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Edmond Hamilton: Agonia della Terra

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Edmond Hamilton Agonia della Terra

Agonia della Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Una bomba superatomica viene lanciata, da una nazione sconociuta, su una piccola città americana dove si cela un centro per le ricerche atomiche. L’esplosione ha per effetto di rompere la continuità del tempo e sbalestrare la piccola città, intatta, in un’epoca dell’avvenire, a milioni di anni nel futuro, in una Terra morente e arida, inabitabile e deserta. La Federazione delle Stelle, che governa tutti i mondi del futuro, interviene per evacuare la popolazione della città su un altro pianeta. Ma la popolazione si ribella, e, con l’aiuto di uno scienziato del futuro, alla Terra morente viene iniettata una potente carica atomica che ha la virtù di riscaldarla nuovamente. Gli ultimi superstiti rimangono quindi sulla Terra rinata e la vita degli abitanti della piccola città può riprendere il suo corso normale, nella eterna storia dell’Universo.

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«Il resto del mondo» gli ricordò Hubble «è rimasto dietro di noi di alcuni milioni di anni. Dovrete ricordarvi di questo.»

«Già... è vero. Me ne dimentico continuamente» disse il sindaco. Poi rabbrividì e cercò di pensare ai compiti che lo attendevano. «Ci occuperemo subito di quanto avete sugge­rito.»

Quando i due se ne furono andati, Hubble guardò acci gliato i suoi colleghi silenziosi. «Parleranno dell’accaduto, naturalmente. Ma se la cosa si diffonde lentamente, non sarà tanto preoccupante. Ci darà modo di accertare, prima, alcu­ne cose.»

Crisci scoppiò in un riso stridente.

«Se tutto ciò è vero, dev’essere un bello scherzo! Tutta la città scaraventata nel futuro, verso la fine del mondo, senza che nemmeno lo sappia! Cinquantamila persone che non san­no ancora, per esempio, che la loro cugina Agnes, abitante a Indianapolis, è morta e ridotta in polvere da milioni di anni!»

«E non debbono saperlo» disse Hubble. «Non ancora, per lo meno. Non ancora, finché non avremo chiarito con precisione che cosa dobbiamo fronteggiare, in questa Terra del futuro.»

Continuò poi a pensare ad alta voce.

«È indispensabile andare a vedere che cos’è accaduto là fuori, fuori della città, prima di poter fare qualsiasi progetto. Kenniston, dovresti andare a prendere una jeep. E porta pa­recchia benzina di scorta. E anche abiti pesanti. Ne avremo bisogno, là fuori. E, Ken... porta anche delle armi con te.»

3

Il pianeta mortale

Kenniston ritornò in Mill Street e si diresse verso la rimessa nella quale aveva lasciato la sua macchina un miliardo di an­ni prima, quando cose del genere avevano ancora qualche importanza. Sapeva che tenevano in quel garage una jeep per il servizio stradale, e sapeva pure che non ne avrebbero più avuto bisogno, per il semplice fatto che di strade, fuori della città, non ve n’erano più. Si pentiva di non avere preso con sé un cappotto. L’aria si raffreddava rapidamente e la tempera­tura sarebbe presto scesa sotto lo zero.

Vi era molta gente, in Mill Street, una via che anche nor­malmente era sempre molto affollata. Era la strada dei gros­si stabilimenti e delle piccole aziende commerciali; congiun­geva Middletown con le vie del Sud. Vi erano sempre auto­bus, macchine e pedoni. Forse il traffico era un po’ più disor­ganizzato del solito e i gruppi di cittadini avevano una maggior tendenza a riunirsi e a discutere animatamente, ma questo era tutto.

Kenniston conosceva alcune di quelle persone, ma non si fermò a parlare con loro. Non desiderava nemmeno incontrarne gli sguardi. Si sentiva in qualche modo colpevole, per­ché sapeva la verità mentre quelli ne erano ancora all’oscu­ro. Che sarebbe accaduto, se avesse spiattellato tutto? Che cosa avrebbero fatto? Era una tentazione terribile, quella di liberarsi del suo segreto. Aveva una voglia pazza di mettersi a gridare.

Alcuni oziosi, sul ponte di Mill Street, guardavano il letto fangoso del fiume e cercavano di spiegarsi l’improvvisa scomparsa dell’acqua. Nelle numerose birrerie, che davano un tono allegro a quella strada popolare, vi erano più clien­ti del solito, data l’ora. Mentre passava, Kenniston poté udi­re le loro voci, voci alte, eccitate, un poco litigiose, ma an­cora prive di terrore.

