William Tenn - Gli uomini nei muri

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Gli uomini nei muri: краткое содержание, описание и аннотация

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Una vita da topi, una vita da scarafaggi: così si diceva degli ebrei chiusi nei ghetti dell’Europa Centrale, dei popoli schiacciati dall’occupazione nazista. Ma qui, su questa Terra invasa da strapotenti, invincibili, torreggianti mostri, la vita da scarafaggi è, per l’uomo, una realtà letterale. Tribù nomadi ormai ridotte allo stato primitivo si aggirano in un groviglio di cunicoli, condotti, gallerie; il loro stato normale è il terrore, il loro unico scopo e sopravvivere fino a domani; il loro universo è quello cieco e senza speranza degli insetti, degli infimi parassiti che infestano le crepe e i segreti passaggi dei muri di casa. Ma c’è, in questa esistenza disperata, una tenacia, un accanimento, un coraggio che gli insetti non conoscono. Non è facile liberarsi, una volta per tutte, dei fastidiosi e formicolanti terrestri...

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«Ci aspetta un lungo viaggio. Giorni e giorni di cammino, mia cara…»

«Ragione di più per metterci subito in marcia, allora. Abbiamo viveri solo per pochi giorni. E non possiamo sprecare tempo a fare una puntata in territorio titanico per procurarci altro cibo. Sono sicura che starò bene. Se dovessi sentirmi male, ti prometto che ti avvertirò subito. Ti prometto che non farò sforzi superiori alle mie possibilità.»

Roy, che nel frattempo era andato a sedersi vicino a loro, si dichiarò d’accordo con Rachel.

«Non solo sarà un lungo viaggio» fece notare, «ma è molto probabile che ci perderemo, che faremo lunghi giri inutili e false partenze. Hai detto tu stesso, ieri sera, che non sappiamo dove ci troviamo. E sarà ancora più difficile scoprire dove dovremo andare. Quindi, secondo me, faremmo meglio a partire subito.»

Pur sapendo che gli altri due avevano ragione, Eric continuò a discutere a lungo, per dare modo a Rachel di riposare ancora un poco. Disse che, prima di tutto, dovevano fare colazione, e poi riordinare e inventariare i viveri e gli oggetti che avevano con sé e che potevano essere rimasti danneggiati nella lunga immersione. Mandò Roy a riempire le borracce di acqua fresca a una tubatura scoperta nelle vicinanze, e infine disse a Rachel di tirare fuori la carta dei cunicoli, uno dei tanti tesori che la ragazza aveva conservato nelle tasche della sua tunica. Eric la esaminò con minuziosa attenzione, alla ricerca del modo migliore per raggiungere la destinazione che si era prefisso: i cunicoli della Gente di Aaron.

Finalmente ripiegò la carta, si alzò, e diede l’ordine di partenza. Si avviarono in fila indiana, Eric in testa, Roy alla retroguardia, lungo lo stretto budello familiare e rassicurante nonostante tutto, dopo le terribili esperienze trascorse. Ma dove andavano? In effetti, erano completamente smarriti. Si trovavano in una zona sconosciuta e forse pericolosa, ma Eric aveva un’idea. Era o non era un Occhio? Come Occhio, doveva essere in grado di trovare la strada giusta, anche in un posto completamente sconociuto, dove non era mai stato prima.

Quando arrivavano a una biforcazione, si fermava a lungo per esaminare i nuovi cunicoli che si stendevano davanti a loro. Studiava soprattutto il pavimento, per scoprire orme, o tracce di passaggi recenti. Poi decideva la strada da seguire, e gli altri andavano con lui senza discutere.

Più che per certezza, proseguiva in base a sensazioni. Era il pavimento dei cunicoli che attraverso la pianta dei piedi gli faceva sentire la direzione da prendere.

Quando si fermarono per dormire e consumare l’unico pasto sostanzioso della giornata, Eric estrasse la carta e la studiò ancora una volta, minuziosamente. E la stava esaminando ancora, la mattina dopo, quando svegliò Roy e Rachel. Stava imparando a memoria l’intrico dei cunicoli lontani dal punto in cui si trovavano. Notò che gli altri due non capivano il motivo di quello che stava facendo.

«Cosa speri di trovare, Eric?» chiese alla fine Rachel quando, dopo una lunga meditazione, lui li precedette lungo un nuovo cunicolo, e poi, fermatosi improvvisamente, tornò indietro e infilò un altro ramo della biforcazione.

