William Tenn - Gli uomini nei muri

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Gli uomini nei muri: краткое содержание, описание и аннотация

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Una vita da topi, una vita da scarafaggi: così si diceva degli ebrei chiusi nei ghetti dell’Europa Centrale, dei popoli schiacciati dall’occupazione nazista. Ma qui, su questa Terra invasa da strapotenti, invincibili, torreggianti mostri, la vita da scarafaggi è, per l’uomo, una realtà letterale. Tribù nomadi ormai ridotte allo stato primitivo si aggirano in un groviglio di cunicoli, condotti, gallerie; il loro stato normale è il terrore, il loro unico scopo e sopravvivere fino a domani; il loro universo è quello cieco e senza speranza degli insetti, degli infimi parassiti che infestano le crepe e i segreti passaggi dei muri di casa. Ma c’è, in questa esistenza disperata, una tenacia, un accanimento, un coraggio che gli insetti non conoscono. Non è facile liberarsi, una volta per tutte, dei fastidiosi e formicolanti terrestri...

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Rachel annuì, pensosa. «Hai ragione, purtroppo. Eric, dobbiamo cercare di raggiungere al più presto la mia gente. Non tanto per il nostro bene quanto per il loro. Non sanno quello che è successo qui. È urgente.»

«D’accordo, tesoro. Farò del mio meglio. Credi che sia prudente prendere un po’ del cibo che c’è qui? Ci potrebbe essere utile.»

«Lasciami dare un’occhiata. Voi due non toccate quei cadaveri. Potreste stare male.»

Quando lasciarono il grande cunicolo centrale, cimitero di una intera popolazione, Roy rimase a lungo assorto, immerso in un tetro silenzio. Non aveva nemmeno partecipato alla discussione circa l’opportunità o meno di seppellire tutti quei morti, discussione terminata con l’accordo che era materialmente impossibile farlo, oltre che, probabilmente, pericoloso. Eric credeva di sapere cosa stesse passando per la mente di Roy. Prima di mettersi a dormire gli parlò delle affinità che aveva notato fra la tribù dei morti e l’Umanità.

«Pensavo a Franklin, a Ottilie, a Rita» disse. «Chissà se hanno usato su di loro lo spray… se anche loro, adesso, sono là, tutti grigi e morti.»

«L’Umanità è defunta» sentenziò Roy, sdraiandosi sul pavimento. «Comunque, per me è morta. Me ne infischio di Franklin, di Ottilie e di tutti gli altri.» Si rigirò sul fianco e si addormentò.

La mattina dopo, quando Eric si svegliò, vide che Roy se ne stava seduto, con le braccia intorno alle ginocchia, e fissava Rachelcon un’espressione curiosa che lui non riuscì ad analizzare.

Non era solo desiderio, ma qualcosa di più. Forse Roy stava pensando alla sua compagna, rimasta nei cunicoli dell’Umanità? Aveva guardato a lungo Rachel, mentre lei era intenta a esaminare e scegliere il cibo, e forse si era ricordato della moglie che compiva gli stessi gesti…

Comunque fosse, la faccenda piaceva poco a Eric. E quando si avviarono, erano due le cose che lo turbavano. Roy chiudeva la marcia, e quindi aveva sempre davanti a sé Rachel, e questo non poteva che aggravare la situazione, e lui, Eric, marciando in testa alla fila, costituiva un facilissimo bersaglio per un uomo che, roso dall’invidia e dal desiderio, avesse voluto disfarsi di un rivale scomodo.

Pensò di mettere Roy come capofila, ma questo voleva dire cedergli il comando. Inoltre, Roy non era un Occhio, e occorreva un Occhio per trovare la via giusta. Accidenti a Roy! Un senso di antagonismo fra loro era proprio l’ultima cosa che ci voleva. Eric continuava a camminare come se niente fosse, ma stava coi sensi all’erta…

Risultato delle sue preoccupazioni fu che, per un pelo, non portò a morte sicura se stesso e i suoi compagni. Era talmente intento a captare qualsiasi rumore sospetto alle spalle, che non badava, come avrebbe dovuto, a quello che succedeva davanti a lui. Solo quando fu arrivato a un incrocio, si accorse che qualcosa non andava. Gli pareva di avere sentito dei rumori, e per accertarsene sbirciò nella biforcazione di sinistra. Ma dopo una rapida occhiata si affrettò a tirarsi indietro, schermando la lampada. Poi corse da Rachel e Roy, che lo aspettavano a distanza di sicurezza, e sussurrò: «Dobbiamo metterci al sicuro! C’è un branco di Selvaggi che sta venendo da questa parte. Liberatevi delle bisacce. Dobbiamo correre.»

«Lasciate che ci pensi io» disse Roy. «Basterà che voi due restiate qui.»

