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Fritz Leiber: Scacco al tempo

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Fritz Leiber Scacco al tempo

Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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— Oh, ciao Marcia, tesoro — si affrettò a rispondere.

— Caro, Keaton mi ha fornito qualche altro particolare sul nuovo affare che ha in mente. Credo che sia proprio un’idea brillante. È già pronto a procedere.

— Dal poco che mi hai detto, mi è sembrato piuttosto abile — rispose cauto Carr. La sua prima ondata di calore si era un po’ smorzata. Mentre si frugava nella mente cercando il modo migliore di accomiatarsi da Marcia, il suo sguardo tornò al piccolo dramma che si stava svolgendo dall’altro lato della parete di vetro. La bionda si era seduta accanto alla ragazza spaventata e le aveva preso la mano. Sembrava che gliela stesse accarezzando. La ragazza spaventata continuava a guardare diritto davanti a sé: disperatamente, pensò Carr.

— E così, naturalmente, ho parlato di te a Keaton. Tesoro, è molto interessato. Vuol proprio vederti questa settimana. Significa un vero lavoro per te, Carr.

Carr provò un vago senso di costernazione che non gli era nuovo. — Ma Marcia…

Quella voce fluente e fiduciosa lo interruppe. — Ne riparleremo stasera. È davvero una splendida possibilità. Ciao tesoro.

Sentì un clic. Mise giù l’apparecchio e si preparò a sentirsi depresso oltre che annoiato. Dio, se soltanto Marcia avesse smesso quei suoi tentativi di far di lui un successo (un lavoro per un procacciatore di lavori, che risate) quando un rumore di passi agitati gli fece alzare lo sguardo.

La ragazza spaventata si stava avvicinando alla sua scrivania.

La bionda abbondante l’aveva seguita fino alla porta della parete di vetro, si era fermata lì e continuava a tenerle gli occhi addosso.

La ragazza spaventata prese posto sulla sedia dei candidati.

Si girò a metà verso Carr, ma non lo guardò negli occhi. Si strinse il giubbetto di lana intorno alla gola con un gesto che parve a Carr comicamente drammatico, come se stesse per dire: “Sono mezzo congelata”, oppure “Non m’impiccheranno… vero?”, o “Tesoro, le tue mani mi fanno paura”, o anche soltanto: “Mio Dio, il gas!”

In quel preciso istante, Carr provò la sensazione di “È cominciato”. Anche se non aveva la più pallida idea di cosa fosse cominciato. L’immenso sipario non si era sollevato d’un solo centimetro, ma qualcuno era corso fuori lo stesso. Un’altra parte della sua mente stava pensando che quella, era solo una candidata un po’ strana (ma quanti di loro non lo erano?) e che lui avrebbe fatto meglio a darsi da fare con lei.

Rivolto alla ragazza, arcuò le labbra in un sorriso: — Mi sembra di non essere ancora in possesso del vostro modulo, signorina…

La ragazza spaventata non rispose.

Carr volle metterla più a suo agio e proseguì: — Non che abbia importanza. Possiamo discutere della faccenda mentre aspettiamo che l’impiegato lo porti.

La ragazza continuava a non guardarlo.

— Suppongo che abbiate già riempito il modulo con la richiesta e che vi abbiano mandata da me — aggiunse, un po’ drastico.

Poi vide che la ragazza tremava e fu conscio d’un silenzio che non aveva niente a che fare con i normali rumori. Gli giungevano ancora agli orecchi il rat-ta-ta-tat delle macchine per scrivere, il brusio delle conversazioni della coppie intervistatore-candidato agli altri tavoli, il clic delle lastre dal cubicolo chiuso dalla tenda in cui qualcuno veniva sottoposto alla prova della vista: tutti i rumori consueti dell’Agenzia Generale di Collocamento. E al di là di questi, l’incessante borbottio di Chicago che aumentava e calava scandito dal passaggio dei treni della metropolitana.

Ma l’altro silenzio continuava. Perfino il rimbombante ticchettio del grande orologio sulla parete, che scandiva i minuti e a volte faceva trasalire Carr, non l’interrompeva.

