Edmond Hamilton - Agonia della Terra

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Una bomba superatomica viene lanciata, da una nazione sconociuta, su una piccola città americana dove si cela un centro per le ricerche atomiche. L’esplosione ha per effetto di rompere la continuità del tempo e sbalestrare la piccola città, intatta, in un’epoca dell’avvenire, a milioni di anni nel futuro, in una Terra morente e arida, inabitabile e deserta. La Federazione delle Stelle, che governa tutti i mondi del futuro, interviene per evacuare la popolazione della città su un altro pianeta. Ma la popolazione si ribella, e, con l’aiuto di uno scienziato del futuro, alla Terra morente viene iniettata una potente carica atomica che ha la virtù di riscaldarla nuovamente. Gli ultimi superstiti rimangono quindi sulla Terra rinata e la vita degli abitanti della piccola città può riprendere il suo corso normale, nella eterna storia dell’Universo.

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Kimer, il capo della polizia, era tutt’altra cosa. Era alto e angoloso, era stato testimone di molte brutture ed esprimeva una specie di dura saggezza. Non un uomo brillante, certo, pensò Kenniston, ma capace di imporre le cose che si dove­vano fare. E Kimer appariva assai più preoccupato del sin­daco.

Garris si volse immediatamente a Hubble. Era ovvio che aveva un grande rispetto per lui e che era orgoglioso di tro­varsi da pari a pari con un personaggio tanto importante che, com’egli sapeva, era uno degli scienziati atomici più in vista nella nazione.

«Avete qualche notizia, dottor Hubble? Non abbiamo ancora potuto metterci in comunicazione con l’esterno e cor­rono dappertutto le voci più disparate. Credevo dapprima che aveste avuto un’esplosione qui nel laboratorio, ma...»

Kimer lo interruppe.

«Si sta spargendo la voce che una bomba atomica ci ha colpiti, dottor Hubble. Molti abitanti sono spaventati. Se la paura si diffonde, dovremo presto fronteggiare il panico. Ho sparpagliato i miei agenti nelle strade per calmare la popola­zione, ma desidererei avere una storia precisa da raccontare, e soprattutto una storia che sia credibile.»

«Una bomba atomica!» esclamò il sindaco Garris. «Ma è una sciocchezza, questa! Siamo tutti vivi e non vi è stato alcun danno. Il dottor Hubble può ben dirvi che le bombe atomiche...»

Per la seconda volta, Garris fu interrotto brevemente, que­sta volta da Hubble.

«Non si tratta di una bomba ordinaria, e le voci che corrono sono purtroppo vere, a questo proposito.» Tacque un attimo e poi, lentamente, sillabando le parole, aggiunse: «Una bomba superatomica è esplosa un’ora fa, per la pri­ma volta nella storia, proprio su Middletown.»

Hubble lasciò che i due nuovi venuti comprendessero il si­gnificato delle sue parole. Era una cosa piuttosto penosa, e Kenniston distolse lo sguardo per guardare fuori della fine­stra, verso quel cielo annebbiato e quel sole rosso e triste, e si sentì un nodo allo stomaco. “Eravamo stati ammoniti” pensò “per anni, che stavamo giocando con forze troppo potenti per noi.”

«La bomba non ci ha distrutti» stava dicendo Hubble.

«In questo, siamo stati fortunati. Ma ha avuto certi... effetti.»

«Ma io non capisco» disse il sindaco, con tono lamen­toso. «Non capisco davvero... Certi effetti? Quali?»

Hubble espose loro con tranquilla chiarezza le sue conclu­sioni.

Il sindaco e il capo della polizia di Middletown, uomini normali di una città normale, abituati a vivere la loro vita in modo normale, ascoltavano quella cosa incredibile. Ascolta­vano, cercando di comprendere. Cercavano di comprendere, ma non vi riuscivano. Perciò respinsero quella conclusione incredibile.

«Ma è pazzesco» esplose irosamente Garris. «Middle­town scaraventava nel futuro? Solo a sentir dire una cosa si­mile... Che cosa volete farci credere, dottor Hubble?»

Si espresse in modo anche più vivace di questo. E altret­tanto fece Kimer. Ma Hubble li ridusse alla ragione. Tran­quillo, implacabile, indicò loro il paesaggio desolato attorno alla città, il freddo che si faceva sempre più acuto, il sole ros­so e invecchiato, la cessazione di ogni contatto col mondo esterno. Spiegò sommariamente la natura del tempo e dello spazio, e in che modo quella cosa incredibile si era realizza­ta. I suoi due ascoltatori non potevano comprendere le sue teorie scientifiche. Ma le accettavano con la fiducia che gli uomini del ventesimo secolo avevano per gli interpreti delle complesse scienze che essi non erano in grado di capire. Le conseguenze fisiche le comprendevano tuttavia perfetta­mente. Anche troppo bene, ora che vi erano costretti dall’evi­denza.