Prima che avessero il tempo di impedirglielo, aveva spiccato la corsa dirigendosi verso la biforcazione da cui era appena tornato Eric, e senza spegnere la lampada. Guardò a sinistra, irrigidendosi per un momento come se non credesse ai propri occhi. Poi alzò le mani sopra la testa e si mise a urlare come se fosse in preda a un terrore folle.

I Selvaggi lo videro e lo sentirono, e in risposta emisero un ruggito famelico che fece tremare i muri.

Roy voltò a destra, continuando a urlare: un momento dopo il branco dei Selvaggi si lanciò urlando al suo inseguimento.

24

Eric e Rachel rimasero appiattiti contro il muro, stretti l’uno all’altra, timorosi perfino di respirare, mentre l’orda passava a una certa distanza davanti a loro, all’incrocio. Se una sola di quelle orribili creature avesse guardato da quella parte, sarebbe stata la fine.

Ma, con una preda viva in fuga davanti a loro, i Selvaggi non avevano il tempo e l’intelligenza di pensare ad altro. A intervalli alzavano di scatto la testa ed emettevano all’unisono quel loro orribile ruggito famelico. Le note, alte e basse, acute e sorde, rimbombavano di parete in parete; Rachel ed Eric sentivano i muscoli irrigidirsi per la paura. Eric capì che quello era lo scopo principale del grido: atterrire la preda tanto da renderla incapace di muoversi, affinché fosse più facile catturarla. Serviva inoltre a spronare i membri più lenti dell’orda e a indicare loro la direzione da seguire.

Eric non aveva mai visto prima un Selvaggio, ma una sola occhiata gli era stata sufficiente per dirgli che le leggende corrispondevano alla realtà e che le esperienze passate da Rachel nella gabbia, prima del suo arrivo, dovevano essere state davvero tanto orribili da giustificare le sue violente reazioni. I Selvaggi erano esattamente come lei li aveva descritti. Rappresentavano dei perfetti esemplari di un agghiacciante ritorno alle orde dei primati, con in più tutto quello che di orribile ha una folla umana inferocita. I corpi pelosi, le braccia lunghe che sfioravano il suolo, e l’espressione bestiale e feroce, li rendevano ancora più spaventosi dei Titanici. Avendo intravisto nell’orda degli individui più piccoli, bambini o cuccioli, Eric ne dedusse che il branco doveva essere composto di maschi e di femmine. Tuttavia era impossibile distinguere i primi dalle seconde. Per quanto di diversa statura, quegli esseri erano tutti uguali, e tutti pelosi e, così almeno gli era parso, tutti barbuti.

I Selvaggi passarono a una velocità incredibile. Alcuni portavano delle orrende lanterne, costituite da teste mozze di guerrieri sulla cui fronte era legata ancora la lampada. Ma non avevano né armi né indumenti. Correvano in branco, facendo un rumore assordante, emettendo il loro grido pauroso, e lasciando dietro di sé una scia di puzzo insopportabile.

Quando anche l’ultimo Selvaggio fu passato, Rachel e Eric raccolsero la bisaccia di Roy, sorreggendola ciascuno per una cinghia, e si avviarono verso il punto in cui avevano trascorso la notte.

Pensavano che non avevano molte probabilità di rivedere Roy; tuttavia, se fosse riuscito a sfuggire ai suoi inseguitori, sarebbe certamente andato a cercarli là.

Eric si lasciò cadere vicino al muro, e attirò a sé Rachel. Stava all’erta, per udire in tempo qualsiasi rumore che preannunciasse l’arrivo dei Selvaggi, ma la sua mente era confusa e perplessa.

«Non avevo mai visto niente di simile» disse. «Ne avevo sentito parlare, sì, ma non avrei mai creduto… E dire che pensavo… che ero preoccupato sul conto di Roy. Era così sconvolto, così irritabile.»

«È infelice, caro. Più ci avviciniamo alla mia gente, più si rende conto della situazione.»

«Vuoi dire che si rende conto di essere solo un guerriero ignorante? Anch’io ho questo problema, ma cerco di non pensarci.»

«Tu sei mio marito» disse Rachel. «Il marito di Rachel Figlia-di-Ester diventerà automaticamente una personalità di primo piano, fra gli Aaron. E poi, tu non sei più un ignorante» aggiunse con un sorriso radioso. «Ma Roy… Per lui è diverso. Si rende conto di non essere istruito, di non sapere niente, e sa che le qualità fisiche di cui dispone non gli serviranno né per diventare importante né per trovarsi una compagna. Non può non essersene reso conto. Finora sei stato tu a ideare i piani, a decidere. E tu hai anche una compagna. Prova a metterti nei suoi panni. Roy si rende conto di essere pocomeno che inutile, di contare poco o niente.»

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