Era come se tutti quei rumori, l’intero ufficio, Chicago, ogni cosa, fossero diventati un puro fondale inanimato per quella ragazza dal volto di gesso, insaccata nel giubbetto, le braccia rinserrate intorno a sé, le mani strette ai gomiti appuntiti, che lo fissava inorridita.

Per qualche incredibile ragione pareva aver paura di lui.

Si era fatta piccola piccola sulla sedia, con gli occhi cerchiati di bianco fissi su di lui. Mentre seguiva con lo guardo i movimenti della ragazza, Carr si avvide che un altro brivido la stava attraversando. Si umettò il labbro superiore con la punta della lingua. Poi disse, con voce fievole e terrorizzata: — D’accordo, mi avete preso, ma non tiratela per le lunghe. Non giocate con me. Fatela finita.

Carr controllò l’impulso di esibire una smorfia d’incredulità. Se ne uscì in una risatina e replicò: — So quello che provate. Entrare in una grande agenzia di collocamento sembra un tuffo orrendo. Ma non v’incateneremo a un cannone — proseguì in un improvvisato tentativo d’umorismo — né vi manderemo a Buenos Aires. Questo, per adesso è ancora un paese libero.

La ragazza non reagì. Carr si guardò intorno, sempre più inquieto. Quell’innaturale silenzio gli stava rodendo i nervi: una sensazione di stordimento che gli faceva accapponare la pelle come se stesse per venirgli l’influenza. Divagò con la mente, alla ricerca d’un motivo per quel suo cambiamento d’umore. Sapeva che doveva essercene uno, ma era talmente onnicomprensivo che non riusciva a identificarlo. I nomi importanti, sulle mappe, erano sempre i più difficili da trovare.

La bionda in carne era sempre sulla soglia. Il suo atteggiamento sottolineava che era lei la padrona di quel posto, o di qualunque altro dove fosse entrata. I suoi occhi parevano più bianchi di quanto avrebbero dovuto essere, e non del tutto a fuoco, anche se ciò non diminuiva, ma piuttosto intensificava l’impressione di una famelica e penetrante ostilità.

Carr riportò lo sguardo sulla ragazza spaventata. Continuava a rinserrarsi i gomiti tra le mani, ma adesso si era protesa in avanti e stava studiando il suo viso, come se ogni cosa al mondo fosse dipesa da ciò che vi vedeva.

— Voi siete uno di loro?

Carr la fissò perplesso, corrugando la fronte. — Uno di loro, chi?

— Non lo siete? — ripeté lei sempre con gli occhi puntati sul suo viso.

— Non capisco — fece lui.

— Voi non sapete quello che siete? — gli chiese la ragazza con improvvisa veemenza. — Non sapete se siete o no uno di loro?

— Non so di che cosa stiate parlando — le garantì lui. — E non ho la più pallida idea di che cosa intendiate dire con “loro”.

Lentamente le mani della ragazza si allentarono dalla stretta sui gomiti e le scivolarono in grembo. — No — disse — immagino che non lo siate. Voi non avete quella loro espressione indecente. Ma d’altronde… — Le sue labbra si contrassero — …dev’essere stato un segno del destino che sia venuta qui, in questo preciso momento. E che abbia detto proprio queste parole. Oh, che scherzo pazzesco, pazzesco! — Tremava di nuovo. — O altrimenti voi siete veramente… — Nei suoi occhi si affacciò una domanda importante anche se del tutto incomprensibile.

— Sentite — disse Carr in tono gentile — farete meglio a spiegarmi le cose sin dall’inizio. Per…

— Per favore non adesso — lo implorò la ragazza con voce malferma.

D’un tratto Carr si rese conto che il suo tremito era quello dell’isterismo represso e che la ragazza chiedeva un po’ di tempo per riprendere il controllo di sé.

Carr deviò lo sguardo altrove cercando di analizzare le proprie reazioni. Avrebbe avuto ogni diritto di classificare quella ragazza come appartenente a quella frangia di strambi e balordi inimpiegabili che ingombrano tutti gli uffici di collocamento. Era probabile che la sua domanda, se ne aveva riempita una, fosse stata trattenuta perché la signorina Zabel o qualcuna delle altre ragazze vi aveva notato questa o quella stravaganza. Lui avrebbe dovuto escogitare un modo indolore per porre termine al colloquio e accomiatarsi da lei.

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