Infine si convinsero. Il sindaco Garris si lasciò cadere su una sedia. Il suo viso non appariva più roseo e le guance si erano fatte cascanti.

La sua voce non era più che un bisbiglio, quando do­mandò: «E adesso, che cosa facciamo?»

Hubble aveva una risposta pronta, almeno per una parte di quella domanda.

«Dobbiamo fare in modo che non si sparga il panico» disse. «Gli abitanti di Middletown dovranno apprendere la verità molto lentamente. Questo significa che nessuno degli abitanti deve per ora uscire dalla città... altrimenti capirebbe subito ogni cosa. Vi consiglierei di annunciare che il terreno attorno alla città è contaminato dalla radioattività, impeden­do a chiunque di uscire dal perimetro urbano.»

Kimer, il capo della polizia, afferrò subito con patetico ze­lo quella possibilità di fronteggiare un problema che poteva più facilmente comprendere.

«Posso mettere uomini e barricate alle estremità delle strade, verso la campagna, questo è abbastanza semplice.»

«E la compagnia della Guardia Nazionale si sta riunen­do nell’Arsenale» intervenne il sindaco Garris. Aveva anco­ra la voce tremante e l’espressione stordita.

«E come vanno i servizi pubblici?» domandò Hubble.

«Sembra che ogni cosa funzioni perfettamente... l’elet­tricità, il gas e l’acqua potabile» rispose il sindaco.

“Me l’ero immaginato” pensò Kenniston. La centrale ter­moelettrica, il serbatoio dell’acqua e l’impianto di gas artifi­ciale della città di Middletown avevano superato, con gli abi­tanti e le case, l’abisso del tempo.

«I servizi, i viveri, i combustibili, tutto deve essere imme­diatamente razionato» stava dicendo Hubble. «Proclama­te questo come misura d’emergenza.»

Il sindaco Garris parve più sollevato nel sentirsi dire ciò che doveva fare.

«Sì. Provvederemo subito.» Poi domandò, timidamen­te: «Non vi è alcuna possibilità di mettersi in contatto col resto del mondo?»

«Il resto del mondo» gli ricordò Hubble «è rimasto dietro di noi di alcuni milioni di anni. Dovrete ricordarvi di questo.»

«Già... è vero. Me ne dimentico continuamente» disse il sindaco. Poi rabbrividì e cercò di pensare ai compiti che lo attendevano. «Ci occuperemo subito di quanto avete sugge­rito.»

Quando i due se ne furono andati, Hubble guardò acci gliato i suoi colleghi silenziosi. «Parleranno dell’accaduto, naturalmente. Ma se la cosa si diffonde lentamente, non sarà tanto preoccupante. Ci darà modo di accertare, prima, alcu­ne cose.»

Crisci scoppiò in un riso stridente.

«Se tutto ciò è vero, dev’essere un bello scherzo! Tutta la città scaraventata nel futuro, verso la fine del mondo, senza che nemmeno lo sappia! Cinquantamila persone che non san­no ancora, per esempio, che la loro cugina Agnes, abitante a Indianapolis, è morta e ridotta in polvere da milioni di anni!»

«E non debbono saperlo» disse Hubble. «Non ancora, per lo meno. Non ancora, finché non avremo chiarito con precisione che cosa dobbiamo fronteggiare, in questa Terra del futuro.»

Continuò poi a pensare ad alta voce.

«È indispensabile andare a vedere che cos’è accaduto là fuori, fuori della città, prima di poter fare qualsiasi progetto. Kenniston, dovresti andare a prendere una jeep. E porta pa­recchia benzina di scorta. E anche abiti pesanti. Ne avremo bisogno, là fuori. E, Ken... porta anche delle armi con te.»

3

Il pianeta mortale

Kenniston ritornò in Mill Street e si diresse verso la rimessa nella quale aveva lasciato la sua macchina un miliardo di an­ni prima, quando cose del genere avevano ancora qualche importanza. Sapeva che tenevano in quel garage una jeep per il servizio stradale, e sapeva pure che non ne avrebbero più avuto bisogno, per il semplice fatto che di strade, fuori della città, non ve n’erano più. Si pentiva di non avere preso con sé un cappotto. L’aria si raffreddava rapidamente e la tempera­tura sarebbe presto scesa sotto lo zero.

Vi era molta gente, in Mill Street, una via che anche nor­malmente era sempre molto affollata. Era la strada dei gros­si stabilimenti e delle piccole aziende commerciali; congiun­geva Middletown con le vie del Sud. Vi erano sempre auto­bus, macchine e pedoni. Forse il traffico era un po’ più disor­ganizzato del solito e i gruppi di cittadini avevano una maggior tendenza a riunirsi e a discutere animatamente, ma questo era tutto.

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