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William Tenn: Gli uomini nei muri

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William Tenn Gli uomini nei muri

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Una vita da topi, una vita da scarafaggi: così si diceva degli ebrei chiusi nei ghetti dell’Europa Centrale, dei popoli schiacciati dall’occupazione nazista. Ma qui, su questa Terra invasa da strapotenti, invincibili, torreggianti mostri, la vita da scarafaggi è, per l’uomo, una realtà letterale. Tribù nomadi ormai ridotte allo stato primitivo si aggirano in un groviglio di cunicoli, condotti, gallerie; il loro stato normale è il terrore, il loro unico scopo e sopravvivere fino a domani; il loro universo è quello cieco e senza speranza degli insetti, degli infimi parassiti che infestano le crepe e i segreti passaggi dei muri di casa. Ma c’è, in questa esistenza disperata, una tenacia, un accanimento, un coraggio che gli insetti non conoscono. Non è facile liberarsi, una volta per tutte, dei fastidiosi e formicolanti terrestri...

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«Se ci tornerai» le fece osservare Eric, intento a curvare il neutralizzatore che era costituito essenzialmente da un tubo metallico «la cosa più importante che tu possa riferire è che l’apparecchio funziona. Poi, potranno costruirne altri. Adesso ci è molto più utile trasformarlo in un gancio robusto. Posto che tutto il resto funzioni, senza un gancio siamo davvero perduti.»

«Ho pensato» l’interruppe Roy «che sarà meglio che tu me lo leghi al polso. Io sono forte quanto te, tu però sei più svelto e pronto. Quindi sarà meglio che tu pensi all’apertura. Io ti prometto che cercherò di restare agganciato con tutte le mie forze.»

Eric finì di trasformare il neutralizzatore protoplasmatico in un robusto gancio dal lungo manico, poi annuì: «Hai ragione, Roy, qua le mani, e bada bene di non lasciarlo mai andare.» Infilò il manico del gancio fra le mani di Roy che lo afferrò strettamente, poi gli legò i polsi con strisce della tunica di Rachel e prolungò la fasciatura alle braccia e alle spalle, cosicché il gancio finì col diventare quasi parte integrante del corpo di Roy.

Poi legarono se stessi e il loro equipaggiamento ai resti della tunica di Rachel. I due uomini si erano assicurati alla fronte la lampada che avevano portato dai cunicoli. Eric sistemò Rachel fra sé e Roy, legandola prima al Corridore, e poi a se stesso.

«Tienti aggrappata alle spalle di Roy» le disse, «nel caso che le rasce cedano. Io starò aggrappato a tutti e due.»

Quando ebbero finito formavano una specie di grosso bozzolo, a un’estremità del quale c’era Roy, armato di un gancio supplementare per maggior sicurezza. Sentirono il Titanico avvicinarsi.

«Ci siamo» sussurrò Eric. «Fingete di essere morti.»

22

Non vi fu rifornimento di viveri né di acqua, nella gabbia. Invece, vi fu una lunga, insopportabile pausa durante la quale i tre sentirono che il Titanico li stava esaminando.

Avevano convenuto di tenere gli occhi ben chiusi e le membra tese e irrigidite, finché non fossero stati tolti dalla gabbia. Per quello che ne sapevano, la vista del Titanico poteva essere tanto acuta da notare il movimento delle pupille. Poteva anche accorgersi che respiravano, ma quello era un rischio che non c’era modo di evitare.

«O trattenere il respiro più a lungo che si può» aveva consigliato Eric, «e rischiare poi di aspirare una gran boccata d’aria facendo rumore, proprio quando il Titanico ci osserva, o respirare spesso, ma adagio. Fate finta di essere addormentati. Cercate di rilassarvi, e che gli antenati ci aiutino.»

Ma non fu facile, sotto lo sguardo scrutatore del Titanico, mantenere l’immobilità assoluta, tenere le palpebre chiuse e ferme, respirare piano e regolarmente.

Alla fine, sentirono qualcosa muoversi: il freddo viscido in una corda verde li sfiorò, fondendosi con la loro carne. Uno scossone, ed ecco che furono sollevati, con tutti gli oggetti che avevano preparato che si urtavano e sbattevano. Adesso la situazione era ancora più critica. Sentirsi fluttuare per aria, senza niente di solido sotto i piedi, e dover tenere gli occhi chiusi senza potere vedere niente serviva solo ad accrescere il panico. Il peggio di tutto fu quando il Titanico li tenne a lungo sospesi, immobili, evidentemente per esaminarli meglio e più da vicino. Le zaffate puzzolenti del suo alito giungevano fino a loro, provocando ondate di nausea. Eric trattenne a lungo il fiato, irrigidendosi, e si augurò che anche gli altri facessero lo stesso.

