando fummo vicini a Poseidone e azionammo di nuovo i motori del rimorchiatore per far acquistare velocità alla roccia, Cathay la chiamò Vendetta.
Erano a circa cinquanta chilometri da Poseidone, immobili rispetto a lui. A occhio nudo, appariva come una piccola macchia grigia irregolare. Ma sullo schermo di Lilo si potevano vedere meglio i dettagli. Era scuro e frastagliato, e sull’orlo si ergeva una piccola tazza dentro la quale brillava un’intensa luce azzurra.
Lilo ripensò all’ultima volta che aveva visto Parameter/Solstizio. Avrebbe voluto che fossero andati con loro, ma era stato evidentemente impossibile. Se lei e Cathay fossero riusciti in quello che si apprestavano a fare, non ci sarebbe stato il tempo per far scendere Parameter da nessuna parte; avrebbero dovuto abbandonare il sistema solare alla svelta. Ma Lilo li avrebbe voluti con sé per vedere il loro piano funzionare.
Se avesse funzionato, pensò, deglutendo nervosamente.
«Dieci secondi!» gridò Lilo. Era collegata al computer e ne controllava l’operato attraverso le telecamere della Vendetta. Poteva percepire le minuscole spinte mentre il programma di guida effettuava le ultime correzioni di rotta. Il bersaglio si stava avvicinando a velocità accecante e Lilo riusciva a seguirlo solo attraverso il terminale del computer. Vide un lampo argenteo, poi l’impatto distrusse la telecamera.
«Colpito,» disse con voce normale. Estrasse il cavo del computer dalla spina che aveva in testa.
La Vendetta era entrata nella tazza a campo nullo contenente il buco nero. In una frazione di secondo, la sua massa era stata ridotta a un miscuglio di lava, di gas bollenti e di plasma. C’era stato uno spruzzo.
Il buco aveva cominciato a divorarlo immediatamente. Il gradiente gravitazionale fece rapidamente contrarre la materia più vicina al buco e cominciò a tirarla in un abisso senza fondo, liberando nello stesso tempo energia. Via via che la materia veniva distrutta, altra la sostituiva; ma la nuova era respinta dalla pressione delle reazioni a catena. Ci fu una grossa esplosione, e il novanta per cento della massa della Vendetta venne espulsa dal campo gravitazionale combinato di Poseidone e del buco. Ciò che rimase fu nuovamente sottoposto a compressione.
Nessuna conseguenza si registrò nell’emisfero protetto dal campo nullo, che era a prova di qualsiasi cosa il genere umano fosse fino a quel momento in grado di produrre.
Ma Lilo osservò molto attentamente per vedere come i generatori elettromagnetici di campo sopportassero lo sforzo. L’incognita nell’equazione di Parameter erano i generatori. Stavano già sostenendo là massa del buco nero. Non si poteva avere la certezza che resistessero all’improvvisa accelerazione dovuta all’impatto. Se avessero ceduto, il buco nero avrebbe cominciato a scendere, distruggendo rapidamente il generatore di campo nullo sottostante. Senza il campo nullo, il buco avrebbe attraversato Poseidone come uno spazio vuoto e loro avrebbero dovuto cercare di recuperarlo dall’altra parte.
«Non vedo nessun movimento. E tu?» chiese Lilo.
«No. Sembra che tenga.»
Ci furono altre esplosioni, a pochi secondi una dall’altra, finché i resti fusi della roccia non si furono liberati di massa sufficiente per permettere di raggiungere una situazione stabile. Adesso sembrava che ci fosse una piccola stella bianca, più luminosa del sole, del diametro di appena un metro.
«Lasciamo che gli astronomi siano perplessi,» esclamò Lilo, e accese la radio. «Mi sentite laggiù? Vaffa, Vaffa, mi ascoltate?»
Per un po’ non ci fu risposta. Lilo continuò a ripetere finché dalla radio non giunse una voce maschile.
«Chi è che chiama?»
«Sono Lilo, tornata dal regno dei morti. Sono con Cathay. Vi abbiamo riportato la nave, e anche un regalo. L’avete sentito arrivare pochi minuti fa. Si è fatto male nessuno?»
Lilo capì anche che non gliene importava niente. Rabbrividì. Era il suo primo contatto con un Vaffa.
«Cosa speravi di ottenere, comunque? Dovevi saperlo che qualunque cosa tu avessi fatto non ci avresti mai ucciso. Tutt’al più potevi sperare di sotterrare alcuni di noi — e ci sei riuscita — ma le tute ci proteggeranno e potremo uscire.» La voce era imperiosa, di una persona abituata a essere obbedita, ma con una punta di incertezza.
«Sicuramente non sei stupida,» commentò Cathay, soddisfatto. «Talvolta fa male ai nervi sapere tante cose di una persona.»
«Lo spero,» sussurrò Lilo. Poi, nel microfono: «Abbiamo spinto Poseidone fuori dalla sua orbita. Ormai è successo, ed è troppo tardi perché possiate farci qualcosa. È stato spettacolare, lascia che te lo dica. Fra qualche minuto, in tutto il sistema solare ci si chiederà cosa stia succedendo da queste parti. Ti fa venire in mente niente?»
Dall’altra parte il silenzio.
«Prima che tu corra a consultare il Capo, ci sono alcune cose che deve sapere. Secondo noi la situazione è semplice. Tutti penseranno che si tratti degli Invasori. Del resto, questo è Giove. Non avranno il coraggio di mandare qualcuno a indagare. Tweed sarà d’accordo, vedrai.»
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