«Sto cercando un pavimento in pendenza» spiegò Eric. «Stranieri e Umanità dicevano che la tua gente abitava nei cunicoli più interni. Tutte le volte che Arthur l’Organizzatore, o Walter l’Armaiolo, parlavano della Gente di Aaron, dicevano di essere “scesi” da loro. Invariabilmente, alludevano a quei viaggi come a delle “discese”. Questo è l’unico indizio che posso seguire, l’unica direzione generica nella quale possiamo andare: giù. Dobbiamo scendere nei cunicoli più profondi. Ma, per arrivarci, bisogna appunto scendere, e quindi il pavimento deve essere in pendenza.»

«Ma se anche riusciamo a scendere» disse Rachel «chi ti dice che troveremo la mia gente? Forse arriveremo in qualche punto allo stesso livello, ma lontano giorni e giorni di marcia dai cunicoli della Gente di Aaron.»

«Quando saremo laggiù» replicò Eric, «conterò sulla mia buona stella. Sono sempre stato fortunato, io. Inoltre, non dimenticare la tua carta. Vedi, qui, a questo punto, sulla carta…»

S’interruppe bruscamente, sollevando le braccia nel gesto che imponeva il silenzio. Rachel e Roy si fermarono immediatamente, e guardarono avanti.

C’era una sentinella, in fondo al cunicolo. Stava appoggiata con le spalle al muro, era voltata dalla loro parte, e impugnava una lancia la cui asta toccava il pavimento. La luce della lampada che portava legata alla fronte, mandava il suo raggio nella loro direzione.

Ma perché se ne stava lì ferma senza dare l’allarme?

Eric e Roy si affrettarono a impugnare la lancia, ma Rachel mormorò: «È morto. Non capite? Anche se è rimasto in piedi, è morto lo stesso. E da giorni… Si sente dall’odore.»

Rachel aveva ragione. Nonostante la distanza, giungeva a loro l’inconfondibile lezzo di cadavere in putrefazione.

L’uomo era morto all’improvviso, mentre era di sentinella. E non era stato sepolto.

I tre si avvicinarono con cautela. Il morto aveva gli occhi aperti, ma una pellicola grigia si era formata sulle pupille. Anche il corpo era grigio. Sembrava quasi che dai pori gli fosse sgorgato un liquido grigiastro che ora gli ricopriva i bicipiti possenti, la faccia dall’espressione intenta, il robusto torace da guerriero.

Perplesso, Eric guardò a lungo l’uomo. Non riusciva a capire. Le armi, l’equipaggiamento, erano stranieri ma inspiegabilmente familiari.

Oltrepassarono il morto, procedendo in punta di piedi, pronti a partire di corsa e a tornare indietro al minimo accenno di pericolo. Dopo un poco, sbucarono in uno spiazzo nel quale Eric riconobbe un cunicolo centrale, ampio, dal soffitto alto, molto simile a quello della sua tribù.

Là, almeno, avrebbero potuto fermarsi per riprendere fiato e parlare senza pericolo di un attacco.

Il cunicolo era letteralmente pieno, da un capo all’altro, di cadaveri.

Tutti, uomini, donne, bambini, in piedi o seduti, parevano statue messe là a spiegazione delle diverse attività umane. C’era una vecchia intenta a compiere i riti magici della preparazione del cibo. Un guerriero, accovacciato accanto a lei, la fissava come se già pregustasse un pranzo succulento. Una madre teneva sulle ginocchia un bimbo nudo, e con espressione irosa e una mano alzata, pareva sul punto di sculacciarlo. Un giovane, appoggiato al muro, sorrideva a una ragazza che stava passando…

E tutti erano morti, all’improvviso, senza rendersene conto, tutti erano coperti, da capo a piedi, dello stesso liquido grigio.

Vedendoli lì, raccolti tutti insieme, Eric capì perché aveva trovato qualcosa di familiare nella sentinella. Era evidente che quei disgraziati avevano fatto parte di una tribù di superficie. Nonostante alcune differenze e alcuni particolari di secondaria importanza, quella tribù era uguale all’Umanità. I manufatti, semplici e primitivi, erano pressoché uguali, e uguale doveva essere stata la loro vita familiare e sociale.

Ecco lì, seduto su un tumulo e circondato da tre donne, quello che indubbiamente era il capo, grasso e stupido come Franklin, intento a sorvegliare benignamente le attività del suo popolo.

Forse, fra quei morti, c’era stato un giovane che si apprestava a compiere il suo primo Furto…

Rachel si staccò da un cadavere che aveva esaminato attentamente. «So cosa provoca questo sudore grigio» disse. «È uno spray omicida usato dai Titanici. Finora l’avevo visto usare solo per esperimenti di laboratorio. Mai su un’intera tribù.»

«Da quello che ho visto quando eravamo prigionieri» disse Eric, «mi pare che i Titanici facciano di tutto per liberarsi di noi, e che i loro orribili esperimenti servano proprio a questo.»

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