Cosa avrebbe deciso, quell’enorme montagna di carne? I Titanici non sanno cosa farsene dei morti aveva detto Rachel una volta, e per quanto loro potevano saperne, era vero. Tutti coloro che morivano o per cause naturali o in seguito agli esperimenti di laboratorio, finivano nel buco in mezzo al gran tavolo bianco… Ma se quel particolare Titanico che si stava occupando di loro si fosse accorto che erano vivi? La buona riuscita della prima parte del progetto di Eric si basava appunto sul fatto che li credesse morti. Ma se si fosse incuriosito, se avesse voluto scoprire le cause della morte? Eric dovette farsi forza per vincere un brivido. Fra le sue braccia, Rachel tremava.

Finalmente il Titanico prese una decisione, e la corda cominciò ad abbassarsi.

Eric decise di arrischiare un’occhiata.

Socchiuse appena le palpebre, e abbassando lo sguardo vide sotto di sé l’enorme distesa bianca del tavolo. Finora, tutto andava bene. Ma il Titanico li avrebbe lasciati cadere subito tutti e tre nel tubo di scarico, o avrebbe voluto prima esaminarli separatamente? Adesso che non poteva tornare più indietro, e nonostante che avesse osservato per settimane il comportamento dei Titanici, Eric temeva di avere agito da idiota. Adesso era sicuro che non ce l’avrebbero fatta mai. Sì, i Titanici si liberavano dei cadaveri, ma, che lui sapesse, non avevano mai avuto a che fare con tre cadaveri legati insieme e carichi di oggetti. Forse era meglio slegarsi adesso, così i rischi sarebbero stati minori…

Stava già per muovere una mano, quando riuscì a dominarsi e a ritrovare la calma. Doveva ricordare che i Titanici ignoravano tutto dei manufatti umani. L’aveva osservato personalmente decine di volte, e anche Rachel, più istruita ed esperta di lui, gli aveva confermato che nessuno aveva mai notato un’eccezione a questa regola. A quanto pareva, i Titanici non vedevano un rapporto fra i manufatti e l’intelligenza, e non solo perché i manufatti èrano diversissimi da quelli titanici. Per i Titanici, gli uomini erano parassiti noiosi e invadenti, che infestavano le loro case, che imbrattavano il loro cibo e lo rubavano, che danneggiavano le loro proprietà. Gli oggetti che questi parassiti indossavano o portavano con sé da un posto all’altro, ai loro occhi dovevano apparire i rifiuti, gli escrementi, gli avanzi di creature appartenenti ai gradini più bassi della scala evolutiva. Per i Titanici, non esistevano rapporti fra questi parassiti e le creature che in origine erano state la razza dominatrice di quel pianeta.

Mentre riacquistava poco alla volta la calma, Eric sentì l’ansito rauco dei suoi due compagni, e intuì che avevano avuto gli stessi pensieri e lo stesso impulso di liberarsi dei legami, per tentare la fuga, ciascuno per conto proprio, appena depositati sul tavolo bianco.

Ricordando le sue responsabilità di capo, sussurrò: «Calma, Rachel. Calma Roy. Va tutto per il meglio. Tenetevi pronti.»

Ecco, la superficie bianca era vicinissima. Eric si sentì contrarre lo stomaco. Cosa sarebbe successo, adesso?… Il Titanico agì come loro avevano previsto. Li lasciò andare. Se erano morti, erano buoni per la fogna.

Ruotando su se stessi, scesero a velocità vertiginosa verso il foro nero, spalancato sotto di loro. Mentre vi entravano, un suono acuto ruppe il pesante silenzio. Era stato Roy, che, sopraffatto dall’orrore e dalla paura, non era riuscito a trattenere un grido. Eric lo capì e lo giustificò, ma per poco quel grido non costò loro la riuscita del piano. Stavano già scivolando entro la cavità liscia del tubo di scarico, quando la corda verde scese alla loro ricerca, e per un pelo non riuscì a raggiungerli. Eric riuscì a dare una rapida occhiata e vide un tentacolo rosa protendersi oltre l’orlo. Ma subito dopo subirono un urto violento, come se fossero caduti dall’alto sul pavimento della gabbia.

L’acqua pensò Eric, mentre affondavano e la corrente li trascinava via. Trattenne istintivamente il respiro e strinse forte Rachel. Le fasce con cui si erano legati non si erano sciolte. Oltre Rachel, sentiva Roy. Affondavano sempre più, ma se non altro, erano ancora insieme.

Finora, il piano aveva funzionato. Adesso stava a loro agire. In primo luogo, però, bisognava vedere se avrebbe funzionato il sistema di galleggianti che lui aveva escogitato. Con pezzi della tunica impermeabile di Rachel aveva fatto delle specie di otri, riempiti d’aria e sigillati con dell’adesivo trovato in una delle innumerevoli tasche della tunica. Ognuno di loro aveva due di quei rudimentali galleggianti legati alle spalle.

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