Una donna di casa parlava con un’amica da una finestra, verso la casa di fronte.

«Non riesco a prendere alcuna stazione, all’infuori di quella di Middletown, oggi. Non posso più sentire le mie soli­te rubriche.»

Kenniston fu lieto quando giunse al garage di Bud. Bud Martin, un giovane alto e magro, con una macchia di grasso sotto un labbro, stava rimontando un carburatore e rimpro­verava nel frattempo il suo aiutante.

«La vostra macchina non è ancora pronta, signor Kenni­ston» protestò. «Vi ho detto alle cinque, ricordate?»

Kenniston scosse il capo e disse a Martin ciò che desidera­va. Martin acconsentì immediatamente.

«Certo che posso noleggiarvi la jeep! Sono troppo occu­pato, oggi, per rispondere a richieste dalla strada.»

Non si preoccupò affatto di domandare a Kenniston cosa volesse fare della jeep. Il carburatore non funzionava e Bud si mise a imprecare. In quel momento, un uomo con un grembiule bianco da fornaio ficcò la testa nella rimessa.

«Bud, hai sentito la novità? Gli stabilimenti chiudono... tutti!»

«Ah, frottole!» disse Martin. «È tutta la mattina che ascolto novità del genere. C’è gente che non fa che andare in giro a raccontare baggianate. Ho troppo da fare per ascol­tarle.»

Kenniston riempì alcune latte di benzina, le caricò nella jeep e partì verso nord.

I cappotti avevano fatto la loro comparsa in Main Street. Gruppi di persone erano fermi agli angoli della strada. La gente che attendeva gli autobus guardava curiosamente il sole rosso e il cielo annebbiato. Ma i negozi erano aperti, le massaie camminavano con la borsa della spesa, alcuni ra­gazzi correvano in bicicletta. Non era ancora cambiato mol­to, non ancora.

Anche la Walters Avenue, dove Kenniston abitava, era cal­ma, benché gli alberi avessero assunto degli strani riflessi, al­la luce rossastra del sole. Fu lieto che la sua padrona di casa fosse uscita, perché non se la sentiva di rispondere a nuove domande.

Caricò sulla jeep la sua carabina da caccia e una rivoltella automatica, insieme ad alcune scatole di cartucce. Indossò un pastrano e prese anche una giacca di pelle per Hubble. Si ricordò persino dei guanti. Poi, prima di risalire sulla jeep, fece di corsa il breve tratto di strada che lo divideva dalla ca­sa di Carol Lane.

La zia di Carol gli venne incontro. La signora Adams era grassa e rosea, ma appariva turbata.

«John, sono tanto lieta che tu sia venuto! Forse mi potrai dire che debbo fare. Devo coprire i miei fiori?» Balbettava ansiosamente. «È una cosa strana, in pieno giugno. Ma fa già tanto freddo. E le mie petunie e gli altri miei fiori soffro­no molto il gelo. E le rose...»

«Io le coprirei, signora Adams» rispose Kenniston. «Le previsioni affermano che farà ancora più freddo.»

La donna alzò le braccia al cielo.

«Che tempo! Non si è mai vista una cosa simile!» E cor­se a prendere dei teli per coprire i suoi fiori, quei fiori che non avevano ormai più di poche ore di vita. Questo particola­re colpì Kenniston, facendogli intravedere un’altra triste realtà. Non più rose, sulla Terra, dopo oggi. Non più rose, mai più.

«Ken... hai saputo che cosa è successo?»

Era la voce di Carol, dietro di lui, e Kenniston capì, anche prima di voltarsi a guardarla, che non avrebbe potuto dare ri­sposte evasive, come aveva fatto con gli altri. Quella ragazza non sapeva nulla di scienza, né di tempo e spazio, né di conti­nuità o altro. Ma lo conosceva bene, e non gli avrebbe dato possibilità di fingere.

«È vero ciò che dicono, che una bomba atomica è caduta su Middletown?»

Da quando le aveva telefonato, aveva avuto tutto il tempo per allarmarsi. Aveva capelli e occhi scuri; era slanciata ma forte, con caviglie snelle, una bocca ferma e un’espressione dolce. Le piacevano Tennyson, i bambini e i cagnolini, amava accudire la casa e aveva una conversazione tranquilla che da­va l’impressione di una lieta serenità. Era una cosa terribile, pensava Kenniston, che dovesse starsene in un giardino mo­rente, parlando di bombe atomiche.

«Sì» rispose, tuttavia. «È vero.» La vide impallidire e proseguì rapidamente. «Nessuno è rimasto ucciso. Non vi sono effetti radioattivi sulla città, non vi è nulla da temere.»

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